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Formazione degli insegnanti secondari: come uscire dall’attuale (brutto) momento

Formazione degli insegnanti secondari: come uscire dall’attuale (brutto) momento

di Giunio Luzzatto*

L’altroieri

E’ opportuno, per ragionare sull’oggi, un sintetico richiamo alla storia relativa alla formazione degli insegnanti secondari. Provvedere a questa, dal 1999, attraverso una Scuola di specializzazione post-laurea (SSIS), colmava una lacuna: fino ad allora l’Italia era il solo, tra i Paesi con i quali siamo abituati a confrontarci, nel quale l’assunzione di tali insegnanti aveva come requisito la mera laurea disciplinare, senza alcuna preparazione alla professione. La SSIS è stata poi sostituita da percorsi meno impegnativi, più volte modificati (senza mai far precedere la modifica dall’esame di ciò che ha, o non ha, funzionato nella procedura che viene variata); tali percorsi fornivano la abilitazione come titolo necessario per partecipare ai concorsi di assunzione nel sistema scolastico pubblico.

Peraltro, il reclutamento “ordinario” dei docenti attraverso il concorso, la procedura prescritta dalla Costituzione, ha rappresentato, negli anni, solo una delle forme di assunzione; il diffondersi abnorme di supplenze, e la grande dimensione numerica del conseguente precariato, hanno sollecitato a “sanatorie” e ad altre procedure straordinarie; queste sono poi risultate di molto prevalenti rispetto a quelle ordinarie. L’opportunità, per gli abilitati, di partecipare a bandi con numeri di posti paragonabili a quelli degli aspiranti si è andata così riducendo; masse di abilitati in attesa per anni non di un “posto”, ma della possibilità di concorrere per conseguirlo, hanno ridotto la stessa credibilità di un sistema che era stato costruito sulla base di una ipotesi rivelatasi solo teorica1. Tale assenza di credibilità ha anche un ruolo decisivo nella scelta di lavoro dei neo-laureati: la prospettiva di iniziare un nuovo periodo di studio, la cui conclusione è un futuro incerto e un presente di supplenze precarie, scoraggia chiunque abbia una qualsiasi diversa opportunità, e perciò tutti i migliori.

Ieri

Il Decreto Legislativo 59 del 2017 innova radicalmente la situazione sopra denunciata. Anziché destinare un Corso universitario abilitante a laureati che spesso non potranno poi utilizzare quanto acquisito nel Corso (con frustrazione loro e con spreco di risorse per l’istituzione che li forma), il Corso viene inserito in un percorso formativo triennale successivo al concorso di ingresso.

Nel primo anno, il vincitore ha il compito di frequentare, a tempo pieno, il Corso universitario destinato appunto ai vincitori; nel biennio successivo, qualora il Corso si sia concluso positivamente egli viene destinato a svolgere, in classi dell’ordine di scuola per il quale ha concorso, una attività didattica guidata da docenti scolastici esperti. Il Decreto 59 ha voluto altresì evitare che il concorso di accesso giudicasse un futuro insegnante solo sulla base delle competenze disciplinari; prevede perciò che attraverso insegnamenti opzionali all’interno di Laurea e Laurea Magistrale, o attraverso successivi insegnamenti aggiuntivi, il candidato debba aver acquisito almeno 24 Crediti (CFU) nelle aree scientifiche di natura pedagogico-didattica.

La soluzione adottata garantiva in partenza il raccordo tra formazione alla professione e reclutamento, quel rapporto finora mancato che ha determinato il fallimento delle soluzioni precedenti. Il ribaltamento dell’ordine tra i due momenti è significativo non solo per questo motivo, ma anche perché definisce un compito rilevante per la fase nella quale inizia il lavoro del nuovo insegnante: si tratta del suo valido inserimento nel sistema educativo, attraverso una attività detta induction nelle realtà del mondo anglosassone, il quale dedica estrema attenzione a questo tema, del tutto ignorato nella storia dell’organizzazione scolastica italiana (manca addirittura il vocabolo per indicarlo!).

Oggi

Ancora una volta, nel 2018 un cambio di governo ha fatto cancellare la soluzione precedente, questa volta prima ancora che fosse messa in opera. Il triennio di formazione/inserimento, con un primo anno destinato esclusivamente allo studio, è stato sostituito2 dalla mera caratterizzazione del primo anno di ordinario servizio in termini equivalenti al tradizionale “anno di prova” da sempre rivelatosi inconsistente.

