Alternanza Scuola Lavoro. Dalle best practices alle azioni di sistema
di Tommaso De Luca (Istituto Avogadro Torino)
dal Seminario annuale di Scuola Democratica “Verso quali scuole”
“E molti si sono immaginati repubbliche e principati che non si sono mai visti né conosciuti essere in vero; perché elli è tanto discosto da come si vive a come si doverrebbe vivere, che colui che lascia quello che si fa per quello che si doverrebbe fare, impara più tosto la ruina che la preservazione sua”
Niccolò Machiavelli, Il Principe, cap. XV
Non parlerò dell’esperienza dell’apprendistato in alta formazione con ENEL, perché questa esperienza, con le molte altre che in Avogadro sono state portate avanti, pur nella sua importanza non riguarda che un numero limitato di studenti mentre ora si tratta di capire come trasformare le best practices in azioni di sistema. La riflessione tuttavia non è soltanto di ordine numerico, in merito alle proporzioni, ma chiama in gioco una serie di considerazioni esterne che vanno dalla natura del sistema industriale italiano al ruolo educativo che le aziende possono esercitare effettivamente, dai modelli di apprendimento degli adolescenti alla sostanziale cogestione con le scuole. Il tutto secondo un serio principio di realtà, di ciò che può essere effettivamente fatto per tutti e nella consapevolezza che in campo educativo ogni avventurismo pedagogico può avere conseguenze nefaste.
Il mondo della scuola e quello del lavoro
L’ Alternanza Scuola-Lavoro (d’ora in poi ASL) chiama le aziende a compiti formativi che non sono loro propri; e lo sono tantomeno quanto più sono ridotte le loro dimensioni.
Esse sono intese al prodotto (o al servizio) e tutt’al più possono fare addestramento. L’idea ribadita da Confindustria che la disponibilità all’ASL sia un caposaldo della Corporate Social Responsibility (CRS) è affascinante ma non so quanto persuasiva. Colpisce ad esempio l’appena accennato interesse che il sindacato mostra verso l’ASL, in cui non sempre scorge un elemento di impegno nell’ambito delle politiche attive del lavoro e persino il proprio possibile ruolo di motore di un patto tra le generazioni, non parliamo quindi del possibile ruolo di co-valutatore dei percorsi formativi e co-manutentore dei profili professionali ( ruoli che pure in altri paesi le parti sociali esercitano comunemente).
Non è quindi poco utile riflettere a cosa possa essere un percorso di apprendimento in ASL. Questo in un Paese che poco ha riflettuto su questa modalità di apprendimento, complice anche il fatto che si è tanto concentrato sullo sforzo richiesto dal balzo che occorre per superare la frattura tra scuola e lavoro. “Scuola Democratica” nel 2014, parlando di Scuola, pratiche e innovazioni ha dedicato alcune pagine a Formazione/lavoro ed è stata uno dei pochi inviti ad una riflessione altrimenti soffocata dall’urgenza di fare qualcosa di fronte ai dati drammatici sulla disoccupazione giovanile. Ora l’ASL farà certamente molto per contrastare il fenomeno, ma questo resta un obiettivo strategico di un processo che va articolato in tre anni: tanti ne occorreranno perché gli studenti oggi interessati escano dalla scuola superiore per entrare nel mondo del lavoro o all’università.
Suggerisco allora alcuni spunti di pensiero: idee frutto di una pratica quotidiana nella scuola:
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Ambienti di apprendimento
Nuovi ambienti significa certamente ambienti rinnovati (come le classi 3.0), ma anche ambienti diversi da quelli tradizionalmente adibiti alla formazione. La nostra cultura fatica a staccarsi dall’idea dell’aula come del solo posto in cui si apprende. L’azienda può essere luogo di apprendimento? Dipende dalla sua capacità/possibilità di organizzarlo come tale. In ogni caso non deve suscitare scandalo pensare alla necessità anche di un luogo terzo tra scuola e azienda. E’il caso delle aule didattiche delle grandi aziende (ENEL) o della learning o teachinng factory o dell’accademy di cui molte aziende si dotano.
