Come cambia (o potrebbe cambiare) la funzione del dirigente scolastico?
di Ivana Summa (Esperta CIDI).
In risposta all’articolo Discutiamo lo sviluppo della Buona Scuola
A cosa dovrebbe servire un dirigente scolastico?
Parto da una domanda molto semplice ma provocatoria, nel senso che non possiamo non darci una qualche risposta: a cosa dovrebbe servire un dirigente scolastico?
Provo a costruire la risposta senza “paraocchi ideologici” che, peraltro, rende il lavoro di analisi e di proiezione molto più semplice. E’ un tentativo che dovremmo fare tutti.
Se si esamina la letteratura scientifica che rende conto delle ricerche che hanno indagato sulla correlazione tra la direzione scolastica e l’efficacia del servizio offerto nell’ambito della comparazione tra le scuole, si rileva il fenomeno per cui sono proprio i capi d’istituto a fare la differenza anche per quanto riguarda gli esiti di apprendimento degli studenti. Senza voler rendere conto delle ricerche in questo settore – per la stragrande maggioranza realizzate, non casualmente, nel mondo anglosassone – ci preme sottolineare che in nessun caso si tratta di dirigenti della pubblica amministrazione ma di “capi” che rispondono concretamente del servizio di istruzione avendo i poteri gestionali per esercitare tali funzione.
In Italia l’amministrazione scolastica – e non solo – ritiene questa figura marginale rispetto al funzionamento del servizio scolastico e, comunque, ne limita la funzione all’ambito amministrativo-burocratico, e ciò nonostante la grande retorica sulla managerializzazione che nacque all’epoca dell’attribuzione dell’autonomia alle singole istituzioni scolastiche. Di fatti, le successive politiche di reclutamento e di formazione dei dirigenti scolastici, proprio a far data dall’avvento dell’autonomia, gradualmente ma pervicacemente si sono basate sulle competenze amministrative e, più recentemente, su quelle di natura datoriale.
Eppure alla dirigenza scolastica, il Dlgs. 165/2001 ha riservato un intero e lungo articolo fortemente connotato sugli aspetti di specificità tanto da prevedere un reclutamento tutto interno alla professionalità docente e, dunque, caratterizzato da competenze tecniche soprattutto in questo ambito. E così non poteva non essere, se consideriamo che la scuola non è uno dei tanti apparati burocratici della pubblica amministrazione, in quanto eroga un servizio non proceduralizzabile e intangibile: l’ istruzione e la formazione della persona umana, collocate nell’ambito dell’art. 3 della Costituzione italiana.
In questa prospettiva, gestire una scuola non coincide tout court con l’amministrarla, bensì con l’organizzare tutte le risorse- quelle disponibili e quelle da acquisire – verso le finalità istituzionali.
Dunque, è necessario chiederci se, dopo un quindicennio di autonomia scolastica, non sia giunta finalmente l’ora di cambiare rotta a cominciare proprio dai capi d’istituto.
Perchè il ddl presentato dal governo Renzi sulla scuola insiste in modo rilevante sui dirigenti scolastici ed anzi attribuisce priprio a loro precise responsabilità gestionali? Perchè un dirigente scolastico deve servire a far funzionare bene l’istituto scolastico che dirige. Se questa è la risposta alla domanda iniziale- ovvero, buona scuola=scuola funzionante – proviamo ad analizzare dapprima i riferimenti normativi esistenti e poi quelli che il ddl citato propone.
Il potere di gestione e la sua interpretazione oltre il modello burocratico
Il ddl Renzi ha il merito – tutto da verificare nei provvedimenti che emergeranno nell’attuazione delle numerose e complesse deleghe – di attribuire una rilevanza strategica alla funzione istituzionale della dirigenza scolastica sia per il normale funzionamento delle scuole che, soprattutto, per il miglioramento di tutto il sistema e la concreta realizzazione dei processi riformistici ancora in atto (si pensi alle Indicazioni Nazionali sui curricoli della scuola dell’infanzia e del primo ciclo d’istruzione, alle direttive sui BES, ecc.), la cui reale implementazione finora è stata gestita – senza esiti in termini di efficacia – secondo la “linea burocratica”.
Un’analisi non superficiale e non politica del ddl Renzi ci dice, innanzitutto, che viene esaltato il “potere di gestione” del dirigente scolastico, previsto dall’art. 25 del Dlgs 165/2001.
