Educazione e cittadinanza in tempi di crisi della democrazia
di Loredana Sciolla
[l’articolo che segue risponde alla chiamata al DIBATTITO EDUCAZIONE CIVICA ORA. Per vedere l’articolo di avvio del dibattito clicca QUI ]Il processo di apprendimento è collocabile lungo un continuum di formalità e istituzionalizzazione. L’istruzione formale, rilevata attraverso il titolo di studio acquisito, come mostrano numerose ricerche, ha un impatto rilevante non solo sul benessere economico, aspetto questo assai noto, ma anche sulle molteplici dimensioni di cui si compone il benessere collettivo di una nazione, in particolare sullo sviluppo di una società culturalmente più avanzata e civile.
Un recente rapporto dell’Istat (Senso civico : Atteggiamenti e comportamenti dei cittadini nella vita quotidiana, 2019) rileva che in Italia lo spirito civico, ritenuto in genere molto carente, risulta in realtà in crescita e diffuso alla grande maggioranza della popolazione per quanto riguarda il giudizio di ingiustificabilità di alcuni comportamenti lesivi delle regole quotidiane del vivere civile, come gettare a terra cartacce, viaggiare senza biglietto sui mezzi pubblici, usare il cellulare alla guida senza auricolare, parcheggiare dove è vietato, farsi raccomandare per ottenere un lavoro, non pagare le tasse. E’ di un certo interesse notare che adesso come in passato (v. Sciolla La sfida dei valori, 2004) tra questi aspetti del civismo e il titolo di studio il rapporto non è lineare. A manifestare maggiore intransigenza sono infatti i poli opposti dei più istruiti (laurea o più) e dei meno istruiti (licenza elementare o nessun titolo). Inoltre sono le donne e le persone anziane le più intransigenti, mentre tra i giovani si rileva un maggiore permissivismo. Si osserva che l’istruzione formale gioca un ruolo cruciale soprattutto nel giudizio negativo sui comportamenti fortemente lesivi dell’interesse pubblico. Sugli altri comportamenti civici l’istruzione e le competenze fornite a scuola sembrano assai meno influenti.
Getta, inoltre, un’ombra su un quadro relativamente positivo dello spirito civico in Italia il fatto che, pur attribuendo un giudizio di condanna della corruzione, un terzo dei cittadini ritenga poi inutile denunciarla. Questa percezione dell’inevitabilità della corruzione, solo di poco superiore al Sud rispetto al Nord Italia, cresce sensibilmente con l’età e diminuisce in maniera consistente con l’aumento del titolo di studio. Un’ultima considerazione su un comportamento molto pertinente rispetto al tema di questo intervento: copiare a scuola, atto disonesto che viola le più elementari regole dell’istituzione scolastica, è considerato grave (molto o abbastanza) dal 70% delle persone (ma scende al 49% tra gli adolescenti), senza divari territoriali, con un pur sempre un ragguardevole 30% che, al contrario, lo ritiene ammissibile. L’atteggiamento di condanna è più diffuso tra chi ha un titolo di studio superiore. Tuttavia giovani e giovanissimi, maschi soprattutto, si mostrano più indulgenti degli adulti anche a parità di titolo di studio. I giovani oggi come ieri, in Italia e in Europa, tendono ad essere più permissivi degli adulti rispetto alla giustificabilità di comportamenti che ledono, in generale, l’interesse della collettività. Meno civici nel rapporto con le istituzioni, i giovani risultano più aperti culturalmente al riconoscimento dell’alterità e della parità uomo/donna e più libertari per quanto riguarda la morale (dall’eutanasia all’omosessualità). Questi ultimi aspetti, più trascurati dalla letteratura, sono emersi con forza da elaborazioni su dati di indagini internazionali (ESS e EVS) che rilevano anche il maggior tradizionalismo degli italiani rispetto agli altri Paesi europei, una sorta di ritorno al passato che colpisce anche i giovani e colloca l’Italia al livello dei Paesi dell’Est Europa. Avere un basso livello di istruzione aumenta in maniera consistente gli atteggiamenti conservatori e tradizionalisti rispetto alla donna e di chiusura al diverso (Sciolla e Torrioni, Tradizione e innovazione nei valori degli europei, 2018).
La maggior tolleranza da parte dei giovani, anche quelli più istruiti, dei comportamenti trasgressivi dell’interesse pubblico, insieme alla peculiarità tutta italiana di un ritorno al passato su temi paritari sanciti dalla costituzione italiana e dai trattati dell’UE, fanno pensare che il ruolo dell’istruzione formale sia molto importante, da sviluppare e migliorare, ma non sia sufficiente. Il divario giovani/adulti mette in evidenza che qualcosa non funziona nella trasmissione intergenerazionale dei valori civici. Si è parlato molto, d’altro canto, dell’indebolimento delle principali istituzioni sociali preposte al compito della socializzazione, connesse alle profonde trasformazioni della famiglia e dei ruoli di genere, al declino dell’autorità e della gerarchia nella scuola, alla presenza sempre più diffusa dei nuovi media in cui l’atteggiamento antiistituzionale domina il discorso dei social.
