La scuola della fuga bianca
di Fiorella Farinelli (esperta di politiche scolastiche)
White flight1 è uno studio sulle scuole dell’obbligo di Milano del Dipartimento di Architettura e Studi Urbani del Politecnico che analizza le cause della crescente polarizzazione in istituti scolastici distinti di bambini e ragazzi di estrazione sociale e provenienza etnica omogenea.
La consistente presenza nella scuola dell’obbligo di studenti con back ground migratorio ha da tempo acceso l’attenzione dell’opinione pubblica e della politica sugli istituti con tassi molto alti – attorno e oltre il 30% – di studenti stranieri. Assai meno sugli istituti che, pur situati in aree territoriali con popolazione “mista”, sono frequentati invece da studenti solo italiani. Non è d’altra parte la sola differenza etnica, e il suo concentrarsi in alcuni istituti piuttosto che in altri, a prefigurare il rischio di “scuole segregate”. Ciò che si vede anche a occhio nudo in alcune aree urbane è una tendenziale separazione tra scuole frequentate in stragrande maggioranza da un mix di figli di stranieri e dei ceti sociali più svantaggiati e scuole in cui invece si concentrano gli italiani di condizioni socio-culturali più favorevoli. Una seria minaccia, scrivono i ricercatori del Politecnico, alla funzione fondamentale della scuola dell’obbligo. La polarizzazione, si sa, viene per lo più interpretata come il derivato di specifiche concentrazioni residenziali, ma è una spiegazione che in diversi casi potrebbe essere troppo semplice. Non funziona, per esempio, quando nello stesso quartiere, a poche centinaia di metri l’una dall’altra, ci sono scuole con popolazioni scolastiche nettamente diverse. O quando nello stesso istituto scolastico – perché capita anche questo – ci sono sezioni di un tipo e sezioni di un altro tipo.
A Milano le scuole fortemente polarizzate sono assai più numerose delle concentrazioni sociali ed etniche dovute agli insediamenti residenziali. Lo studio del Politecnico, basato sul confronto in ognuno dei 115 bacini dell’area metropolitana milanese tra la mappa sociale dei territori e la popolazione degli istituti scolastici di riferimento, mostra che anche tenendo conto della frattura tradizionale, precedente agli insediamenti migratori, tra centro e periferie, la scuola dell’obbligo invece che ridurre le diseguaglianze etniche e sociali finisce per ampliarle e radicalizzarle. Pur essendo una delle città italiane più multietniche (i ragazzi stranieri tra i 6 e i 14 anni, di cui tre quarti nati in Italia, sono un quinto del totale) Milano presenta infatti pochissimi “ghetti urbani”, cioè connotati da una sovrapposizione tra migranti e un più generale disagio sociale. Le aree di forte concentrazione straniera, anzi, sono spesso adiacenti ad aree a composizione sociale mista ,in cui talora la concentrazione etnica è addirittura sotto la media cittadina. Più in generale, la città presenta una notevole “mixité” socio-culturale , con segregazioni territoriali per lo più “molecolari e su piccola scala”. Perché, allora, su 137 scuole primarie statali milanesi sono una quarantina quelle in cui il rischio di segregazione etnica e sociale è molto elevato (e una trentina su 87 le scuole medie che presentano caratteristiche analoghe) ?
A incidere pesantemente sui processi di polarizzazione – sostiene il Politecnico che, collaborando con il Comune, ha analizzato i flussi delle iscrizioni – sono le scelte scolastiche compiute da numerosissime famiglie del ceto medio. A Milano il 56% dei bambini delle primarie e il 58% di quelli delle medie viene iscritto a scuole fuori del bacino di residenza. Non solo. L’iscrizione a scuole paritarie (che in Lombardia è sostenuta da sussidi regionali) riguarda il 20% della popolazione in età di obbligo scolastico, un dato nettamente superiore alla media nazionale. E’ questa la “fuga bianca” che dà il titolo allo studio. La fuga dalle scuole connotate da un alto tasso di figli di immigrati e di figli dei ceti sociali svantaggiati, una presenza che, evidentemente, incute timori di vario genere, primo fra tutti quello di contesti giudicati aprioristicamente come sfavorevoli a un buon apprendimento. E qui l’analisi del Politecnico si allarga a considerare altri versanti della questione. La non considerazione, da parte delle famiglie fuggitive – e forse anche di parte del mondo della scuola – dell’importanza per un buon apprendimento di aule a composizione eterogenea. Le conseguenze negative di un’autonomia scolastica diffusamente vissuta dai dirigenti come possibilità/necessità di concorrenza tra gli istituti invece che come coordinamento e collaborazione su base territoriale. Edilizia, tempo pieno, mense, trasporti, tariffe, banda larga, strumentazioni, convenzioni… che non tengono conto della necessità di compensare con servizi aggiuntivi i contesti scolastici delle aree territoriali più difficili e che finiscono, quindi, col favorire la polarizzazione. Sullo sfondo, e in nome della libertà di scelta educativa delle famiglie, un’abolizione dei “bacini di utenza” – compiuta senza l’ombra di una discussione con la legge sull’autonomia scolastica – che non ha dato luogo a regolamentazioni in grado di contrastare la segregazione scolastica – sociale ed etnica – nella scuola dell’obbligo. Una realtà tutta diversa rispetto a quella di altri paesi europei di cui riferisce lo studio del Politecnico. Politiche locali, dunque, e politiche nazionali, che bisognerebbe rivedere. Impeccabile.
1 Carolina Pacchi, Costanzo Ranci, White flight a Milano. La segregazione sociale ed etnica nelle scuole dell’obbligo, 2017, Franco Angeli – Collana del DAStU, Politecnico di Milano