La sentenza sul liceo classico: non arresti domiciliari ma impegno nei servizi sociali
di Luciano Benadusi (sociologo dell’educazione, direttore di Scuola Democratica)
Si dice che i giudici debbono parlare solo con le sentenze, ma il processo al liceo classico tenutosi all’interno del seminario Classici Dentro, svoltosi l’11 aprile al Visconti per iniziativa di quell’istituto e di altri due prestigiosi licei di Roma (il Giulio Cesare ed il Virgilio) non è stato un vero processo bensì un dibattito ritualizzato in altre e comunicativamente più efficaci modalità. (v. anche “CLASSICI DENTRO. Le competenze degli studi umanistici e la sfida del Terzo Millennio” di Irene Baldriga) . Malgrado io sia stato con Luigi Berlinguer e con Gian Maria Flick uno dei probiviri del processo, posso allora riprendere qui alcuni degli argomenti dell’intervento pubblico con cui ho dato la mia motivazione della sentenza di assoluzione. Un’assoluzione per così dire condizionata, avendo nello stesso tempo prosciolto il liceo classico dall’accusa di essere irrimediabilmente obsoleto e destinato all’estinzione e posto però due condizioni: una rigorosa presa di coscienza dei suoi presenti limiti ed un’opera di profondo rinnovamento. Che del resto in non pochi istituti, compresi quelli promotori del dibattito, si può già dire proficuamente avviata.
Perché serve ancora un indirizzo di studi che abbia al centro del suo progetto culturale la coppia umanesimo-classicità? Non solo per omaggio ad una tradizione prestigiosa, ma anche e soprattutto perché, se ben interpretata e riattualizzata, quella tradizione può tuttora arrecare un contributo importante al conseguimento di tutte le finalità essenziali della scuola: lo sviluppo personale, la formazione della cittadinanza democratica, e anche la formazione al lavoro e l’occupabilità. Giusta l’arringa sulla “utilità dell’inutile”, svolta dall’avvocato della difesa Diamante Ordine: restituiamo valore al “diversamente utile” mettendoci in controtendenza rispetto all’odierna deriva che restringe e banalizza il concetto di utilità identificandola con la ricchezza materiale ed il profitto. Altrettanto giusta la riasserzione da parte dell’avvocato dell’accusa – Claudio Gentili – dell’ineludibile ruolo della scuola, e più in generale dell’istruzione, nella formazione di competenze spendibili nel mondo del lavoro. Ad una lettura almeno un poco sociologicamente avvertita della storia del liceo classico non sfugge infatti che dietro la nobile facciata dei richiami alla cultura disinteressata si sia celata una precisa e spesso gretta forma di utilitarismo, quello delle classi più elevate avvezze ad utilizzare la scuola liceale e l’università come strumenti per la riproduzione inter-generazionale del loro status sociale. Le statistiche presentate da Giorgio Allulli, nella veste di testimone dell’accusa, sono bastate a mostrare con evidenza come di fatto la selezione operata dal liceo classico sia ancor oggi la più influenzata dalle origini di classe e dal livello di istruzione delle famiglie degli studenti. Richiamo opportuno in quanto una certa astrazione idealistica comune a molti difensori della licealità funge da ostacolo al comprendere che per effetto di tali meccanismi di riproduzione delle diseguaglianze, capita che delle scuole risultino migliori di altre solo perché attirano gli studenti dotati del migliore background familiare, con la conseguenza di attrarre anche gli insegnanti ed i dirigenti migliori. Supporre che il meccanismo possa continuare a funzionare come in passato rappresenta però una pericolosa illusione. Oggi il liceo classico non è più l’unico percorso in grado di offrire ai giovani opportunità di accesso alla classe dirigente, avendo nello scientifico un sempre più agguerrito concorrente su questo piano. Oltretutto, dal confronto internazionale balza agli occhi che il nostro è il più classico dei licei scientifici – non per altro in Italia il 41% degli studenti delle superiori studia obbligatoriamente il latino contro una media del 5% fra Europa e Stati Uniti – e ciò, giusto o sbagliato che sia, costituisce un ulteriore elemento di debolezza per i licei classici. Insomma, per esprimermi nel linguaggio della scienza dell’organizzazione, abituato ad operare in un ambiente “domestico”, questi si trovano oggi a fronteggiare un ambiente divenuto “selvatico”, dove assai più difficile è mantenere la passata supremazia e perfino sopravvivere.
Che fare allora? Il punto centrale mi sembra che sia non ipostatizzare la classicità e l’umanesimo, non cristallizzarli in una forma raggelata che porta a scindere passato e presente, umanesimo e scienza, scuola e vita. Più volte nella storia si sono contrapposte due diverse interpretazioni della cultura classica ed umanistica e del loro uso pedagogico. Il pragmatismo di Dewey è a favore dell’educazione umanistica in un senso ben diverso dall’idealismo di Croce e di Gentile. E per andare indietro nel tempo negli anni attorno alla nascita del Regno d’Italia il De Sanctis propose una visione della centralità dello studio della letteratura italiana in funzione etica, politica e civile che volgeva le spalle sia al passatismo dell’ordo studiorum gesuitico che alla tradizione formalistica delle “belle lettere”. Oggi il problema dell’educazione alla cittadinanza si pone in un quadro e con significati differenti ma nuovamente si avverte la necessità di una reinterpretazione pedagogica dell’umanesimo e della classicità. Pensiamo, per esempio, al ruolo che nell’ambito di una messa a tema della questione della giustizia potrebbe assumere un incipit basato sullo studio della filosofia politica greca e la lettura di alcuni celebri testi di Platone e di Aristotele. Offrirebbe un’occasione per connettere fra loro e con le problematiche odierne della società discipline diverse, in linea con l’ indirizzo all’integrazione dei saperi che ha informato la recente riformulazione dei programmi degli istituti tecnici ed è invece rimasto totalmente in ombra nelle Indicazioni nazionali per i programmi dei licei.
Il liceo classico è quello che per essere rilanciato più abbisogna di innovazione: sul piano culturale e curricolare come pure, ed è stato ampiamente sostenuto nel “processo”, su quello della didattica con un orientamento verso la laboratorialità, l’uso delle tecnologie digitali, lo sviluppo delle competenze, l’alternanza fra studio e lavoro. Qualcuno giocando sulle analogie con un noto procedimento giudiziario in corso negli stessi giorni ha evocato per il liceo classico la sanzione dell’impegno nei servizi sociali. Come in tutte le analogie non manca una forzatura concettuale ma vi è molto di vero. Il peggio sarebbe vederlo ancora una volta auto-confinato ai “domiciliari”.