A questo punto, però, si rende necessario chiarire che qualsiasi disegno riformistico che voglia cambiare profondamente ruolo e funzioni del dirigente, sia sul piano della necessaria modifica del profilo giuridico che su quello dell’interpretazione di ruolo, si trova a dover abbandonare il modello burocratico del dirigente amministrativo, potendo percorrere due possibili strade: quella della manageralizzazione e quella della leadership. Infatti, se leggiamo attentamente l’art. 25 del decreto legislativo n. 165/2001 (Dirigenti delle istituzioni scolastiche), possiamo rintracciare sia il profilo della leadership educativa che quello del management in espressioni quali: il dirigente scolastico “è responsabile dei risultati del servizio”; “promuove gli interventi per assicurare la qualità dei servizi formativi”; “presenta periodicamente al Consiglio d’istituto una relazione sulla direzione e coordinamento dell’attività formativa”, “assicura la gestione unitaria dell’istituzione; ha “autonomi poteri di direzione, di coordinamento e di valorizzazione delle risorse umane”.
Riprendiamo la definizione di manager e di leader che ne dà J.P. Kotter nel saggio “Ma cosa fanno davvero i leader?”, pubblicato nel volume di G.P.Quaglino “Leadership” (Guerini 2000): “…le aziende dovrebbero tenere presente che una leadership forte associata ad un management debole non è un a buona combinazione e, in verità, qualche volta è anche peggiore della combinazione contraria. La vera sfida è quella di bilanciare una leadership forte con un management altrettanto forte”. E ancora, in un passo successivo, chiarisce la differenza tra management e leadership:“il management consiste nel saper far lavorare le persone attraverso le tradizionali attività di pianificazione, organizzazione, monitoraggio e controllo, senza troppo preoccuparsi di quello che succede nella loro testa. La leadership si preoccupa invece al massimo grado di ciò che le persone sentono e pensano e della natura del loro legame con l’ambiente lavorativo, con l’organizzazione e con il posto di lavoro/compito assegnato”.
Come è del tutto evidente, non c’è contrapposizione tra queste due attività, anzi hanno in comune il fatto che l’una e l’altra si riferiscono a coloro i quali hanno una funzione dirigenziale, a prescindere dalla locuzione utilizzata per identificare questo ruolo e dall’organizzazione che presiedono.Non è difficile immaginare che anche la funzione del dirigente scolastico si collochi proprio in questo incrocio: basta pensare alla complessità della gestione del personale in una fase come quella attuale, in cui esistono forti pressioni normative per ottenere prestazioni elevate. Sono necessarie competenze manageriali o di leadership? Oppure è necessario trovare un equilibrio nell’interpretazione di ruolo? E’ necessaria una figura dirigenziale che, integrando efficacemente capacità di leadership e competenze manageriali (non amministrative-burocratiche!), sappia guidare processi di miglioramento e sviluppo, rispondendo poi dei risultati ottenuti.
In questo senso, peraltro, si muove il dpr n. 80/2013, che nella successiva Direttiva del 18 settembre 2014 n. 11, al punto a3) specifica: “Come previsto dal Regolamento, il modello di valutazione della dirigenza scolastica dovrà prestare attenzione agli obiettivi di miglioramento della scuola individuati attraverso il rapporto di autovalutazione e alle aree di miglioramento organizzativo e gestionale delle istituzioni scolastiche direttamente riconducibili all’operato del dirigente scolastico, ai fini della valutazione dei risultati della sua azione dirigenziale, secondo quanto previsto dall’articolo 25 del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, e successive modificazioni, e dal vigente contratto collettivo nazionale di lavoro dell’area della dirigenza scolastica”.
Da questo insieme di norme, possiamo affermare che il profilo del dirigente scolastico è comunque in via di trasformazione, dovendo rappresentare i due volti di una stessa medaglia:da una parte il manager (focalizzato sull’ordine e la coerenza, la pianificacazione e il controllo) e dall’altra il leader (orientato all’innovazione e alla progettualità, alla motivazione, alla valorizzazione e alla cura delle persone). In tutte le organizzazioni di lavoro il capo è imposto dal di fuori (legittimato, secondo la dottrina weberiana, da una qualche disposizione normativa e/o da una autorità), ed è proprio per questo che ha bisogno di legittimarsi in un contesto preciso per essere riconosciuto anche come leader.
Dunque, chi sta a capo di un’organizzazione di lavoro dovrebbe, in sostanza, esprimere – nell’organizzare, nell’amministrare e nel relazionarsi – sia competenze manageriali che di leadership.
La specificità organizzativa della scuola si presenta molto fertile per approfondire alcune questioni particolarmente significative sulla leadership e sul management: il rapporto tra gerarchia e qualità della leadership, il come conciliare la leadership istituzionale con la democrazia, la team leadership ovvero la leadership dei gruppi di vertice, lo sviluppo della dimensione comunitaria e collettiva utilizzando forme di collegialità non burocratiche ma quelle che creano “comunità di pratiche”.
