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Dialogo sul finanziamento pubblico alle scuole paritarie – Parte 2

Dialogo sul finanziamento pubblico alle scuole paritarie – Parte 2

a cura della Direzione di Scuola Democratica

Il tema del finanziamento pubblico alle scuole paritarie è tornato prepotentemente al centro dell’agenda politica e del dibattito pubblico a seguito della presentazione del disegno di legge del governo su “La buona scuola” e di una serie di provvedimenti atti ad introdurre alcuni strumenti economici e fiscali ad integrazione di quanto già previsto dalla Legge n. 62 del 2000 riguardante “Norme per la parità scolastica e disposizioni sul diritto allo studio e all’istruzione”.

Su questo tema si sono confrontati Luciano Benadusi e Vittorio Campione, rispettivamente Direttore e Vicedirettore di Scuola Democratica.

Qui di seguito la SECONDA parte del contributo.  Per andare andare alla prima parte cliccare QUI

2. La qualità va verificata sempre. La questione dei controlli

Campione: La questione dei controlli è sostanzialmente la seguente. Le scuole ottengono la parità sulla base di una richiesta e di una valutazione da parte dell’amministrazione. Cioè il privato che ha una scuola chiede il riconoscimento del carattere paritario dopo di ché il Ministero fa delle verifiche e dice sì risponde ai requisiti previsti dal comma tale dell’articolo tale della legge 62. Una volta ottenuto il riconoscimento poi periodicamente il Ministero ne verifica il rispetto e l’osservanza oppure a richiesta domanda o a denuncia interviene diversamente.

Questo ci porta dritti dritti ad una discussione che riguarda a mio avviso il Paese in senso più generale e cioè che questo meccanismo di controllo di fatto è un meccanismo più scritto che non praticato e quindi, di fatto, un meccanismo finto. Allora in una discussione come quella che stiamo conducendo oggi noi dovremmo ragionare in termini di realtà o come dovrebbe essere? E naturalmente la risposta a questa domanda che a tutti noi viene spontanea è che dobbiamo ragionare in termini di realtà a condizione che, almeno per quanto mi riguarda, si consideri una forte spinta a cambiare questa realtà che continua ad essere quella che i controlli non si fanno! In questa nostra discussione non possiamo quindi accettare il discorso che siccome fare i controlli effettivamente non è possibile allora rinunciamo all’applicazione delle norme perché non possono essere controllate.

Noi dobbiamo fare in modo che ci sia un controllo sociale innanzitutto, quindi una mobilitazione delle famiglie, degli insegnanti, dell’amministrazione e soprattutto la funzione dello Stato e dunque innanzitutto del governo e delle amministrazioni locali affinché questi controlli ci siano effettivamente. Io ritengo che la attuale normativa che disciplina i controlli sia assolutamente adeguata e quindi non c’è bisogno di ulteriori norme sui controlli basta applicare effettivamente quelli che già ci sono.

La mia proposta è individuare e colpire quelle scuole che di fatto vendono i titoli (perché ci sono: molte di queste non hanno chiesto la parità perché non sono disponibili a sottoporsi ai controlli previsti, però una parte di queste hanno chiesto la parità e in realtà non sono a norma dal punto di vista dei controlli). Ecco su queste occorrerebbe intervenire.

Vi sono certamente in molte zone del Paese scuole a carattere religioso che hanno anch’esse chiesto la parità e l’hanno ottenuta; ora in questo caso occorrerebbe semplicemente andare lì e verificare che quella storia lì per cui l’insegnante che è divorziato non viene assunto o peggio ancora l’insegnante che divorzia viene licenziato ecco queste cose non devono succedere. Non deve succedere che la bambina di colore piuttosto che il bambino disabile vengano in vario modo discriminati.Questi controlli ovviamente valgono per tutte le scuole sia quelle pubbliche che quelle che hanno ottenuto il riconoscimento della parità.

Benadusi: Concordo del tutto con Vittorio per quanto concerne il discorso sui controlli per verificare se le scuole che hanno chiesto la parità siano a norma rispetto ai requisiti di legge. Però è un problema che, per quanto ne so, riguarda le scuole private laiche piuttosto che quelle religiose. Per queste ultime il problema è l’orientamento culturale e religioso come limite alla libertà di insegnamento, un problema non risolto dalla legge 62. E non per trascuratezza del legislatore – si tratta di una legge tecnicamente ben fatta – bensì per un dato di fatto politico che tuttora persiste: il mondo cattolico organizzato si oppone ad un regime giuridico che costringa le sue scuole ad accettare docenti che non siano coerenti con l’orientamento culturale e religioso. A mio parere, la piena parità, con la conseguente possibile attribuzione dello status di scuola pubblica anche a scuole non statali, comporta il superamento di questo ostacolo di natura etico-politica e non solo finanziaria.

Ciò detto, ribadisco di non essere contrario a forme parziali di sovvenzionamento delle scuole private cosiddette” paritarie”, anche quando non siano davvero parificabili alle scuole pubbliche, purché ciò risponda ad un reale e prioritario interesse “pubblico”. Come non sarei contrario, ferma restando la condizione del reale e prioritario interesse pubblico, a riconoscere una piena parità a scuole non statali che siano qualificabili come pubbliche, cioè abbiano rinunciato a praticare qualsiasi forma di discriminazione sulla base di specifici orientamenti culturali e religiosi.

