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La terza missione dell’università: problemi e indicatori da una ricerca internazionale

La terza missione dell’università: problemi e indicatori da una ricerca internazionale

di Stefano Boffo e Roberto Moscati

Stefano Boffo, professore associato di Sociologia dei processi culturali e comunicativi presso il Dipartimento di Scienze Sociali dell’università di Napoli “Federico II”, esperto di tematiche relative alla formazione ed al mercato del lavoro

Roberto Moscati, già professore ordinario di Sociologia dei processi culturali nell’Università di Milano-Bicocca, membro dei nuclei di valutazione dell’Università IULM e dell’Università di Milano-Bicocca

Nel corso degli ultimi anni le università di pressoché tutti i paesi sono state oggetto, in modo sempre più evidente, di nuove richieste provenienti dall’economia (uso di prodotti della conoscenza) e dalla società (vera o apparente mobilità sociale, attraverso le professioni alle quali si accede grazie ai titoli di studio). Ad un tempo, la popolazione studentesca è entrata in una fase di rapido cambiamento, con l’ammissione di nuovi frequentatori di differenti origini socio-culturali.

Tutto questo ha creato aspettative addizionali nei confronti dei sistemi d’istruzione.

In particolare, la crescente importanza della produzione di conoscenza che si è registrata negli ultimi decenni produce inevitabilmente una trasformazione dei compiti attribuiti alle università. Ci si attende oggi è non solo che l’università produca nuova conoscenza ma che lo faccia avendo presenti finalità sociali ed economiche. Al di là del numero di studenti laureati e di pubblicazioni scientifiche prodotti dall’università si guarda così al numero di brevetti acquisiti, alle entrate derivanti dai contratti di ricerca e consulenza, al numero di imprese originate da iniziative di spin-off e start-up e così via. Sempre di più questo tipo di indicatori viene ad essere incluso nelle valutazioni della qualità delle università: in un certo numero di paesi la qualità e l’intensità delle attività di Trasferimento Tecnologico sono ormai considerate centrali per il prestigio delle istituzioni universitarie. Ne deriva un’accentuazione delle differenze tra atenei in virtù della diversa presenza interna delle aree scientifiche maggiormente orientate alla ricerca applicata e della dislocazione geografica degli stessi atenei in zone economicamente più o meno sviluppate.

Le rapide trasformazioni nei processi produttivi e il crescere delle domande culturali (a volte espresse a volte latenti nei vari strati di popolazione) producono, altresì, nuove richieste nei confronti delle università. Ne deriva il sorgere – con diversa rilevanza – di attività sia rivolte al mondo esterno che vengono progressivamente ad affiancarsi ai compiti tradizionali (come le varie modalità di formazione ricorrente), sia tese a rappresentare aperture a categorie di utenti non tradizionali, sia a rispondere a bisogni culturali di strati sociali legati al territorio circostante.

E’ questo il quadro in cui si va a collocare quell’insieme di attività che sogliono definirsi di Terza Missione, sottintendendo che esse non riguardano né la formazione né la ricerca tradizionalmente sviluppate in ambito accademico. In generale, si ha Terza Missione quando si svolgano attività universitarie in cui siano direttamente coinvolti anche attori esterni ai dei corpi sociali che formano un’università (docenti, tecnici-amministrativi, studenti “tradizionali”). Quella che in larga parte dell’Europa si chiama Terza Missione, nei paesi anglosassoni viene definita Third Stream, o a volte anche – con un significato che include anche attività di orientamento e promozione- Outreach: in tutte queste definizioni si mette a fuoco l’offerta diretta di risorse dell’istituzione accademica a beneficio di parte o di tutta la comunità, oltre che dell’università stessa. Ci si riferisce dunque alla generazione, trasmissione, applicazione e salvaguardia della conoscenza per il beneficio diretto della società e dei soggetti esterni all’accademia. Dunque la Terza Missione si articola in tre settori: il Trasferimento tecnologico / Technological Transfer and Innovation – TTI; l’Educazione Permanente/Continuing Education – CE; l’Impegno Sociale/Social Engagement – SE.

Queste trasformazioni hanno trovato, in non pochi casi, i sistemi universitari impreparati o comunque non adeguatamente capaci di farvi fronte. Le insufficienze che le istituzioni dell’alta formazione hanno dimostrato nelle strutture fisiche e pedagogico-curricolari, così come in quelle organizzative e di governo, hanno messo in luce una crescente inadeguatezza delle risorse disponibili sia anche, talvolta, della qualità dei prodotti formativi e di ricerca. Da qui la maggiore difficoltà nella diffusione – in particolare – dei due grandi settori della Continuing Education– CE e del Social Engagement – SE.

In questi settori, infatti, il ritorno economico per le università può essere molto modesto, e possono altresì sorgere resistenze maggiori all’interno degli atenei in ragione della non condivisione di tali iniziative che risultano estranee alle tradizionali finalità dell’istituzione e ai correlati compiti professionali dei suoi membri.

Una ricerca internazionale – il Progetto E3M-Indicators and Ranking Methodology for University’s Third Mission – ha teso a definire metodi e sistemi utili per identificare e valutare le attività di Terza Missione nelle università europee. Sono state prese in esame sei università europee1 al fine di far emergere le forme di Terza Missione messe in atto e i fattori proattivi e quelli frenanti il loro sviluppo, ma altresì riconoscere gli indicatori di tali attività.

Tra i fattori proattivi alla diffusione delle attività di Terza Missione sono emersi, in particolare, l’appoggio deciso degli organi di governance degli atenei sotto forma di sostegno finanziario, riconoscimento istituzionale, autonomia organizzativa, attribuzione di personale amministrativo e pubblicizzazione delle iniziative da collocare in uno spazio progettuale di medio-lungo periodo. Si è peraltro osservato come questo genere di iniziative abbia trovato un più facile sviluppo negli atenei dei paesi anglo-sassoni, in virtù della tradizionale apertura nei confronti del mondo esterno, e nelle università tecnologiche (o nei dipartimenti di scienze applicate) per la evidente sintonia con le relative logiche epistemologiche.

Il processo di diffusione delle attività inserite in questo settore appare non immediato e non privo di resistenze e ostacoli, per il suo carattere innovativo che implica una revisione del ruolo tradizionale attribuito all’università e al corpo docente. Ma le ragioni che stanno alla base del suo sorgere e svilupparsi sono troppo legate all’evoluzione della società per non richiederne la necessaria attenzione. Si tratta infatti della ridefinizione delle politiche pubbliche nei riguardi del sistema d’istruzione superiore con non trascurabili ricadute sulle dinamiche interne agli atenei.

Scuola democratica
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