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La scuola salvata dai bambini. Intervista a Benedetta Tobagi

LA SCUOLA SALVATA DAI BAMBINI. Intervista a Benedetta Tobagi

a cura di Paola Benadusi Marzocca (esperta di editoria per bambini e ragazzi)

Leggendo il libro inchiesta di Benedetta Tobagi, LA SCUOLA SALVATA DAI BAMBINI -VIAGGIO NELLE CLASSI SENZA CONFINI (Rizzoli, pp.344, € 18,00) non si può fare a meno di ricordare il famoso scritto di Elsa Morante, IL MONDO SALVATO DAI RAGAZZINI (Einaudi), “un manifesto politico, come ha scritto Pier Paolo Pasolini, scritto con la grazia della favola, con umorismo, con gioia.” Nel testo della Tobagi si avverte l’invito a parlare a tutti, la spinta condivisa da insegnanti e ragazzi a cambiare la realtà attuale. Il viaggio che compie l’autrice nelle scuole primarie pubbliche comincia ad Amatrice e continua in varie parti d’Italia, dalle grandi città come Roma, Milano, Torino, Genova, Palermo, Brescia, Udine e varie altre, nonché ai paesi della bassa mantovana e del Lazio. Il risultato è uno scenario complesso ricco di maestri e dirigenti di grande competenza e soprattutto di buona volontà dentro a un sistema scolastico che potrebbe funzionare meglio e ampliare l’offerta formativa in linea con gli standars europei. Numerosissimi sono i bambini stranieri e “l’integrazione si fa in larga parte con la didattica ordinaria, aggiornata in senso interculturale…”, scrive la Tobagi. Le ho chiesto se la scuola primaria attuale sia migliore o peggiore rispetto agli anni in cui lei la frequentava.

Benedetta Tobagi (da qui in poi B.T.): “E’ diversa! La didattica si è molto evoluta, dai programmi dell’85 che tenevano conto delle “intelligenze multiple” di Gardner fino al superamento della nozione stessa di “programma”: dal 2012 si parla di competenze, in linea con il resto d’Europa.”

-Il concetto di integrazione si presta a varie interpretazioni. Come superare il confronto con religioni e culture tanto lontane dalle nostre da considerare la musica un peccato?

B.T.: “Innanzitutto, andando a vedere se dietro posizioni di rifiuto c’è davvero la religione, oppure altro. Spesso infatti un apparente conflitto di culture cela altro: a Torino, per esempio, l’opposizione di alcuni musulmani alle attività di orchestra celava un problema di soldi. Insegnanti e dirigenti hanno un ruolo chiave: devono capire la natura del problema e cercare soluzioni attraverso un paziente lavoro di mediazione e persuasione dei genitori, per evitare ai bambini, e ancor più alle bambine (spesso si tratta di loro: non vogliono che si mescolino ai maschi, o che vadano in piscina) di trovarsi i mezzo a conflitti laceranti. In questo senso, la scuola svolge una funzione diffusa di “educazione alla cittadinanza”, anche presso gli adulti.”

-Se è vero che i bambini con la loro esuberanza di vita sono in grado di varcare i limiti di concezioni rigide, tuttavia sono dominati dall’esempio familiare. Quale ruolo può avere la scuola nel potenziare le loro capacità?

B.T.: “La scuola è uno spazio in cui il bambino, per quanto difficile sia la realtà da cui proviene e che vive a casa, trova innanzitutto ascolto, attenzione, riconoscimento dei suoi vissuti. E poi, attraverso un ventaglio di attività in cui si coltiva la creatività e l’esplorazione di forme espressive diverse, dalla musica, alla poesia, alle arti figurative, ognuno è aiutato a scoprire i propri talenti nascosti. Ci sono poi tante realtà parascolastiche –doposcuola, centri d’aggregazione giovanili, “scuole aperte” – che offrono attività, come il sostegno nei compiti, per ridurre gli ostacoli di partenza che gravano sulla riuscita scolastica.”

– Le scuole con un numero elevato di bambini stranieri in che senso sono “più ricche”, come dice l’assessore Cappelli di Milano?

B.T.: “Se si fa didattica interculturale mettendo davvero i bambini al centro dell’insegnamento, con il patrimonio di lingue, religioni, cultura, vissuti e tradizioni che portano con sé, tutta questa ricchezza viene messa a fattor comune. Il curriculo plurilingue è una miniera inesauribile, non solo per gli alunni non italofoni che vedono valorizzata la propria lingua madre.”

– Finché si parla di elementari, lei precisa nel suo libro che “la scuola interculturale è molto politicamente corretta”, ma con l’avanzare degli studi i genitori che hanno possibilità economiche optano per scuole più esclusive. Perché avviene questo?

B.T.: “A volte accade sin dalla primaria. Molti genitori hanno paura che nelle scuole ad alta densità di stranieri i figli “restino indietro”, e poi ne paghino il prezzo. Anche se il concetto stesso di “programma” è obsoleto, nella società va per la maggiore una visione molto “competitiva”, per cui bisogna cercare di primeggiare e avvantaggiarsi da subito rispetto agli altri. Eppure le migliori prassi didattiche sono inclusive, non competitive.”

– Scrive nel suo libro che “bisogna ripartire dalle persone, a cominciare dall’infanzia, dai banchi di scuola…Ma anche che il “disinvestimento nell’educazione, la mancanza di attenzione e di rispetto per la scuola e chi ci lavora, la mancanza di una visione politica complessiva coerente…” devono avere fine. In che modo e con quali mezzi? Il problema del sistema scolastico italiano, a parte le persone valide e di buona volontà, non è forse un problema squisitamente politico?
B.T.: “Ho riscontrato un grosso divario tra parole e fatti. La centralità dell’educazione e della scuola come strumento d’inclusione sociale viene enfatizzata dopo ogni tragedia di cronaca, dagli episodi di cyberbullismo agli attentati terroristici compiuti a Parigi e Nizza da giovani delle cosiddette “seconde” e “terze generazioni” di stranieri. L’Italia è attanagliata da una crisi che ha colpito i più fragili, l’Istat ci dice che è salito il numero di famiglie in povertà assoluta, tra cui prevalgono gli stranieri. Eppure, il fondo ministeriale per le aree a rischio e forte processo immigratorio è precipitato dai 53 milioni del 2011 ai 18 del 2015. I quasi 8 miliardi di tagli dell’epoca Gelmini sono stati reintegrati solo in minima parte. Lo stesso Renzi ha fatto più volte autocritica su “La buona scuola”. Ogni anno, siti come “Sbilanciamoci” propongono diverse strategie di allocazione delle risorse. Ma gli stessi rapporti annuali Miur-Ismu e l’Osservatorio ministeriale coordinato da Vinicio Ongini forniscono indicazioni precise: i decisori dovrebbero metterle in pratica.”

Scuola democratica
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