Campione: su quest’ultima proposta avanzata da Luciano io credo che sia il caso di riflettere perché significa autocensurarsi in qualche modo come Stato intendo. In altre parole è come se si dicesse che esiste un punto oltre il quale io non posso chiedere a coloro i quali vogliono aprire delle scuole ad indirizzo culturale molto diverso diciamo così da quello delle scuole pubbliche gestite dallo Stato, non posso chiedere a questi di uniformarsi oltre una certa misura e quindi gli lascio uno spazio. Naturalmente però lasciare questo spazio comporta come conseguenza che io non posso farmi carico del costo di queste scuole se non in misura parziale.

Quello che io penso possa essere una strada, fermo restando che occorre riflettere sulle cose che tu dici, è una effettiva ed armonica interculturalità all’interno delle scuole; questa passa anche attraverso il fatto che tutti i soggetti che mettano mano ad un’attività educativa devono ricondurla ad un canone comune arriverei a dire pressoché unico. Ciò significa adeguarsi a quanto previsto dalla legge 62, non ci devono essere violazioni dei punti fondamentali dell’impianto costituzionale e quindi se è prescritto che la cultura e la scienza sono libere e libero ne è il loro insegnamento questo deve essere vero e deve valere ovunque e comunque e quindi non ci può essere alcuna violazione di quanto prescritto. Se una scuola viola quanto prescritto questa non può essere riconosciuta come tale.

Il problema è che nel ragionamento sul finanziamento, non bisogna dimenticare che non si parla di finanziamento delle scuole private o alle scuole private, ma parliamo di finanziamento alle famiglie o meglio ancora di rimborso parziale alle famiglie delle loro spese. Tra l’altro nella norma in discussione da alcuni giorni è anche contenuta, e speriamo che rimanga, una norma che consente a tutte le famiglie anche a quelle degli 8 milioni/ 7 milioni di ragazzi che vanno ad una scuola di Stato di recuperare attraverso il meccanismo del 5 × mille una parte delle loro spese. Sostanzialmente con questa norma si permette di riconoscere a ciascun contribuente la possibilità di dare il proprio 5 × mille non soltanto ad associazioni ed enti o quant’altro ma anche alla scuola che preferisce aumentando con questo sistema le risorse economiche a disposizione della scuola.

3. Come vorremmo la scuola paritaria

Benadusi: A questo proposito, mi riallaccio al concetto di “reale e prioritario interesse pubblico” cui ho prima accennato. In questo momento, data la ristrettezza delle risorse disponibili ed il dissanguamento finanziario patito dalla scuola statale per effetto dei tagli Tremonti-Gelmini, non credo sia da considerarsi obiettivo prioritario l’offrire alle famiglie un più ampio menu di scelte scolastiche grazie alla cosiddetta “paritaria” là dove l’offerta statale già è in grado di coprire l’intero fabbisogno. E ciò anche in ragione del fatto che il D.d.L su “La buona scuola” già rafforza notevolmente la libertà di scelta delle famiglie grazie all’ampliamento dell’autonomia delle scuole statali e la conseguente differenziazione dell’offerta. Più meritevole di essere considerato prioritario mi pare l’investimento sulla scuola dell’infanzia a sostegno del progetto 0-6 anni, un progetto di riforma importante. Al contrario, la scuola materna viene per il momento penalizzata nell’allocazione del personale che sarà messo in ruolo con il prosciugamento delle GAE. E nella fascia 0-3 la copertura del fabbisogno è oggi appena attorno al 10% della popolazione in età.

Per quanto riguarda gli altri livelli di istruzione bisognerebbe porsi, a mio avviso, un’alternativa che si è posta anche a livello internazionale: quella fra un finanziamento che aiuti a creare scuole di eccellenza per famiglie ricche, oppure a dare un servizio migliore di carattere inclusivo a studenti svantaggiati, ad aree marginali, oppure a permettere ai ritardatari un serio recupero di anni scolastici perduti. Se, ad esempio, guardiamo all’esperienza inglese delle Academies, vediamo che in un primo momento, finché vi erano i governi laburisti ad istituirle e governarle, esse sono state indirizzate ad aiutare con una gestione nuova, più dinamica e con nuovi dirigenti scolastici, le scuole in difficoltà, quelle più frequentate da studenti svantaggiati dal punto di vista socioeconomico ed etnico, in modo da farli uscire da situazioni di disagio e di difficoltà. Insomma, queste scuole hanno avuto una forte impronta di tipo rimediale ed inclusivo. Ad esempio, laddove una determinata scuola conseguiva punteggi molto bassi nei test di valutazione nazionale o valutazioni molto critiche da parte dell’OFSTED una scuola veniva trasformata in Academy e la sua gestione sottratta all’ente locale per essere affidata ad un management più dinamico, più innovativo. E questo, oltre che finanziamenti aggiuntivi mirati, permetteva di porre in essere azioni di miglioramento per uscire dalla situazione di difficoltà. Quando è cambiato il governo e si è passati ad una guida conservatrice, il modo di intendere le Academies è cambiato e l’approccio è diventato più simile al primo dei due modelli di cui ho parlato. Questa figura organizzativa è stata sempre più utilizzata per creare scuole di eccellenza, ma di eccellenza solo per i figli dei ricchi.

Se vogliamo attribuire maggiori risorse alle cosiddette paritarie ma assumendo il secondo modello anziché il primo, perché più equitativo e anche più realistico considerate le attuali performance delle scuole private, converrebbe farlo con lo strumento del diritto allo studio anziché con quello della detrazione fiscale.

Scuola democratica
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