Accanto all’istruzione formale bisogna dunque considerare il ruolo dell’apprendimento informale, generalmente definito come “pratica diffusa di acquisizione di conoscenze e abilità intraprese da individui e gruppi che studiano e sperimentano al di fuori di contesti formali di istruzione” (v. Jeff T. and Smith M.K., Informal Education. Conversation, democracy and learning, 2005). Si tratta, in sintesi, di tutti quei processi che avvengono in famiglia, sul posto di lavoro, nei contesti associativi, a scuola nelle relazioni extracurriculari, nelle conversazioni della vita quotidiana. Questi, in gran parte non intenzionali e scarsamente strutturati in termini di obiettivi, rientrano nella nozione più ampia di “socializzazione” usata dalle scienze sociali. Essi assumono oggi una particolare rilevanza perché, accanto alle abilità cognitive, evidenziano anche l’importanza di quelle emotive, relazionali e comunicative, abilità tra l’altro sempre più richieste nella cosiddetta “economia della conoscenza”. Esiste un crescente consenso a livello europeo sul fatto che la cittadinanza democratica, il rispetto per i diritti umani e la comprensione interculturale, si imparino più efficacemente attraverso l’esperienza e il “fare” che attraverso il “conoscere”.
A partire soprattutto dalle più recenti ricerche sulla socializzazione, si osserva che i processi informali di apprendimento hanno subìto trasformazioni radicali a partire soprattutto dagli anni Sessanta del secolo scorso, anche se il cambiamento è iniziato molto prima. Tale cambiamento ha avuto esiti non solo negativi (come l’indebolimento dell’autorità, la svalutazione del ruolo propriamente morale e formativo della scuola), ma anche positivi come l’abbassamento della conflittualità intergenerazionale in famiglia e a scuola, la diffusione di modelli collaborativi e negoziali nella definizione delle regole, un trattamento più paritario tra i generi in tutte le agenzie di socializzazione.
Alcuni aspetti più problematici di questo cambiamento sono, a mio parere, riconducibili alla “parabola” della democrazia descritta da Colin Crouch in Post-democrazia (2004). Dalla metà del secolo XX, che rappresenta l’apice della fase democratica in Europa, inizia, secondo Crouch, un progressivo indebolimento, una parabola discendente della democrazia. La crisi della democrazia, ma forse sarebbe meglio parlare di erosione, si riferisce non alla “democrazia minima”, ossia procedurale, di cui parlava, tra gli altri, Bobbio, che è tutto sommato in buona salute, ma a quella che chiamerei una “democrazia abbastanza esigente”, intendendo con ciò non tanto una disposizione illimitata all’altruismo e al sacrificio per il bene pubblico, ma una democrazia in cui i cittadini abbiano effettivi diritti politici e civili, siano destinatari di informazioni accurate, di abilità riflessive, di saperi organizzati, di contesti di discussione e di argomentazione molto maggiori di quanto avvenga oggi e sia avvenuto in passato (v. Rositi, Sulle virtù pubbliche 2001). Amplificata dalla grande crisi economica, la crisi democratica si manifesta in alcuni fenomeni convergenti: la sfida alla democrazia da parte del capitalismo finanziario, lo svilimento dell’opinione pubblica, la crescente sfiducia dei cittadini verso le istituzioni politiche (parlamento, partiti), la disaffezione verso il voto e altre forme di partecipazione alla vita politica, la personalizzazione e commercializzazione dei partiti, il dominio delle lobby degli affari sulla politica, l’aumento enorme delle disuguaglianze, la deriva oligarchica, fino al più recente sorgere delle cosiddette “democrazie illiberali” in molti Paesi europei. Non è comunque questa la sede per approfondire i tratti della crisi democratica in corso per la quale rimando all’ampia letteratura esistente. Mi limiterò a citare tre aspetti di questa crisi che possono avere un impatto negativo sui processi di trasmissione e apprendimento della cittadinanza democratica.
Primo. Nell’attuale post-democrazia si fa strada un’accezione negativa di cittadinanza. Ciò avviene quando lo scopo principale della protesta è vedere i politici messi alla gogna, a scapito di un’accezione positiva di cittadinanza, intesa come formulazione autonoma di richieste rivolte al sistema politico (v. Crouch, cit.). Il mettere alla gogna implica un misconoscimento di tipo reattivo, emozionale e non basato sul ragionamento critico. Questo clima diffuso potrebbe alimentare nella trasmissione verticale (dagli adulti ai giovani) e orizzontale (tra pari) l’idea che la protesta consista nell’espressione di sentimenti di rancore e risentimento per gli episodi quotidiani di corruzione e di intreccio tra affari e politica, ma anche l’idea, che abbiamo visto confermata dai dati Istat, della loro inevitabilità. Questo atteggiamento fatalistico è il contrario della cittadinanza attiva.