Trasformare il mostro: breve analisi del ddl sulla “Buona Scuola”
Da quanto abbiamo sopra argomentato e dall’evoluzione del quadro giuridico dalla legge 150/2009 in poi, si comprende chiaramente come oggi siamo di fronte, da una parte ad un “dirigente dimezzato” se lo confrontiamo con le responsabilità ed i poteri degli altri dirigenti della P.A. e, dall’altra, di fronte ad un “mostro” condannato all’immobilità perchè non è capace né di volare, né di camminare, né di strisciare, né di saltare o volare. Fuor di metafora, stiamo affermando che ruolo e funzioni del dirigente scolastico vanno cambiati perchè o è responsabile del contenuto del servizio – l’insegnamento/apprendimento in tutti gli aspetti, da quelli tecnici a quelli di garanzia degli interessi e dei diritti – oppure dobbiamo rassegnarci a tenere in piedi un sistema scolastico che funziona come un insieme di “anarchie organizzate”, ovvero “sistemi di irresponsabilità”, non in grado di garantire la qualotà del servizio offerto ai cittadini.
E, tuttavia, non è certo “rafforzando la funzione del dirigente scolastico”, nè affidandogli l’elaborazione del Piano triennale dell’offerta formativa sulla base degli indirizzi strategici del Ministero e “di concerto con il Collegio dei docenti e sentito il Consiglio d’istituto”, né scegliendo “il personale da assegnare ai posti dell’organico dell’autonomia” che si può davvero agire sulla qualità del servizio effettivamente e concretamente erogato da ogni singolo docente.
Nel corpo del ddl si ritrovano altre numerose tracce dei compiti affidati al dirigente scolastico – compresa “la scelta, valorizzazione e valutazione dei docenti e dei risultati dell’istituzione scolastica” – ma queste attribuzioni vanno lette alla luce di quanto sancito nell’art. 7 comma 1 del ddl – (Competenze del dirigente scolastico): “Nell’ambito dell’autonomia della Istituzione scolastica, il dirigente scolastico ne assicura il buon andamento (e questo è un chiaro riferimento all’art. 97 della nostra Costituzione!). A tale scopo, svolge compiti di gestione direzionale, organizzativa e di coordinamento ed è responsabile delle scelte didattiche, formative e della valorizzazione delle risorse umane e del merito dei docenti”.
Ma, come è noto, il potere di gestione evoca uno spazio d’azione – di management e di leadership – ovvero la possibilità di intervenire sui processi con decisioni autonome che riguardano la scelta di mezzi e modalità per l’azione.Consapevole di ciò, il ddl Renzi prevede all’art. 21, tra tutte le altre deleghe al Governo, le seguenti che, direttamente o indirettamente, incidono sulla funzione del dirigente scolastico:
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” responsabilizzazione del dirigente scolastico nella scelta del personale docente e nella valorizzazione del merito e nella ottimizzazione dell’utilizzo delle risorse umane, finanziarie, strumentali”;
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“revisione e disciplina dell’organizzazione delle scuole che favorisca la stretta collaborazione tra gli organi di governo e tutte le sue componenti, improntata alla distinzione tra: funzioni di indirizzo generale, da riservare al consiglio dell’Istituzione scolastica autonoma; rafforzamento delle funzioni di gestione, impulso e proposta del dirigente scolastico; funzioni didattico-progettuali, da attribuire al Collegio dei docenti e alle sue aricolazioni2;
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“valorizzazione del direttore dei servizi generali ed amministrativi quale figura di supporto tecnico-amministrativo a servizio dell’autonomia scolastica”.
Come è facile rilevare, si prevedono cambiamenti significativi (le deleghe sono molto ampie) sia per quanto riguarda gli organi collegiali della scuola, che per quanto riguarda il profilo del direttore SGA Nessun riferimento, invece, al profilo professionale del docente nè in relazione all’articolazione della funzione docente prevista al comma 16 dell’art. 21 della legge 15 marzo 1997 n. 59 proprio nel contesto dell’attribuzione della dirigenza ai capi d’istituto, né in relazione alla “libertà di insegnamento” che, se non regolata come tutte le altre libertà professionali, di fatti condiziona fortemente sia i poteri di gestione del dirigente scolastico sia le connesse responsabilità.
Insomma, il mostro potrebbe trasformare le proprie fattezze, ma non sarebbe in grado di agire in modo efficace se non viene ricomposto un coerente quadro di sistema. E, si sa, i mostri impotenti vengono disprezzati e derisi, possono essere accusati di tutti i mali, ma non fanno paura a nessuno.