Back

Dibattito Ripensare Gli Ordinamenti Scolastici: Convergenze tra orizzonti

Dibattito Ripensare Gli Ordinamenti Scolastici: Convergenze tra orizzonti

di Alessandro Cavalli

Non è facile commentare un documento (per vedere la proposta clicca QUI) sul quale si è d’accordo su quasi tutto.

Mi auguro che possa diventare la base di un’iniziativa riformatrice capace di coinvolgere e fare convergere anche idee e forze diverse in una prospettiva sufficientemente trasversale. Del resto mi sembra di cogliere alcune significative convergenze nelle proposte recentemente presentate sia da Oliva e Petrolino sia da Bertagna1 che provengono da orizzonti politico-culturali diversi.

  1. Meno brusco il passaggio tra primaria e secondaria

La proposta di Benadusi-Campione giustamente parte dalla riforma della struttura dei cicli. Concordo pienamente con l’estensione dell’obbligo al periodo della scuola dell’infanzia. Ci sono mille ragioni per sostenerlo e, d’altra parte, è una scelta in gran parte già fatta dalle famiglie stesse.

I problemi riguardano il passaggio tra il segmento ben funzionante (quella che una volta era la scuola elementare) e la scuola media dove incominciano a manifestarsi segni preoccupanti di disparità territoriali. L’ultima vera importante proposta di riforma su questo aspetto è stata quella del 1997 (targata Berlinguer) e sappiamo come è naufragata, prima per il siluro partito dai compagni di partito e dai sindacati, poi per il siluro partito dai successivi governi di centro-destra. Come ricordano gli autori della presente proposta, abbiamo ormai una documentazione ricca e affidabile di dati di ricerca che segnalano lo snodo tra primaria e secondaria come problematico ed il primo ostacolo da rimuovere. Perché la nostra scuola produce buoni risultati fino aIla fine della primaria e poi si assiste a un crollo nel corso dei tre anni successivi ? Cambia l’organizzazione degli insegnamenti, cambiano gli insegnanti, cambia la loro formazione, cambiano in parte anche i compagni e spesso anche gli edifici dove si svolgono le attività scolastiche (gli istituti comprensivi non sono ancora uniformemente diffusi). Il passaggio deve essere reso più graduale e meno brusco, anche perché riguarda la fase della pre-adolescenza che sappiano essere particolarmente delicata.

Tra le soluzioni proposte la mia preferenza va alla più innovativa che prevede, dopo il triennio della scuola materna, quattro cicli biennali di cui il terzo a cavallo tra l’attuale primaria e la secondaria di primo grado. E’ evidente che è proprio questo ciclo intermedio la vera innovazione, ma anche il vero problema in termini di identificazione del tipo di insegnanti adatti e delle loro competenze. L’inerzia dell’esistente è sempre molto forte e quindi non sarà facile vincere le resistenze che, ci si può aspettare, verranno soprattutto dal corpo docente della scuola media, fatto di professoresse e professori che ci tengono a non essere confusi con i maestri, anzi, con le maestre.

  1. La riduzione del traking e un impianto più comprehensive della secondaria

Ridotta la discontinuità tra primaria e secondaria, segue poi un ulteriore biennio che gli autori vedono ancora fortemente unitario anche se in esso incominciano a delinearsi le differenziazioni che assumeranno maggior peso nel triennio successivo. La proposta affronta poi il tema cruciale della segmentazione prodotta dall’incanalamento precoce (traking) e va nella direzione di una riduzione della distanza tra licei, istituti tecnici e istituti professionali.

In questa prospettiva è importante rispondere alle domande: a chi, che cosa e come insegnare in una scuola superiore rinnovata in base alle indicazioni degli autori ?

Prima domanda: a chi ?

