Un contributo alla definizione di Innovazione
di Fausto Benedetti (Ricercatore presso l’Istituto Nazionale di Documentazione, Innovazione e Ricerca Educativa – INDIRE)
Introduzione
Innovazione in senso puramente etimologico significa “far nuovo” oppure “rendere nuovo”. In altre parole, vuol dire realizzare qualcosa che prima non esisteva e dunque alterare l’ordine delle cose stabilite, rivolgendolo completamente.
Appare chiaro che questo termine apre spazi di riflessione vastissimi.
La metascienza ha dedicato importanti riflessioni al fenomeno delle cosiddette rivoluzioni scientifiche e ai processi con i quali si accumulano le conoscenze attraverso modi e sistemi capaci di dare garanzie di validità a ciò che d’innovativo viene acquisito.
Sappiamo che Popper ha analizzato questo processo di accumulazione attraverso il noto concetto di falsificazionismo.
In seguito, alcuni dei suoi allievi e collaboratori hanno raccolto e sviluppato le sue intuizioni. Posizioni diverse sono state proposte recentemente in opposizione al suo lavoro.
Il confronto-scontro tra popperiani e studiosi ha avuto durante il colloquio internazionale sulla Filosofia della Scienza (Londra, Bedford College, 1965).
Da quella situazione emerse la figura di Thomas Kuhn.
Innovazione come rottura di un paradigma
Thomas Kuhn si è posto il problema dell’innovazione dei paradigmi e dei modelli teorici, cercando di capire come identificare le relazioni esistenti tra periodi normalmente evolutivi della Scienza e quelli rivoluzionari.
In Structure of Scentific Revolution egli sostiene che per ogni scienza sia possibile parlare di un periodo “pre-paradigmatico”.
In questa fase si accumulano fatti e idee in modo casuale.
Per Kuhn nel periodo pre-paradigmatico possono sorgere e scontrarsi scuole di pensiero diverse e, talvolta, in concorrenza tra loro ma non destinate a prendere il sopravvento.
Può verificarsi che un sistema teorico cominci a essere da tutti accettato e condiviso trasformandosi così in un paradigma.
Dopo che il paradigma si è pienamente affermato, si entra in un periodo di “scienza normale” in cui le ricerche sono condotte in accordo con il modello di riferimento fornito da precedenti studi che hanno registrato esiti favorevoli.
Quello che in questo periodo non funziona o non si adatta al paradigma è ignorato o considerato come un’anomalia.
Se però ciò che non funziona è ricorrente allora il paradigma entra in crisi.
Si giunge a quella che può definirsi rivoluzione e che conduce al sorgere di un nuovo paradigma e a un successivo periodo di “scienza normale”.
Di qui due considerazioni.
La prima consiste nel fatto che in conformità a questa teoria si può pensare che ogni disciplina conoscitiva è punteggiata e intercalata da importanti discontinuità.
La seconda, invece, riguarda il modo in cui ogni studioso vede il mondo, che è conformato dal suo impegno verso il paradigma cui fa riferimento.
Se dunque, si può asserire che l’innovazione esiste pienamente in un contesto “rivoluzionario” allo stesso tempo si può affermare, in una logica squisitamente kuhniana, che non può esistere un “radicamento” dell’innovazione dal momento che essa esiste in una logica prettamente binaria o perché la conoscenza ha trovato una frattura nel suo procedere; e allora tutto cambia oppure non esiste, giacché ci si trova in un periodo di “normalità”, e nemmeno si può parlare di innovazione per accumulo dal momento che il concetto stesso di accumulo si riferisce ad una fase semplicemente incrementale tipica di un periodo di “scienza normale”.
Ragionando d’innovazione una quieta riflessione sul pensiero di Kuhn è ineludibile, giacché le sue concezioni superano qualsiasi modello “monistico” della conoscenza scientifica e della conoscenza in sé che vedrebbero come progresso il semplice accumulo incrementale di sapere. Non esiste innovazione senza escatologia.
Innovazione come anarchia della ricerca
La razionalità su cui si fonda l’idea di crescita è avversata non solo dalle tesi di Kuhn, ma anche dalla riflessione di Paul Feyerabend.