I 24 CFU, previsti per presentarsi ai concorsi, sono oggi divenuti perciò la sola formazione all’insegnamento aggiuntiva rispetto all’acquisizione delle conoscenze disciplinari. Peraltro, per i futuri insegnanti l’aver inserito nel proprio curricolo di studi singoli corsi su tematiche educative non ha nulla a che fare con una organica preparazione alla professione: dobbiamo riscontrare che questa preparazione non è più prevista, e -preso atto di ciò- occorre battersi affinché un percorso formativo degno di questo nome venga reintrodotto, anziché discutere (come troppi colleghi fanno!) sulla spartizione dei 24 CFU.

E domani?

Proporre oggi al governo, e a tutte le forze politiche, un nuovo provvedimento che rimedi al disastro del 2018 può apparire fuori tempo, nel momento in cui gli effetti del covid-19 mettono addirittura in difficoltà la regolare ripresa delle attività scolastiche nel prossimo autunno; ma una politica che sia tale deve saper affrontare, contestualmente, da un lato gli interventi urgenti di salvaguardia per ciò che vi era e d’altro lato le strategie per un futuro di migliore qualità.

Purtroppo, proprio in questo periodo sono state compiute, circa il reclutamento degli insegnanti, scelte nelle quali l’attenzione alla qualità non è certo stata prioritaria. Ridurre il precariato era indubbiamente una necessità; ma, senza negare l’esigenza di provvedimenti sull’oggi, occorre garantire che essi si collochino in un percorso che guardi al futuro. Non vi sono stati invece interventi che evitino, con una drastica riduzione delle supplenze, il ricostituirsi del precariato di domani.

Rilanciare la soluzione del 2017 cancellata nel 2018 dà anche un contributo proprio alla riduzione delle supplenze.Prevedere, per i neo-vincitori di concorso,un triennio nel quale essi non siano ancora titolari in una classe comporta infatti il bandire posti in numero maggiore rispetto a quelli necessari per “coprire” le classi stesse; nel tempo, ciò porterà alla presenza di reclutati in eccesso rispetto alle classi, e quindi all’esistenza di un “organico aggiuntivo” al quale affidare le supplenze. Quanto era stato previsto, e che qui rilanciamo, ha un costo: ma anche il profluvio di supplenze costa, e aggiunge il costo sociale a quello finanziario. Un elemento decisivo, a favore della soluzione che vorremmo far ripristinare, riguarda la attrattività per molti laureati tra i migliori. Nelle attuali condizioni del mercato del lavoro, non sembrano esservi molte altre opportunità, all’indomani stesso del titolo, di acquisire per merito una posizione atta a garantire, sempre per merito, il “posto fisso”.

Nel percorso che auspichiamo venga ripreso, il triennio formativo prevedeva nel primo anno un Corso universitario e nel successivo biennio attività guidate in sede scolastica. Va sancito che università e scuola devono congiuntamente progettare entrambe le fasi, affinché queste costituiscano un percorso pienamente integrato. Non avrebbe alcun senso progettare separatamente una formazione “teorica” prima, e le relative “applicazioni” dopo, in ossequio a convinzioni molto radicate, ma del tutto obsolete. L’insegnante è un reflective practitioner, impegnato in un processo continuo tra teoria, esperienze sul campo da essa orientate, ritorno appunto “di riflessione”, e ulteriori percorsi avanti-indietro.

*Giunio Luzzatto, già professore ordinario di Analisi Matematica, ha diretto all’Università di Genova il Centro di Ateneo per la Ricerca Educativa e Didattica (CARED) e ivi opera tuttora in attività di ricerca

1 Sempre in teoria, il numero di posti disponibili per l’accesso al percorso universitario abilitante avrebbe dovuto essere raccordato con le prospettive di una opportunità di assunzione; ciò è risultato nei fatti impossibile, soprattutto per quanto sopra osservato.

2 Legge 145/2018, Art.1, comma 792 (N.B.- il riferimento al numero del comma non è un refuso: molte leggi italiane sono fatte così..)

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Scuola democratica
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