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La formazione senza standard

La formazione senza standard

di Giorgio Allulli (esperto di politiche formative, già dirigente di ricerca Isfol e Censis)

La riforma del Titolo V della Costituzione, che riguarda la suddivisione di competenze tra Stato e Regioni, costituisce un intervento quanto mai necessario, perché la situazione attuale, frutto della precedente riforma costituzionale del 2001, appare molto confusa. Infatti la riforma del 2001 nel ripartire le attribuzioni di Stato e Regioni ha largamente utilizzato la nozione di competenza concorrente, con il risultato di scatenare su una serie di materie, tra cui l’istruzione e la formazione, un contenzioso presso la Corte Costituzionale che ha ritardato l’attuazione di provvedimenti importanti. La stessa riforma ha rafforzato la competenza regionale in materia di istruzione e formazione professionale, attribuendola alle Regioni in modo “esclusivo”. Pertanto ogni Regione decide in piena autonomia le caratteristiche delle figure professionali e le competenze che si devono acquisire al termine dei percorsi formativi.

Le conseguenze sono paradossali: per ottenere la qualifica di idraulico in Piemonte bisogna soddisfare standard diversi da quelli stabiliti in Sicilia, come se le relative competenze cambiassero da regione a regione. Tutto questo pregiudica fortemente la credibilità del nostro sistema formativo e la stessa mobilità dei lavoratori: mentre l’Europa persegue la mobilità dei lavoratori tra Stati, l’Italia fa ancora fatica ad interfacciare le qualifiche attribuite dalle Regioni. L’attuale Titolo V prevede che si definiscano dei “livelli essenziali delle prestazioni” a livello nazionale, ma in un ambito come quello dell’istruzione e formazione questo processo è lento e difficoltoso.

Sono state individuate recentemente alcune (22) qualifiche nazionali, che costituiscono una sorta di “denominatore comune” di quelle nel frattempo istituite dalle varie Regioni, ma tale risultato, oltre ad essere stato estremamente oneroso in termini di impegno e di tempo dedicato (sono occorsi molti anni per arrivare a tanto), è quantitativamente limitato e poco significativo in termini regolamentari, dato che per accontentare tutti le maglie degli standard descrittivi delle qualifiche sono molto larghe. E’ anche stato istituito per legge un Repertorio nazionale delle qualifiche, che però rischia di diventare una sommatoria dei Repertori che nel frattempo quasi tutte le Regioni hanno istituito, e che possono essere anche molto differenti tra loro non solo per le qualifiche previste, ma anche per la stessa logica con cui sono stati costruiti.

E’ da notare che negli altri grandi Stati Europei esistono standard nazionali: in Francia le qualifiche professionali sono definite a livello nazionale attraverso i cosiddetti Referentiels, che specificano sia le caratteristiche della professione (quali sono i compiti che svolge il lavoratore), sia gli obiettivi del percorso formativo (in termini di competenze, capacità e conoscenze da acquisire), sia le modalità degli esami.

Nel Regno Unito spetta ai Sector skills councils, organismi settoriali bilaterali guidati dalle organizzazioni datoriali, definire i National Occupation Standards (NOS), che descrivono quello che occorre sapere e saper fare per svolgere determinate professioni, e costituiscono il punto di riferimento per organizzare le attività formative ed accreditare i centri di formazione.

Infine anche nella Germania federale, che pure attribuisce largo potere alle Regioni, gli standard di qualifica vengono definiti attraverso un rigoroso processo governato a livello nazionale, coinvolgendo anche le Regioni e le Parti sociali. Attualmente sono istituite 344 qualifiche nazionali.

In questi Paesi gli standard vengono stabiliti attraverso un forte coinvolgimento delle Parti sociali, che fanno parte di Commissioni permanenti organizzate su base settoriale; da noi invece la consultazione del mondo del lavoro avviene in modo sporadico, mentre la dimensione settoriale è praticamente assente; purtroppo senza il coinvolgimento sistematico del mondo del lavoro è difficile effettuare un’analisi approfondita sulle caratteristiche, anche evolutive, delle professioni. E senza un serio sistema di standard nazionali, che permettano di accertare i risultati ottenuti dall’offerta formativa e di attribuire titoli credibili e riconosciuti a livello nazionale ed europeo, sarà difficile sperare di riqualificare il sistema di istruzione e formazione professionale italiano. E’ dunque necessario che la riforma in cantiere, oltre ad eliminare giustamente l’equivoca nozione di competenze concorrente, riporti in capo allo Stato la definizione degli standard formativi anche per l’istruzione e la formazione professionale, come avviene in tutti i Paesi d’Europa.

Scuola democratica
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