All’Avogadro gli studenti di terza sono 312; 58 di liceo delle scienze applicate e 254 del tecnico
In provincia di Torino gli allievi di terza sono 17955
5737 nell’istruzione tecnica
3804 nell’istruzione professionale
8414 nell’istruzione liceale
Torino è un po’ più di metà del Piemonte, dunque in Regione ci sono tra 34000 e 35000 studenti di terza. Il numero deve far riflettere; le scuole devono offrire a tutti costoro percorsi in alternanza: lo dice la legge.
Gli studenti di terza hanno di norma 16 anni e ciò determina la prevalenza di un approccio emozionale al mondo del lavoro, che si traduce, per la scuola, in una funzione eminentemente orientativa dell’ASL. In realtà sarebbe bene affermare che questa funzione rimane prevalente anche in quarta e quinta, quando pure gli studenti hanno competenze scientifiche, tecniche e una certa maturità culturale e di pensiero. Naturalmente pensiamo ad un orientamento in termini di consapevolezza di sé e delle proprie aspettative/possibilità in rapporto a ciò che il mondo degli studi e del lavoro offrono, non a come comunemente si intende il termine nella scuola, per cui si dice che “è portato a studi umanistici, tecnici, scientifici” intendendo “frequenti il liceo o un tecnico od un professionale”.
L’approccio emozionale pretende che ai sedicenni si parli del nuovo mondo industriale, quello che potremmo indifferentemente indicare come “fabbrica innovativa“, “smart industry“, “fabbrica intelligente“, ” factory 4.0“, cioè tutto ciò che caratterizza la fusione tra la realtà degli impianti produttivi e la virtualità dell’Internet of Things. L’obiettivo nostro è naturalmente ambizioso: se le piattaforme tecnologiche ci sono, ma occorre affrontare il change management, se cioè lo sviluppo delle soluzioni favorisce l’emergere di nuovi principi organizzativi è possibile che i manager non li vedano appieno perché hanno lo sguardo rivolto al passato; ma i ragazzi no, loro potrebbero vederli, anzi potrebbero accorgersi di starci già dentro! Non pochi ritorni di soddisfazione abbiamo avuto da amici imprenditori che ci raccontavano come un nostro diplomato abbia prima imparato in fretta, per poi portare elementi di innovazione a cui nessuno aveva pensato.
La funzione orientativa, piuttosto che quella occupazionale dell’ASL è preoccupazione eminentemente delle scuole; non allo stesso modo del mondo delle aziende, ma anche del sentire collettivo, per cui uno dei principali motivi dell’alto tasso di disoccupazione giovanile sta nel mismatch di preparazione tecnica tra ciò che l’azienda chiede e la scuola dà. Crediamo che sia così fino ad un certo punto. In realtà un problema poco analizzato è quello della grande distanza tra manager ed insegnanti. Quando pure i primi ci sono; in Italia prevalgono aziende medie e piccole con pochi manager.
Ricordiamo infine chiaramente che nei percorsi in ASL la scuola deve saper copro gettare co l’azienda, ma conserva in ogni caso un ruolo preminente. Essa infatti assume un ruolo di garanzia verso gli allievi e le loro famiglie rispetto ai risultati del percorso in ASL, in termini di acquisizione di contenuti e competenze, orientamento, motivazione, come hanno scritto Fiorella Farinelli e Giorgio Allulli (Le buone pratiche scuola lavoro, “Scuola democratica”, n. 3, settembre – dicembre 2014, p. 750)
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Che cosa la legge 107/2015 ha aiutato a fare
Il principale merito è nella funzione di ordinamento che si è voluto dare all’ASL.
“Comma 33. Al fine di incrementare le opportunita’ di lavoro e le capacita’ di orientamento degli studenti, i percorsi di alternanza scuola-lavoro di cui al decreto legislativo 15 aprile 2005, n. 77, sono attuati, negli istituti tecnici e professionali, per una durata complessiva, nel secondo biennio e nell’ultimo anno del percorso di studi, di almeno 400 ore e, nei licei, per una durata complessiva di almeno 200 ore nel triennio. Le disposizioni del primo periodo si applicano a partire dalle classi terze attivate nell’anno scolastico successivo a quello in corso alla data di entrata in vigore della presente legge. I percorsi di alternanza sono inseriti nei piani triennali dell’offerta formativa.”
I percorsi finora realizzati in forma sperimentale selezionavano in qualche modo gli studenti partecipanti. Avevamo selezioni in negativo: tutti quelli che solo sui libri non ce la fanno ( come spesso è il caso della formazione professionale); o in positivo: i più bravi o i più motivati (come nel caso dell’esperienza ENEL).
