Un convegno diverso dagli altri
di Alessandro Cavalli
GEO (Giovani Educazione Orientamento) è un Centro Interuniversitario attualmente composto dalle Università de L’Aquila, di Napoli Federico II, di Pavia, del Salento, di Siena e di Udine. Da circa quindici anni realizza ricerche, convegni, seminari di studio e attività formative sulla condizione giovanile, le istituzioni educative e i percorsi di orientamento scolastico e professionale. Tra il 30 novembre e il 1° dicembre dell’anno scorso ha organizzato a Roma un convegno per molti aspetti diverso dai tanti che negli ultimi anni hanno affrontato i temi delle riforme dell’università. Prima di tutto, non ha cercato, intenzionalmente, di attirare l’interesse e la curiosità di quella parte, ancorché ristretta, dell’opinione pubblica che è attenta ai problemi dell’università. Non ha voluto una copertura mediatica e non era neppure rivolto alla professione accademica nel suo complesso. L’invito era stato rivolto esclusivamente ai rettori e ai loro più stretti collaboratori, nonché a pochi esperti di istruzione superiore, per dare loro l’opportunità di riflettere e discutere tra pari, non sull’ultimo disegno di legge per l’ennesima riforma universitaria, ma sull’”idea di università” in base alla quale intendono orientare le strategie del proprio ateneo in un arco temporale di medio-lungo periodo. Perché proprio i rettori ? Perché i cambiamenti intervenuti nella governance, l’estensione del mandato, ma anche la non rieleggibilità dopo un unico rinnovo, ne fanno una figura centrale nel disegnare e gestire le strategie dell’istituzione.
I lavori si sono articolati su tre mezze giornate; la prima è stata dedicata alla presentazione delle relazioni e delle comunicazioni predisposte e inviate prima del Convegno ai rettori di alcune università di Geo e di altre sedi ritenute dal Comitato Scientifico del Convegno rilevanti per il tema affrontato [Brescia, Camerino, L’Aquila, Salento-Lecce, Milano Bicocca, Pavia, Siena, Udine] ai quali è stato chiesto con molto anticipo (più di un anno) di attivarsi, con la collaborazione di chi credevano opportuno, al fine di predisporre una relazione sugli orientamenti e sulle strategie progettate e/o messe in atto. I rettori degli altri atenei che avevano assicurato la loro partecipazione sono stati invitati a presentare delle comunicazioni da rendere anch’esse disponibili prima delle giornate del convegno. Nel complesso 33 sedi hanno aderito al Convegno e quasi tutte hanno partecipato coi loro rettori e/o i loro rappresentanti.
La seconda mezza giornata ha visto i partecipanti dividersi, a seconda delle rispettive specializzazioni, in 3 “tavoli di riflessione” per ambiti disciplinari: umanistico e delle scienze sociali, delle scienze sanitarie e matematico-scientifico e tecnico. I tavoli miravano a creare uno spazio di riflessione su problemi significativi con l’intento di riportare soluzioni concrete realizzate nel mondo universitario, cercando di identificare l’idea o le idee di università che hanno ispirato la scelta di determinate soluzioni piuttosto che altre. Nella terza mezza giornata i tavoli di riflessione hanno riferito al plenum le sintesi del loro lavoro, mentre due considerazioni conclusive hanno segnato la fine del convegno. Alla fine i partecipanti hanno molto apprezzato la formula del convegno che ha consentito di sollevare lo sguardo dalla contingenza, dai problemi da affrontare tutti i giorni, dai dibatti di corto respiro di cui si alimenta la stessa politica universitaria. Ne è emersa una volontà e un impegno comuni di ripetere in futuro incontri di questo tipo.
In poche righe non è possibile illustrare la grande ricchezza dei temi affrontati. E’ però possibile stilare un catalogo ragionato dei temi/problemi di fondo discussi durante il convegno e coi quali gli atenei dovranno confrontarsi negli anni a venire.
