
Il ritorno a scuola è il momento in cui, più che in qualsiasi altra fase dell’anno, l’istruzione diventa tema centrale del racconto mediatico. Tradizionalmente i riflettori si accendono sul caro-libri e sulle spese delle famiglie per i materiali scolastici, oppure sulla cronica precarietà degli insegnanti, tra supplenze, graduatorie e percorsi di abilitazione. Quest’anno però lo sguardo della stampa si è spostato su prescrizioni e divieti introdotti, regolati e comunicati attraverso lo strumento tipico dell’amministrazione scolastica: la circolare, il dispositivo per eccellenza che non conosce né crisi né riforme.
Sono tre le fattispecie di circolari che hanno occupato le cronache: la prima, ministeriale, con cui si introduce il divieto dell’uso di smartphone a scuola; la seconda, relativa ai regolamenti sul dress code emanati da diversi dirigenti scolastici; la terza, dell’Ufficio Scolastico Regionale del Lazio, che invita i dirigenti a tenere i temi di attualità geopolitica fuori dagli organi collegiali. Tre episodi diversi, che meritano trattazioni distinte (lo farò nei prossimi numeri della rubrica) ma che, insieme, interpellano il ruolo delle circolari nel governo odierno della scuola italiana e nella sua rappresentazione pubblica.
È spesso dalla lettura di una circolare che i giornali traggono le notizie, alimentano i dibattiti e costruiscono le narrazioni che popolano il discorso pubblico sulla scuola. In questo senso, la circolare non funziona solo come dispositivo interno di regolazione, ma diventa materia attraverso cui la vita scolastica viene tradotta in racconto mediatico: una disposizione normativa o una formula tecnica in essa contenuta si trasforma facilmente in titolo di giornale e la circolare in terreno di scontro politico.
Che la circolare finisca con l’avere tanto peso nell’informazione non è un caso. Il suo statuto non è quello di una semplice comunicazione (come parrebbe indicare il suo stesso nome), ma di un dispositivo che al tempo stesso prescrive e legittima determinati punti di vista. È proprio questa duplice natura – tecnica e politica – a renderla così significativa per comprendere il governo della scuola. La centralità della circolare, inoltre, potrebbe dipendere non soltanto dai contenuti che essa veicola, ma anche dalla forma che assume e dai canali attraverso cui circola, che ne amplificano la portata dentro e fuori la scuola.
Al riguardo, la digitalizzazione della pubblica amministrazione ha trasformato radicalmente le modalità di diffusione e di ricezione di questo “fossile vivente”: dalla bacheca cartacea affissa in un angolo della segreteria si è passati all’albo on-line, con effetti rilevanti sul piano organizzativo, giuridico e simbolico. In tempi recenti la dematerializzazione ha reso le circolari molto più accessibili, ma anche molto più pervasive: notifiche via mail e alert automatici hanno moltiplicato le occasioni di contatto con il documento, fino a farlo diventare una presenza quotidiana che scandisce la vita scolastica. Non sorprende, allora, che un sondaggio recente lanciato dalla rivista Tecnica della Scuola evidenzi come i docenti si sentano sommersi da una media di oltre 500 circolari l’anno – quasi tre al giorno – percepite non più come semplici strumenti di coordinamento, ma come segno tangibile di una burocrazia invadente.
Il passaggio dall’albo cartaceo a quello digitale, pur avendo garantito maggiore trasparenza e valore legale alla pubblicazione, ha dunque reso la circolare ancora più incisiva: il documento, una volta destinato a un ambito ristretto, si è trasformato in un atto potenzialmente illimitato nella sua diffusione, accessibile a chiunque e disponibile in ogni momento. La circolare diventa così, paradossalmente, più “visibile” e più “opaca” allo stesso tempo: onnipresente nella vita delle scuole, ma percepita da chi la riceve come parte di un flusso burocratico difficile da gestire.
Questo moltiplicarsi di circolari – da ministero, uffici scolastici regionali e dirigenze – sembra orientare la scuola verso un neocentralismo sempre più marcato.
A ben vedere, la circolare appare come un vincolo “soft”, che non cancella formalmente l’autonomia scolastica ma la tempera, la limita, la riassorbe. Come ricorda Marco Pitzalis in un recente intervento su Scuola democratica (“Un’altra autonomia è possibile. Dopo 25 anni è il tempo di cambiare rotta”), l’autonomia avrebbe dovuto aprire a pratiche di responsabilità diffusa e di partecipazione; ma la logica incorporata nel dispositivo delle circolari finisce per consolidare una catena decisionale verticale, che lascia poco spazio a sperimentazioni reali e a forme di autogoverno.

Antonietta De Feo professoressa associata in Sociologia dei processi culturali e comunicativi presso il Dipartimento di Filosofia, comunicazione e spettacolo dell’Università Roma Tre dove insegna Sociologia della comunicazione, Metodologie delle scienze della comunicazione, Gender & media. È membro del consiglio scientifico dell’Associazione Italiana di Sociologia – Sociologia dell’educazione. I suoi interessi si sono focalizzati negli anni su diversi campi di ricerca: le disuguaglianze scolastiche, le politiche linguistiche in ambito scolastico, l’innovazione digitale, il ruolo dell’arte nei processi educativi e nel discorso pubblico sulle migrazioni forzate, le rappresentazioni mediatiche da un punto di vista di genere. Per il blog di Scuola Democratica, scrive la rubrica “La scuola vista dai media” per osservare come la scuola viene rappresentata nello spazio mediatico, quali narrazioni dominano, quali voci emergono o restano ai margini.