Ora occorre pensare a tutti: a quelli che nel proprio progetto di vita hanno il lavoro dopo il diploma e a quelli che andranno all’università; a quelli che vanno rimotivati con attenzione non solo alle intelligenze logico-matematiche e linguistico-espressive, ma anche a quelle spaziali, cinestetiche e quei tantissimi che non sanno che fare e che faranno. L’ASL deve orientare, combattere la dispersione, combattere la disoccupazione giovanile, contrastare il progressivo allargarsi del fenomeno NEET…deve fare tutte queste cose: deve fare la scuola!
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Che cosa occorre fare subito sul versante ordinamentale
Modifica dell’esame di stato. Se l’ASL sostituisce il tempo scuola in parte, l’attuale esame di stato penalizza gli studenti che vi si dedicano. Si dice che le aziende chiamino alla selezione solo coloro che hanno un voto superiore a 80/100. Non è sempre vero, ma è indubbio che nel generale scollamento tra scuola e mondo del lavoro il voto dell’esame di Stato costituisce un primo criterio per restringere il campo. E’ un criterio assai approssimativo per molti motivi e non dà grandi certezze sulla preparazione, tuttavia appare tra i possibili il meno soggettivo, se non proprio il più oggettivo.
Quando si parla dell’Esame di Stato ci si riferisce non alla terza prova, che già ora è elaborata dalla Commissione e, nelle tipologie E od F, già può dare rilievo a casi professionali o a esperienze concrete, ma alla seconda prova, quella sulle materie che caratterizzano la specializzazione. L’impianto attuale, basato quasi esclusivamente sulle conoscenze, non lascia un gran spazio alle competenze; occorre che questo spazio sia creato perché si valorizzino abilità di studio tanto quanto competenze professionalmente acquisite.
Modifica del raccordo con l’Università. Le competenze rilevate in ASL hanno una valutazione in Università? Gli esami-sbarramento sembrano suggerire un’idea opposta! Eppure il 50% circa dei diplomati tecnici vanno all’Università.
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L’ASL partirà nel 2015/16 (di cui tre mesi sono già trascorsi)?
Se sulla filosofia dell’ASL sembrano essere d’accordo il vertice MIUR, il top management di Confindustria e di altre associazioni datoriali, se tutti parlano la medesima lingua ed i concetti chiave sono chiari e condivisi, emerge la criticità dell’execution, la mancanza di idee per costruire il sistema, anzi: ci sono molte buone esperienze, ma non c’è il sistema e nemmeno iniziative per costruirlo; ognuno sembra andare per la propria strada. Preoccupati soprattutto dei numeri degli studenti si sta cercando un altrettanto grande numero di aziende che li possano ospitare. Questo metodo non porterà molto avanti. Formuliamo allora, a grandi linee una proposta.
Una possibile proposta generale, applicabile almeno ai settori scolastici e aziendali rimandabili al manifatturiero:
3° anno: simulazione “onesta” del mondo del lavoro con formazione di base su norme e processi (la sicurezza, la comunicazione aziendale, la lean…)
4° anno: prevalenza di didattica laboratoriale in collaborazione con le imprese; l’attività si svolge in un luogo terzo rispetto alla scuola e all’impresa o, se non è possibile altrimenti, a scuola. Nell’estate al temine dell’anno: stage in azienda.
5° anno: periodi di durata significativa di permanenza in azienda
Ricordiamo che così non si stanno muovendo le scuole, almeno quelle piemontesi e non solo, che, nonostante il magistero di Don Bosco, si “tengono leggere” nel numero di ore da dedicare in ASL al quinto anno, per non configgere con la concentrazione che richiede l’affrontare l’esame di stato; quando non addirittura si sia votata in collegio docenti un modello che vede l’ASL da svolgersi in estate, fuori cioè dall’orario scolastico. E’ vale allora la pena ricordare come questa metodologia non sia un’alternativa all’orario curricolare e come risulti ancora più difficile da realizzare quando si siano allentati alcuni legami come l’orario, la rilevazione delle presenze, il servizio dei docenti occupati in altre attività (esami, corsi di recupero, vacanze, perché no). L’ASL non può ridursi ad un “lavoretto estivo”.