Il Piano Nazionale Industria 4.0: un patto di fiducia con le imprese che vogliono crescere ed innovare
di Stefania Sisto (laureanda in Giurisprudenza*)
La scelta operata dal Governo italiano nel Piano Nazionale Industria 4.0 del 2016 è stata quella di definire un ambizioso programma che potesse portare l’Italia ad essere concepita come “patria della possibilità” e l’ha fatto tenendo principalmente presente due grandi direttrici chiave: investimenti innovativi e competenze oltre che due direttrici di accompagnamento: banda larga e supporto ai grandi investimenti innovativi con garanzia tramite apposito fondo, degli investimenti dei privati. La scelta è ricaduta su azioni non settoriali, non la classica logica dell’incentivo a bando ma piuttosto quella di una possibilità di decontribuzione fiscale sulle singole voci di bilancio delle aziende che lasciassero sostanzialmente libere le imprese di decidere la direzione dell’investimento da realizzare, in ogni caso finalizzato all’acquisto di tecnologie e beni Industry 4.0, ad aumentare la spesa privata in ricerca, sviluppo e innovazione, a rafforzare la finanza a supporto di startup, venture capital e PMI innovative. Il modello elaborato dal Governo è stato quello di una cabina di regia con la presenza di diversi ministeri e, più in generale, mondo economico ed imprenditoriale, organizzazioni sindacali; una sorta di assemblea degli azionisti che, a cadenza semestrale, si riunisse per valutare quanto realizzato e i maggiori aspetti problematici.
Sul fronte competenza la scelta è ricaduta sulla creazione di competence center nazionali definiti hub, incubatori dell’innovazione che sviluppandosi intorno a quattro, cinque università possano promuovere e realizzare progetti di ricerca applicata, unitamente ai Digital Innovation Hub, punto di raccordo tra le esigenze delle imprese in ambito tecnologico e universitario e centri di ricerca; con la differenza sostanziale che i DIH nascono spontaneamente sul territorio, contrariamente ai competence center che vedono un impegno del Governo che investe su politecnici e università. Accanto a questi si è puntato alla valorizzazione della cultura attraverso l’alternanza scuola-lavoro, a finanziare la ricerca potenziando cluster e dottorati, concentrandosi in modo particolare su percorsi universitari e ITS dedicati.
La parte del Piano quanto a investimenti innovativi è di stampo squisitamente liberale e questo fa sì che il governo debba limitarsi a creare le condizioni migliori per permettere alle imprese di operare, laddove sono le aziende private a svolgere attività di ricerca e sviluppo. Nel caso di specie, gli investimenti per l’acquisto di beni materiali, immateriali sono assistiti da misure che hanno come obiettivo la crescita e la premialità per chi investe nel futuro. Si interviene con l’iper ammortamento con un’aliquota al 250% per chi decide di acquistare beni funzionali alla digitalizzazione; per chi acquista beni strumentali e immateriali il super ammortamento prevede un’aliquota al 140%, oltre al fatto che la legge “nuova Sabatini” facilita l’accesso al credito delle imprese sia per l’acquisto di macchinari che per software e hardware. Accanto a queste misure, si è intervenuti con una agevolazione per le spese relative a ricerca fondamentale, ricerca industriale e sviluppo sperimentale (dall’aliquota spesa interna fissata al 25% si è passati al 50% elevando il credito massimo dai 5 ai 20 milioni di euro); al fine di rendere il mercato italiano maggiormente attrattivo per gli investimenti nazionali ed esteri si è prevista una tassazione agevolata sui redditi derivanti dall’utilizzo della proprietà intellettuale (patent box, con una riduzione delle aliquote IRES e IRAP del 50% dal 2017 in poi, sui redditi d’impresa connessi all’uso diretto o indiretto di beni immateriali, sia nei confronti di controparti terze che nei confronti di società infragruppo) oltre che un sostegno alle imprese innovative (start up, PMI innovative, sostanziandosi in detrazioni fiscali al 30% per investimenti in PMI innovative e startup fino ad un limite massimo di un milione di euro o, ancora, di un intervento di società sponsor per assorbire le perdite delle startup nei primi 4 anni) diffondendo una nuova cultura imprenditoriale votata alla collaborazione, innovazione ed internazionalizzazione. Buona la politica con cui si è intervenuti se, come dicono i dati, gli investimenti sono cresciuti del 11% ma che non ci esime dal fare un’osservazione più acuta.
Gli investimenti sono sicuramente una parte importantissima del Piano e la scelta vincente, come suggerita dal Governo nel Piano, richiede una folta implementazione della competenza e della formazione per riformare le professionalità più a rischio e per cogliere le opportunità di un’occasione del mercato unica.
L’elemento più veloce per recuperare occupazione giovanile è quello di investire sugli ITS. Il Piano ha l’ambizioso programma di raddoppiare gli studenti iscritti agli ITS e formare 200.000 studenti universitari e 3.000 manager specializzati su Industry 4.0 e 1.400, dei 5 mila previsti dal Programma Nazionale per la ricerca, dottorati di ricerca con focus su Industry 4.0. Obiettivi importanti che però non nascondono un dato non meno rilevante: tutte le istituzioni ed ogni singola impresa sono chiamate ad agire per garantire la crescita di cui il Paese ha bisogno.
* Laureanda in Giurisprudenza presso l’Università della Campania “Luigi Vanvitelli” con tesi in Economia Politica, sotto la supervisione del professore Francesco Pastore, dal titolo: “IV Rivoluzione industriale: il ruolo dei sistemi di istruzione e formazione professionale”