Secondo. Assistiamo a un nuovo ed esteso processo di “disintermediazione” sociale, che consiste nell’erosione dei gruppi intermedi tra Stato e cittadini, come le associazioni volontarie che Tocqueville definiva la “linfa vitale della democrazia”, i sindacati, i partiti (in passato vere e proprie scuole di educazione politica) e altri soggetti collettivi. E’ questo il terreno di coltura di varie forme di populismo in cui il leader politico si rivolge direttamente, senza alcuna mediazione, al popolo inteso come un tutto indistinto. Nel creare questo contesto di disgregazione del tessuto sociale, anche le nuove tecnologie giocano un ruolo importante. Gli utenti si servono sempre di più di piattaforme telematiche e di provider che consentono loro di superare le mediazioni. Le grandi piattaforme, come Apple, Facebook, Amazon sono dei veri e propri monopoli che concentrano il potere su un’unica persona e agiscono senza controlli. Non solo si sta sviluppando così una economia della disintermediazione digitale, ma anche una politica della disintermediazione, visibile nelle ultime campagne politiche del 2016 (quella che ha portato alla Brexit e all’elezione di Donald Trump alla presidenza degli USA) che hanno usato i social media per appellarsi direttamente al popolo spingendolo ad ignorare il parere degli esperti in quanto ritenuti parte dell’establishment. La disintermediazione, che si sposa paradossalmente con un mondo sempre più interconnesso, incide sui fenomeni della partecipazione politica e associativa e ha uno stretto rapporto con la svalutazione del sapere e della competenza che sono al centro di ogni attività educativa.
Terzo. Assistiamo dunque a un fenomeno di svalutazione del sapere, soprattutto scientifico, sintomo di una mutazione in atto tra scienza, politica, media e società. La svalutazione del sapere deve essere compreso nel quadro dell’indebolimento della democrazia e, in particolare, della più generale sfiducia nelle istituzioni e del distacco tra élites politiche e cittadini. Tra i molti esempi ricordiamo il seguito sul web delle fake news, il successo del movimento no vax ecc. Le cause non sono tanto da ricercarsi nell’ignoranza di chi protesta visto che i no vax e i partecipanti a vari altri movimenti riferibili a orientamenti pseudo-scientifici sono in possesso di titoli di studio elevati (Tipaldo, La società della pseudoscienza, 2019), bensì nella sfiducia diffusa verso la comunità scientifica, vista come manipolata dagli interessi economici delle aziende multinazionali. Essa è anche l’effetto del più generale processo di disintermediazione di cui si è parlato prima, che tende a contestare l’autorità di tutti i gruppi intermedi, compresi quelli che hanno obiettivi conoscitivi, e ad erigere l’individuo singolo come unica fonte legittima di conoscenza.
La sfiducia nella competenza e nel sapere scientifico indebolisce la già scarsa reputazione sociale degli insegnanti. Mentre ai genitori si chiede sostegno e complicità verso i figli, gli insegnanti risentono del clima generale di indebolimento dell’autorità delle professioni legate alla trasmissione dell’istruzione e della conoscenza. Ne consegue uno sfaldamento dell’alleanza genitori/insegnanti: l’intromissione a volte violenta delle famiglie nella scuola, di cui ci parlano sempre più numerosi fatti di cronaca, sono il segno non soltanto di una mancanza di rispetto verso la scuola e i suoi rappresentanti, ma un disprezzo della capacità di giudizio e valutazione dell’istituzione scolastica (“nessuno può giudicare mio figlio meglio di me che sono suo padre”)
Gli aspetti fin qui affrontati sono questioni aperte, ancora da approfondire, ma che potrebbero gettare qualche luce sui problemi che abbiamo davanti e sulle strategie per farvi fronte. Possiamo anche intenderle come delle sfide che possono essere affrontate in maniera costruttiva o no. Qualche prima considerazione conclusiva può essere comunque fatta.
E’ ipotizzabile, e in parte verificato, che la crisi della democrazia abbia un impatto negativo sui processi educativi che rischiano di incepparsi e subire involuzioni. A loro volta questi ultimi, indeboliti e minacciati, hanno perso parte della loro capacità di formare democraticamente i cittadini. Per rompere questo circolo vizioso si tratta di puntare a tutti i livelli sulla diffusione e rafforzamento dell’istruzione e dell’informazione. Più i cittadini sono istruiti e informati meno sono manipolabili. Ma gli sforzi maggiori devono essere indirizzati a promuovere l’educazione alla cittadinanza democratica spiegando come questa sia cambiata nel tempo e come recuperare il senso di una cittadinanza attiva ed esigente non solo attraverso la sua istituzionalizzazione nel curriculum come materia specifica di insegnamento, ma attraverso tutti i mezzi disponibili: dalla diffusione delle buone pratiche all’uso informato e critico dei nuovi media, dalla promozione di contesti che sviluppano l’interazione e il senso di comunità, allo sviluppo dell’attitudine al ragionamento e all’argomentazione.
Si ricorda che il numero speciale di Scuola Democratica dedicato a Education and Postdemocracy è on line e gratuito. Per accedere cliccare QUI
Si ricorda che gli Atti della conferenza EDUCATION AND POST-DEMOCRACY 2019 sono on line e gratuiti. Per accedere cliccare QUI
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