La gran parte degli atenei italiani sono “generalisti”, nel senso di offrire una formazione superiore in una svariata gamma di ambiti disciplinari, vale a dire in molte, se non in tutte, quelle che fino a poco tempo fa si chiamavano “facoltà”. Questo non vale per i “politecnici”, per alcuni atenei “privati” (come la Bocconi, la Luiss, la Suor Orsola Benincasa, la Lumsa, ecc.) e per alcune università “pubbliche” di più recente fondazione (ad esempio, Brescia). In diversi altri casi (ad esempio, Piemonte orientale, Insubria, Bologna), si è verificata una diffusione territoriale per “gemmazione” con la creazione di sedi distaccate, ognuna con una specializzazione disciplinare particolare. E’ probabile, e forse auspicabile, che alcune università di piccola dimensione (al di sotto di, o comunque intorno a, 10.000 studenti) geograficamente vicine possano decidere, nel disegnare la loro offerta formativa, di evitare sovrapposizioni e quindi di mettersi in competizione negli stessi ambiti disciplinari (ad esempio, il caso degli atenei marchigiani). In generale, si nota una tendenza, che può avere aspetti sia positivi che negativi, a concepire i sistemi di istruzione superiore su scala regionale.
In Italia gli studenti mostrano scarsa propensione alla mobilità territoriale. Nella scelta dell’ateneo il criterio della vicinanza alla propria residenza (o meglio, alla residenza della famiglia d’origine) risulta essere nella maggioranza dei casi determinante. La proliferazione delle sedi ha ulteriormente accentuato questa propensione. C’è solo un fenomeno di mobilità di considerevoli dimensioni e riguarda gli studenti meridionali che decidono di studiare in un’università del Centro-Nord. Il movimento nella direzione opposta è probabilmente assai esiguo. Le singole università tendono a competere tra loro per reclutare studenti nelle zone dove i rispettivi bacini di utenza si sovrappongono. Per contrastare una troppo accentuata tendenza localistica e per poter attrarre studenti provenienti da altre regioni (soprattutto se non limitrofe) l’unica via sarebbe di incrementare la disponibilità di residenze universitarie, particolarmente carenti nel nostro paese.
Considerando che molte università sono “generaliste” ed hanno un’antica tradizione, è improbabile che nel nostro sistema si generi una netta differenziazione tra research e teaching universities. Sembra più probabile (e anche auspicabile) che ogni ateneo abbia l’ambizione di avere uno o più (comunque pochi) settori di eccellenza, dove vanga svolta ricerca a livello internazionale e che attirino studenti e docenti non esclusivamente dal proprio bacino di utenza territoriale. Il sostegno dei settori “forti” e/o la decisione di promuovere alcuni settori promettenti affinché possano diventare “forti” devono avere come riferimento la possibilità di accedere a fondi di ricerca “competitivi” sia in sede nazionale che europea. Per l’individuazione di tali settori, e per poter orientare la strategia di ateneo in questa direzione, risulta indispensabile il riferimento alla VQR di cui si auspica la continuazione e l’affinamento delle metodologie.
La concentrazione di una parte delle risorse sul o sui settori della ricerca di punta non vuol dire che debba essere trascurata la didattica in questi e in tutti gli altri settori. La didattica universitaria è ancora in larga parte tradizionale (lezioni frontali), sia pure con differenze anche profonde nei diversi ambiti disciplinari. E’ auspicabile una maggiore diffusione di didattiche attive e laboratoriali e, soprattutto, è necessario sviluppare metodologie affidabili di valutazione della qualità della didattica, anche per attribuire ad essa maggior peso nei processi di reclutamento e progressione di carriera dei docenti. Inoltre, con la diffusione degli strumenti informatici e dei corsi on line, la didattica universitaria è destinata a subire cambiamenti profondi, di cui bisognerà tener conto anche nella progettazione degli spazi dedicati alla didattica.
Quasi tutte le università hanno sviluppato esperienze sia nel campo dell’orientamento ex ante, sia dell’orientamento ex post (job placement). Meno attenzione è stata dedicata all’orientamento in itinere, cioè durante il percorso universitario e, in particolare, nei primissimi semestri dove è ancora molto alta la quota degli abbandoni e dei cambi di indirizzo di studio. E’ invece importantissimo dare alle studentesse e agli studenti la sensazione concreta di non essere abbandonati a sé stessi, ma che l’istituzione si preoccupa della buona riuscita del loro percorso.
Sono stati affrontati anche i temi della cd “terza missione”, dell’importanza che l’università diventi un fattore dello sviluppo del territorio locale, sia favorendo la ricerca applicata in collaborazione con le imprese presenti, sia promuovendo l’imprenditorialità, creando opportunità di innovazione e incubatori di impresa, attraverso forme che rendano possibile la sinergia tra diversi dipartimenti.
In conclusione, il Convegno ha sottolineato la necessità di spazi di discussione e riflessione collegiale orientati a prospettive temporali di medio-lungo termine.