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“Cenerentola libera tutti” di R. Solnit

Storie. “Cenerentola libera tutti” di R. Solnit

Recensione a cura di Paola Benadusi Marzocca (Esperta di editoria per ragazzi)

Nella postfazione della fiaba riscritta CENERENTOLA LIBERA TUTTI, illustrata magnificamente a china dal grande Arthur Rackham (Salani, trad. Guido Calza, pp.68, € 12,90),  Rebecca Solnit “scrittrice americana, critica d’arte, storica e attivista” scrive  che “il matrimonio non è più il mezzo con cui le donne definiscono il loro futuro economico o la propria identità” .  E’ un concetto antico e George Sand lo sosteneva assai prima di lei scrivendo non solo per realizzare una vocazione, bensì per vivere secondo le proprie idee infrangendo quotidianamente schemi precostituiti da secoli, sfidando i moralismi di un’epoca fino a farsi manifesto vivente. George Sand ne era consapevole. L’ “orrore della vita” è un’espressione sandiana che ritorna nelle lettere e si ritrova in forma esplicita nell’”Histoire de ma vie”. L’avere tuttavia una dimensione tragica dell’esistenza non le impedì di viverla fino in fondo. Per questo suscitò sia in vita che dopo, in molti ambienti, odi altrettanto incondizionati e violenti. Ma ebbe anche estimatori quali Victor Hugo, Marcel Proust che lesse da bambino “Francois Le Champi ” e ne fece nella sua immensa opera “Le Temps Retrouvé” la vestale della sua infanzia. Per non parlare di Mazzini che le aveva regalato un anello appartenuto alla madre. Ma torniamo a Cenerentola e alla sua scarpetta di cristallo.

Altri temi vorrei sottolineare. Anzitutto le fiabe devono restare fiabe e non sono uno strumento per diffondere le idee giuste che sarebbero poi quelle dell’autore, ovvero secondo la Solnit che il matrimonio di Cenerentola con il principe deve essere “tolto di mezzo” ed inoltre che anche il principe ha assoluto bisogno “di essere liberato.”, non si comprende bene da che cosa. Forse dai suoi doveri di governo. E altrettanto ciò vale per le sorellastre e la matrigna perché sono con la loro “insaziabile avidità” e il loro “ventre molle” simili a “ognuno di noi, quando ci sentiamo poveri in mezzo alla ricchezza.” Non trovo corretto tra l’altro che non vengano rappresentate nel libro perché l’illustratore le ha ritratte in modo inadeguato ossia “creature assurdamente goffe e brutte”. Un giudizio personale che diventa una sorta di censura all’illustratore.

Ciò premesso ecco la mia recensione uscita poco tempo fa su Liber sulla ri-riscrittura della Solnit di “Cenerentola”, una delle più famose fiabe della tradizione classica, entrata nell’immaginario collettivo, scritta alla fine del Seicento ancora all’alba del Secolo dei Lumi, per un pubblico di nobili dame da quel letterato parruccone che si chiamava Charles Perrault.

CENERENTOLA LIBERA TUTTI è una riscrittura moderna della antica fiaba che tante versioni ha avuto nel corso dei secoli. Come tante fiabe comincia con ” C’era una volta…” perché le vere fiabe, quelle classiche, nate sia dalla tradizione orale che letteraria, risalgono alla notte dei tempi e non sono destinate soltanto ai bambini. Italo Calvino che predilesse storie avventurose e fiabesche ha scritto che le fiabe sono “il catalogo dei destini che possono darsi a un uomo e a una donna, soprattutto per la parte di vita che appunto è il farsi di un destino…”.

Le fiabe possono trasformarsi anche in storie mantenendo l’atmosfera fantastica che le caratterizza. Basta lasciarle andare liberamente perché ogni fiaba ha un valore a sé ed è diversa dalle altre. Alcune sono misteriose, paurose, strane ed emozionanti perché raccontano di fatti meravigliosi, straordinari; sono infatti il regno del variegato popolo della notte costituito da fate e orchi, maghi e streghe, folletti e diavoli, sirene e draghi. Sono un momento del raccontare del mondo dall’inizio della storia dell’uomo. In esse la natura si mescola a suo modo con il mondo degli spiriti buoni e cattivi; gli animali parlano e si trasformano in esseri umani; in una fiaba non può mancare il senso del mistero, il gusto dell’abnorme e del difforme, il superamento dello spazio e del tempo, l’abbandono ai sogni e agli incantesimi racchiusi nelle tenebre della notte. Altrimenti la fiaba diventa qualcos’altro, una composizione personale che riflette l’interpretazione dell’autrice come nel caso della Solnit sulle più svariate questioni del mondo dal femminismo, all’immigrazione, al tema della pace e della guerra, a quello della discriminazione, del razzismo e via dicendo. Così Cenerentola viene a sapere dalla sua fata madrina, una delle figure più indovinate di questa storia, che suo padre era “un grande giudice che aiutava il prossimo”, sua madre “una bravissima capitana di lungo corso” che prima o poi si sarebbe fatta rivedere “su una nave nuova.” Il sogno di Cenerentola non era certo quello di diventare principessa, del resto principi e principesse vanno poco di moda quindi bene eliminarli anche dalle fiabe. In realtà quello che conta è realizzare i propri sogni e Cenerentola ne aveva uno nel cassetto: aprire una pasticceria e montare cavalli pomellati, mentre il principe non aveva nessuna voglia di sposarla, ma piuttosto avrebbe voluto avere degli amici, “imparare a coltivare le cose” e finalmente lavorare perché solo chi lavora, di notte dorme bene e “profondamente, invece di star chiuso nel castello senza far niente.” E’ vero che i bambini vogliono essere liberi, ma questa “Cenerentola” non è una storia di liberazione. I giovani lettori vogliono essere liberi di essere se stessi e soprattutto divertirsi.

Scuola democratica
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