Oggi la differenziazione tra i tre ordini (licei, istituti tecnici e istituti professionali, dimenticandoci per il momento che c’è anche il settore della formazione professionale regionale) è prima di tutto determinata dalla posizione sociale della famiglia d’origine. I ceti alti e medio-alti ai licei, i ceti medi e medio-bassi agli istituti tecnici, i ceti inferiori ai professionali. In parte il fenomeno è inevitabile, ma le esperienze di altri paesi ci dicono che la sua portata è modificabile. La scuola, da sola, non può cancellare le disuguaglianze sociali, può però cercare di ridurle (e prima si riesce a farlo, nella scuola dell’infanzia e nella primaria, e meglio è). Per attenuare la rigidità della canalizzazione precoce in alcuni sistemi sono stati sperimentati dei percorsi di passaggio (metaforicamente chiamati ‘passerelle’) tra un canale e l’altro. Non mi risulta che abbiano raggiunto risultati apprezzabili.

Bisognerebbe cercare di evitare che vadano ai licei i rampolli delle classi superiori che non hanno capacità e voglia di studiare e invece non ci vadano i figli delle classi medie e medio basse che hanno sia talenti che voglia. Che i primi vadano al liceo è uno spreco di risorse, che i secondi non ci vadano è uno spreco di talenti di cui la società ha bisogno perché, come è noto, i talenti (qualsiasi significato si voglia attribuire a questo termine) sono per definizione scarsi. Quindi, oltre al “diritto allo studio”, solo massicci programmi “molto selettivi” di borse di studio possono attenuare le disuguaglianze in ingresso.

Seconda domanda: che cosa ?

D’accordo su un tronco comune sufficientemente ampio (sul quantum ovviamente ci sarà da discutere). Parlerei di aree piuttosto che di discipline: un’area linguistica (italiano, inglese), un’area storico-sociale (educazione civile, storia, geografia, scienze sociali), un’area matematico-scientifica, un’area tecnologico-pratica e un’area ludico-artistica-sportiva. Parlare di aree invece che di discipline è importante per discostarsi da un modello rigido di orario scolastico che non consente una certa flessibilità di aggregazioni all’interno di ogni area). Ritengo importante che nessuna di queste aree sia assente in qualche ordine di scuola secondaria, anche se può essere dimensionata in modi un po’ (non troppo) diversi. In particolare, ho vissuto come una privazione (per me, per i miei figli e ora per i miei nipoti) che nei licei non vi fosse nessun vero addestramento alla manualità, come se tra le mani e la mente non vi fosse nessuna relazione.

Lascio aperto il problema della presenza o meno della filosofia nel tronco comune. Però, che nella scuola ci debbano essere insegnamenti dove affrontare i grandi temi della filosofia morale, dell’etica e della politica è indispensabile, è molto discutibile invece che il modello liceale dei corsi di storia della filosofia possa rispondere a questa esigenza.

A parte il tronco comune e gli ambiti più specialistici legati all’inserimento lavorativo e alle scelte degli studi superiori, c’è l’area che ho indicato come ludico-artistica-sportiva che dovrebbe sempre più gravitare nell’ambito della scuola ma in un rapporto più integrato con l’extra-scuola, soprattutto se si accetta l’ipotesi di un’estensione del tempo prolungato e/o del tempo pieno. Oggi un aspetto importante delle disuguaglianze, che si riflettono poi anche sui rendimenti scolastici, riguarda proprio il fatto che vi sono famiglie che possono ed altre che non possono permettersi di offrire ai loro figli e alle loro figlie le attività che rientrano in quest’area. L’integrazione tra scuola ed extra-scuola è un modo per rendere più permeabili i confini tra la scuola e la comunità circostante e anche per ridurre l’isolamento della scuola come istituzione che la comunità non sempre percepisce come “propria”. Questo non vale soltanto per la scuola superiore, ma per tutti i livelli.

Terza domanda: come ?

