Università: l’analisi e la diagnosi dell’ANVUR e le intenzioni della Ministra Giannini
di Fabio Matarazzo (avvocato nel foro di Roma e già direttore generale del Ministero dell’Università e della Ricerca)
L’Agenzia di Valutazione del sistema Universitario e della Ricerca (ANVUR) ha presentato a Roma, il 18 marzo, il suo primo rapporto biennale, cioè il “Rapporto sullo stato del sistema universitario e della ricerca per il 2013″. La versione integrale, di ben 615 pagine, si può consultare al seguente indirizzo: http://www.anvur
.org/attachments/article/644/Rapporto%20ANVUR%202013_UNIVERSITA%20e%20RICERCA_integrale.pdf . E’ tuttavia disponibile anche una più agile versione: http://www.anvur.org/attachments/article/644/Rapporto%20ANVUR%202013_UNIVERSITA%20e%20RICERCA_sintesi.pdf .
La dettagliata fotografia della situazione dell’Università e delle ricerca conferma, sostanzialmente, pur con la dovizia dei dati ed ampiezza di analisi -che, in aggiunta a ciò che era tradizionalmente presente nei Rapporti annuali del Comitato Nazionale per la Valutazione del Sistema Universitario, CNVSU, comprendono ora anche gli enti di ricerca e le istituzioni AFAM – una malattia conosciuta da tempo. Ne segnalano il degrado progressivo e vieppiù preoccupante, senza che si intravveda alcun accenno di inversione di tendenza. L’Italia risulta tra i paesi con la più bassa percentuale di laureati. E’ sempre più evidente la progressiva disaffezione dei nostri diplomati nei confronti dell’Università. Il tasso di passaggio scuola-università risulta di 11 punti inferiore a quello medio europeo. E’ notevole la flessione del numero delle immatricolazioni. Nonostante la difficoltà per i diplomati di trovare lavoro, l’Università non rappresenta più, evidentemente, un’appetibile area di parcheggio in attesa di prospettive future migliori né, tanto meno, l’ ascensore sociale che ne ha caratterizzato la funzione negli anni passati. Rimane alto, nonostante il 3+2, il numero degli abbandoni e basso il numero di coloro che ottengono il titolo, anche di primo livello, negli anni previsti. La media, per una laurea triennale, è di 5,1 anni. Eppure la laurea conviene, ce lo dice da tempo ‘AlmaLaurea’, lo conferma il rapporto. Conviene per le possibilità di impiego e per il ritorno economico. Questo non è però in grado di motivare studenti e famiglie. Incide negativamente, forse, l’opinione, di cui si fa cassa di risonanza il sistema mediatico ma anche qualche celebrato opinionista, secondo cui il nostro sistema produttivo non ha bisogno, e anzi in qualche modo osteggia i laureati, per rivolgersi a diplomati con preparati meglio per le esigenze delle nostre industrie. Diminuiscono le spese; diminuisce l’offerta formativa, permane l’assurdo fenomeno delle idoneità senza borsa nel diritto allo studio. Nel prossimo futuro mancheranno almeno 9000 professori. Il rapporto tra la spesa per l’istruzione universitaria e il PIL segna un meno 37% rispetto alla media OCSE. Insomma, i numeri sono tutti a disposizione e non c’è ragione di insistere per descrivere il piano inclinato sul quale ormai da tempo sta scivolando la nostra università e con essa la nostra capacità di progresso e di ruolo attivo nella società e nell’economia della conoscenza. Questo quadro fosco, del quale la Ministra si è dimostrata preoccupata, non sembra tuttavia aver suscitato nelle sue prime parole quel moto di reazione consapevole della necessità, non più procrastinabile, della “scossa”, del “cambiare verso”, che in altri campi contraddistinguono tanta parte del messaggio mediatico dell’attuale governo. Per Università e Ricerca, pilastri della strategia governativa, evocati teste di capitolo di un’ opportuna riscrittura del patto sociale, non sembra profilarsi una volontà di contraddire le politiche che in questi anni hanno accompagnato, al di là dell’alternarsi dei ministri e dei governi, questa parabola declinante quasi fosse l’ esito scontato e irreversibile di un pensiero unico e di un contesto economico immutabile. La Ministra riconosce nella conoscenza un essenziale strumento di riscatto sociale e considera il calo delle immatricolazioni questione politica, etica ed economica, ma, detto questo, non enuncia, per ora, propositi concreti discontinuità dai suoi predecessori. Certo, afferma la necessità di migliorare l’immagine del nostro sistema universitario per renderlo nuovamente attrattivo. La semplificazione delle procedure di accesso e di selezione torna ancora una volta nelle dichiarazioni della Ministra, così l’urgenza di orientamento e tutoraggio per ridimensionare abbandoni e fuori corso. Anche per il diritto allo studio è apprezzabile sentirla denunciare l’ignominia degli idonei senza borsa, ma anche questa dichiarazione soffre della ripetitività con cui viene ribadita senza risultati. Sono intenzioni positive che non possono non essere condivise ma sono attese alla verifica dei fatti. Troppi annunci analoghi abbiamo ascoltato in questi anni, e nessuno è stato capace di frenare l’incremento dei numeri che abbiamo letto. Le 615 pagine del rapporto ci consentono ora di conoscere da vicino, come mai finora, le specifiche situazioni in cui si articola il sistema. Mettono in chiaro che esso non è costituito da entità uniformi che possano essere regolate in maniera omogenea; pongono in luce che non possono essere giudicate in base a processi burocratici preordinati ed astratti, ma, e su questo sembra consentire e insistere la Ministra, sui risultati. E’ importante la possibilità di avvicinare, con l’azione di governo, ciascuna realtà e operare rispetto alle sue concrete esigenze per migliorarne gli esiti. Ma, per intraprendere questa via, l’unica in grado di assicurare il progresso di tutte le diversificate realtà con un percorso di continuo accompagnamento, deve dimenticarsi il ritornello (risonante ma, alla prova dei fatti, vacuo) della competitività, del merito, dei premi che poi non arrivano e delle punizioni che poi si rivelano impossibili.