Nello scrivere Contro il metodo Feyerabend asserisce di voler condurre un’impresa anarchica. Non esiste un metodo esclusivo di ricerca che perseguito fideisticamente possa garantire il conseguimento della conoscenza. Esistono innumerevoli metodi diversi e tutti devono essere saggiati.
La scienza non ha alcun metodo speciale che le permetta di essere considerata un’attività previlegiata perché in grado di generare vera conoscenza. Nemmeno la piena razionalità spetta alla scienza o è un suo esclusivo appannaggio. Infatti, quando si genera un progresso teorico, le nuove idee, se giudicate sulla base dei canoni di pensiero della posizione teorica precedente, sono talvolta irrazionali.
Avvicinandosi alle categorie kuhniane, Feyerabend sostiene che i paradigmi scientifici mutano attraverso atti d’irrazionalità.
Dovrebbe esserci la massima libertà di scelta circa il “sistema di conoscenza” che si adotta poiché non esiste alcuna disciplina particolare che possa ritagliarsi un posto speciale all’interno dei programmi educativi.
Se ciò è vero, allora è auspicabile che sia alimentata la proliferazione continua di teorie nuove, in grado di ampliare i nostri orizzonti e di consentire il progresso della scienza.
L’innovazione perciò può essere generata pure da logiche dialettiche impreviste e può esistere anche se non è prodotta intenzionalmente.
Insomma, l’innovazione non si produce e non si radica, non s’impone e non si accompagna è essa che origina e produce se stessa e non viene messa a sistema perché già essa è un sistema.
Innovazione come conduzione di un programma
Le posizioni proposte nella riflessione di Kuhn e Feyerabend trovano una prima e parziale sintesi nel pensiero di Imre Lakatos.
Il suo tentativo fu quello di analizzare i processi per mezzo dei quali una teoria viene sostituita da un’altra all’interno di un “programma di ricerca” che è una sequenza di studi nella quale si condividono alcune regole metodologiche.
L’applicazione di queste regole facilita la scoperta.
Alcune teorie sono immodificabili e identificabili come hard core, mentre altre sono suscettibili di modifica. Queste sono chiamate “cintura protettiva”.
L’hard core non viene mai alterato, altrimenti si è costretti a entrare in un altro programma di ricerca o, come direbbe Kuhn, paradigma. Il lavoro in un programma di ricerca che ha una cintura solida e un nucleo inattingibile può essere “khunianamente” identificato in un periodo di scienza normale.
Lakatos opera una distinzione tra programmi di ricerca progressivi (in continuo incremento) e degenerativi (privi di crescita).
Nei suoi ultimi scritti Lakatos, avvicinandosi all’ anarchismo metodologico di Feyerabend, ha ammesso che forse nessun programma di ricerca deve essere preferito ad un altro.
L’innovazione, anche qui, va considerata come un insieme di contributi diversi e talvolta addirittura divergenti, che fratturano la linea retta della conoscenza.
In altre parole, se pure si volesse riflettere sul radicamento dell’innovazione ciò non sarebbe possibile giacché non si potrebbe conoscere con certezza, se si sta agendo in una condizione innovativa oppure no.
Conclusioni
Le posizioni nei confronti dell’innovazione, disegnano uno spettro ampio d’interpretazioni.
I contributi dei filosofi della scienza esaminati in questo ragionamento forniscono, del concetto d’innovazione, un’interpretazione in termini di rottura tra le fasi che la precedono e la seguono che restituisce pieno valore al ruolo degli eventi devianti e delle anomalie come elementi da non ricondurre ai paradigmi consolidati.
Gli autori che abbiamo considerato interpretano l’innovazione in modo pluri-causalistico.
Pur in mancanza di un accordo globale sulla natura delle condizioni che sono in grado di favorire la presenza dell’innovazione in determinati contesti, per noi quello scolastico, sembra che emerga la convinzione che nessuna innovazione possa avere un’incidenza ed un impatto duraturi se non alla condizione di rispondere ad esigenze già, presenti all’interno del contesto in cui essa si manifesta.