A livello di 15-18 anni bisogna riconoscere che l’insegnamento a distanza diventerà irrinunciabile, anche se, vale la pena ripeterlo, non deve assolutamente diventare sostitutivo e neppure prevalente. Le misure di confinamento del Coronavirus hanno solo accelerato un processo in atto che sarebbe avvenuto comunque. Da questo punto di vista l’accelerazione è stata benvenuta. Si era verificata una situazione storica temporanea, ma con effetti potenzialmente negativi: la compresenza di una generazione nata e crescita prevalentemente in epoca pre-digitale, quella degli insegnanti, e della prima generazione di nativi digitali; una generazione assuefatta alla cultura del libro cartaceo ed un’altra del pc, del tablet e dello smartphone. Queste due generazioni si trovano a convivere nelle stesse classi, una sulla cattedra, l’altra sui banchi. Spesso è la generazione che siede sui banchi ad addestrare alla cultura digitale la generazione che siede sulla cattedra. La cultura del libro non scomparirà e possiamo sperare che l’alfabetizzazione digitale contribuisca a colmare il triste divario nelle abitudini di lettura che tradizionalmente vede l’Italia molto indietro nella graduatoria dei paesi europei.

Una conseguenza però mi sembra ci si possa tranquillamente aspettare: di tutti gli strumenti didattici sarà la lezione frontale sulle “istituzioni” di ogni disciplina ad essere più facilmente sostituita da materiali ricavabili dal web e ciò vorrà dire che in presenza prevarranno la didattica seminariale, i lavori di gruppo, gli apprendimenti cooperativi, il problem solving e cioè, tutto quanto va sotto l’etichetta della didattica “attiva” guidata dal docente o da un team di docenti.

La comparsa dell’istruzione a distanza, ma non solo, impone un ripensamento delle strutture degli spazi, dei tempi e dell’organizzazione. E’ pensabile che la “classe” che struttura lo spazio fisico (l’aula), l’orario scolastico settimanale, nonché l’orario di lavoro del personale insegnante, perda in parte la sua centralità come principio organizzativo delle attività che si svolgono dentro la scuola.

  1. Quale orario per quale livello di scuola.

Da quanto ho scritto risulta chiaro che sono favorevolissimo al “tempo lungo”, almeno per le età 3-14, non per assenza di fiducia nell’azione educativa delle famiglie (anche un po’ per quella), ma soprattutto perché ho fiducia nelle capacità della scuola di ridurre i condizionamenti che derivano dall’origine sociale, nella possibilità di creare condizioni che consentano la diffusione del lavoro femminile e nelle potenzialità co-educative che comporta lo stare coi pari. Certo, un “tempo lungo” come semplice prolungamento del tempo scolastico attuale (dove, non dimentichiamolo mai, una quota cospicua di studenti dichiara di annoiarsi), sarebbe una sventura. Una scuola aperta alla comunità e dove la comunità si sente responsabilizzata nei confronti della scuola, offre opportunità educative che si aggiungono, integrano e rafforzano il lavoro degli insegnanti.

  1. Le disuguaglianze territoriali

Ho lasciato quest’ultimo punto alla fine, ma avrei potuto metterlo subito all’inizio. Non basta denunciare le discrepanze territoriali, che sono gravissime, bisogna anche pensare a delle line di intervento nel quadro di una nuova centralità della questione meridionale. Bisogna soprattutto opporsi con decisione al tentativo di regionalizzare l’istruzione/educazione attraverso le proposte di “autonomie rafforzate” che, se dovessero realizzarsi, produrrebbero una drammatica amplificazione delle disuguaglianze tra Centro-Nord e Mezzogiorno. Anche in questo caso, come la scuola non può cancellare le disuguaglianze nell’origine sociale dei suoi studenti, così non può da sola colmare il divario territoriale che data da tanto tempo. Le politiche scolastiche potrebbero però mettere al primo posto nell’agenda la riduzione dei divari territoriali che non possono essere considerati civilmente tollerabili.

Per fare solo un esempio. E’ facile, sulla base dei dati PISA, INVALSI, ecc. identificare le aree dove la dispersione scolastica raggiunge le proporzioni più elevate. Adeguare a standard accettabili le attrezzature scolastiche (edilizia compresa) e distribuire incentivi economici e morali a insegnanti selezionati, disposti a trasferirsi in queste aree per un periodo non inferiore ai cinque anni, potrebbe essere un primo passo, sia pure anche solo sperimentale, per dimostrare di aver capito il problema e di volerlo affrontare.

facebook-2154972twitter-9912780

Scuola democratica
Scuola democratica