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La risposta di un docente

Dibattito Ripensare Gli Ordinamenti Scolastici: La risposta di un docente

La lettera qui pubblicata risponde  alla proposta di riforma degli ordinamenti scolastici presentata su questo sito il 22 giugno 2020.  Per accedere all’articolo che ha avviato il dibattito cliccare QUI

” Ho letto con interesse l’articolo apparso il  sul Corriere della Sera (per vedere l’articolo clicca QUI)  ed ho seguito gli approfondimenti su Scuola Democratica.Vorrei contestare radicalmente il punto di partenza dell’intero dibattito, che prende spunto dalla assenza di competenze rilevata negli studenti che frequentano le scuole italiane.Ho la fortuna di insegnare in un contesto in cui gli studenti raggiungono livelli di eccellenza al termine del ciclo di istruzione superiore, e sono in grado di distinguersi a livello internazionale in tutti i contesti in cui si misurano.A mio parere, negli studenti che hanno avuto un buon ciclo di istruzione primaria, tralasciando il ruolo sempre difficile della scuola media, i cinque anni di scuola secondaria superiore determinano il vero salto di qualità rispetto ai coetanei di altri paesi presi a riferimento per lo studio: il livello culturale dei nostri alunni risulta nettamente superiore e consente loro di affrontare qualunque ciclo di studi universitari,

in qualunque parte del mondo.Nel mio piccolo, ad esempio, osservando studenti francesi ed inglesi, ho avuto modo di confrontarli con i nostri studenti e di verificare come le loro conoscenze e competenze fossero generalmente inferiori e soprattutto focalizzate in poche materie di riferimento, mentre nei curricula dei liceali italiani è possibile riconoscere una formazione completa.

Non nego il fatto che mediamente i risultati nei test di competenza siano sconfortanti,  ma ritengo che la causa vada ricercata principalmente in due aspetti:

– squilibrio sociale e culturale tra diversi contesti di riferimento
– impoverimento della formazione tecnica e professionale

Il primo aspetto dovrebbe essere affrontato lavorando sul territorio e potenziando la scuola come presidio per ristabilire le pari opportunità tra i giovani, indipendentemente dal contesto sociale di appartenenza.

Il secondo aspetto, a mio parere, è dovuto paradossalmente all’innalzamento dell’obbligo scolastico che ha determinato l’utilizzo della scuola professionale come parcheggio in attesa dei 16 anni, oltre che alla scarsità di prospettive di lavoro al termine del ciclo di istruzione secondario, che sta determinando un eccessivo affollamento dei licei a danno degli istituti tecnici.

Le cosiddette “riforme della scuola” spesso comportano uno sconfinato spreco di risorse che hanno come unico effetto un aumento della burocrazia e delle sigle, con conseguente necessita di creare tabelle mentali di corrispondenza tra il vecchio ed il nuovo. Vorrei citare ad esempio  la recente re-introduzione dei giudizi al posto dei voti alla scuola primaria: era davvero così necessaria?

E ancora: a chi giova l’oscuramento dei quadri con i risultati scolastici che è stato predisposto per l’anno 2020?

Se vogliamo migliorare la nostra scuola, e soprattutto la sua efficacia sul territorio, occorre partire dalla valorizzazione del ruolo degli insegnanti e dal riconoscimento del merito agli studenti.

Cordiali Saluti,
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Liceo Scientifico Statale “Guido Castelnuovo”, Firenze

La risposta degli autori della proposta di riforma

“Caro prof. Ziliotto,

non intendo affatto porre in dubbio che esistano nei licei italiani non pochi contesti di eccellenza tra i quali si annovera il suo. La nostra proposta di ristrutturazione dei cicli non vuole assolutamente indebolirli dal momento che persegue accanto all’equità la qualità e l’eccellenza. Tuttavia, la mia esperienza di docente universitario (attualmente in pensione) condivisa da svariati colleghi di ieri e di oggi racconta anche una storia diversa: tante matricole a corto delle competenze fondamentali perfino di lettura e scrittura e con vuoti clamorosi di conoscenze nella storia contemporanea, prive cioè di conoscenze che sono essenziali sia per l’educazione alla cittadinanza che per il proseguimento degli studi nel campo delle scienze economiche e sociali. Per non parlare della matematica, la sua materia. Mi torna alla mente lo sconcerto che suscitavo agli esami ogniqualvolta mi azzardavo a mostrare ad uno studente una tabella o un grafico chiedendo di spiegarli. Ovviamente le matricole di matematica e di scienze arrivano all’università ben diversamente preparati ma la matematica è una disciplina troppo importante per essere confinata solo in quell’area di studi e nei ruoli professionali ai quali indirizza. Lei accenna al deperimento delle conoscenze dei diplomati tecnici e molti dei miei studenti in effetti lo erano, ma carenze vistose non di rado si riscontavano anche nei liceali, specie quando provenienti dalle regioni meridionali. Che la formazione liceale italiana sia più completa di quella impartita in alcuni altri paesi è vero ma non bisogna dimenticare che da noi i corsi della secondaria superiore durano uno o due anni più che nella maggior parte degli altri paesi europei. E la dispersione lungo il quinquennio delle superiori che è anche una scrematura dei migliori rimane ancora particolarmente forte.

Comunque fin qui abbiamo parlato di esperienze personali dotate per certo di un valore indiziario non trascurabile e che non sono però generalizzabili. L’analisi a supporto della nostra proposta si basa invece su dati statistici, attinti dai Large Scale Assessment italiani (INVALSI) e internazionali (OCSE, IEA). La storia che raccontano è molto chiara. Alla fine dell’obbligo scolastico circa il 22% degli studenti italiani – il 35% nell’area Sud-Isole – nelle prove di lettura conseguono punteggi al di sotto della soglia minima OCSE. Senza che a compensazione di un risultato così negativo in termini di inclusione si verifichi un risultato positivo in termini di eccellenza, considerato che in tutti i tre domini (lettura, matematica, scienze) abbiamo una quota di top-performers inferiore alla media internazionale OCSE. E’ giusto far colpa di ciò alla sola scuola media? Indubbiamente è lì che iniziano ad impennarsi disuguaglianze e sottorendimenti ma un altro punto critico si registra quando comincia l’articolazione gerarchica degli indirizzi. Il biennio obbligatorio delle superiori anziché far recuperare i ritardi e le disuguaglianze pregresse nell’apprendimento delle competenze di base le consolida e le rende irreversibili. Di qui la nostra proposta: un tronco comune di scolarità obbligatoria dai 3 ai 16 anni con l’esame di stato posticipato alla fine del percorso. Sarebbe un percorso finalizzato alla formazione di un adeguato zoccolo di competenze di base per tutti, e che specie nel suo tratto finale presenti una gamma di opzioni curricolari che consentano agli studenti di approfondire ambiti specifici migliorando le proprie performance, e di orientarsi alle scelte successive”.

Luciano Benadusi

Scuola democratica
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