L’educazione contro la post-democrazia
di Luciano Benadusi
[l’articolo che segue risponde alla chiamata al DIBATTITO EDUCAZIONE CIVICA ORA. Per vedere l’articolo di avvio del dibattito clicca QUI ]In coerenza con il lascito di John Dewey, il filosofo e pedagogista americano autore di Democrazia e educazione (1963), La rivista Scuola democratica-Learning for democracy ha posto da sempre al centro del proprio impegno intellettuale la relazione fra educazione e democrazia. A maggior ragione è chiamata a farlo oggi davanti alla grave sintomatologia di crisi delle istituzioni democratiche che si manifesta perfino nei paesi che storicamente ne sono stati la culla. Abbiamo perciò organizzato una grande conferenza scientifica internazionale sul tema “Education and Post-democracy“, tenutasi a Cagliari nel giugno del 2019, che ha visto la partecipazione, oltre che di un certo numero di insegnanti italiani, di più di 600 ricercatori ed esperti provenienti da vari paesi del mondo. Il termine post-democrazia è stato coniato 15 anni fa dal sociologo inglese Colin Crouch (2005) per sintetizzare il possibile sbocco di questa crisi: un regime politico e una struttura sociale che rinnegano la liberal-democrazia o la svuotano di sostanza. Le prime analisi di Crouch puntavano l’occhio sugli effetti della globalizzazione economica in un contesto neo-liberista di mercato deregolato, e sull’accresciuto potere nella sfera politica acquisito dalle big corporations. Il termine post-democrazia è stato ripreso più volte da Crouch negli anni seguenti dandogli un significato più ampio perché le forze in campo nei processi di deriva post-democratica erano nel frattempo diventate due: al neo-liberismo si era aggiunto il populismo, un movimento che lancia un attacco diretto alle fondamenta non solo politiche ma anche culturali della democrazia. In campo troviamo ora due forze diverse o addirittura opposte, però convergenti per un legame di tipo dialettico. La grande crisi economica iniziata nel 2008 e la lievitazione delle disuguaglianze che ne è scaturita hanno propagato nei paesi occidentali un sentimento di sfiducia nelle istituzioni, e il malcontento popolare ha gonfiato le vele al populismo.
La post-democrazia populista e la sua sfida all’educazione
La peculiarità del populismo rispetto al neo-liberismo è che attaccando le basi culturali della liberal-democrazia occidentale propone una sfida anche alle sue istituzioni culturali più importanti: la scuola, l’università, la ricerca, il giornalismo indipendente. Ma quale populismo, dal momento che ve ne sono più di uno? La cifra che accomuna i vari movimenti populisti è non la xenofobia, il tratto tipico di quello “sovranista” oggi dominante, quanto un sentimento più generale di paura e di insofferenza per il diverso: chiamiamolo, se vogliamo, “eterofobia”. In aggiunta a questo il populismo spesso si distingue per una forma di anti-intellettualismo che lo porta a delegittimare la scienza, l’expertise, la competenza (Nichols, 2018).
Della diade liberal-democratica il bersaglio primario è la componente “liberale” ma indirettamente lo è pure la componente più propriamente definibile “democratica”. Infatti nelle “democrature” o “democrazie illiberali”, come talvolta sfacciatamente si proclamano (ad esempio, l’Ungheria di Orban e la Russia di Putin) il voto politico universale scade a mero rituale di una “democrazia recitativa” per usare le parole dello storico Emilio Gentile. Il leader populista si dichiara paladino della sovranità popolare ma in realtà il “popolo” nella sua visione organicistica non è il “popolo della democrazia”, né rappresentativa né diretta, è solo una metafora retorica usata per legittimare governanti dispotici ed organizzazioni politiche autoritarie (Munk, 2018). “Io, il Popolo”, come recita il titolo di un libro appena uscito (2020) e dedicato al populismo di Nadia Urbinati, la politologa italiana che insegna alla Università di Harvard.
L’educazione come argine alla post-democrazia
La conferenza di Scuola democratica ha analizzato gli attuali processi di deterioramento della liberal-democrazia soprattutto nella loro interazione con l’educazione (dei giovani e degli adulti), muovendo dalla tesi che questa possa esercitare (e di fatto già in una certa misura eserciti) un ruolo importante di argine alla post-democrazia e, particolarmente nella prospettiva di medio-lungo periodo che le è propria, essere determinante nel formare le basi culturali di un più efficace e autentico funzionamento della democrazia.
La fiducia nell’educazione che una tale aspettativa presuppone non è sproporzionata? Nella sua relazione se lo è domandato Francois Dubet e ha risposto con una punta di scetticismo dopo aver passato in rassegna le grandi speranze in essa riposte durante il secolo scorso che poi sono rimaste deluse. Tuttavia la tesi dell’educazione come un argine alla post-democrazia non è solo un wishful thinking, riposa su robuste evidenze empiriche. Svariate indagini statistiche condotte a livello internazionale e nazionale hanno dimostrato che sono i cittadini meno istruiti i più esposti alle sirene del populismo, della xenofobia, del rifiuto della diversità etnica, religiosa e culturale. Ci riferiamo alle periodiche rilevazioni sul “senso civico” compiute dalla World e dall’European Values Surveys, che Loredana Sciolla ha citato nella sua relazione alla conferenza di Cagliari dopo averle fatte oggetto di approfondite analisi in precedenti lavori. A loro volta due sociologi, Giancola e Ricotta, in un paperpresentato sempre alla nostra conferenza hanno esposto i risultati di un’analisi multivariata dei dati della European Values Survey del 2016 rivelando che a fornire le risposte più aperte alle domande sull’immigrazione del questionario sono stati proprio i giovani più istruiti, specie se provenienti da famiglie anche esse con elevati livelli di scolarizzazione.
Se poi passiamo dal versante dei valori a quello delle scelte elettorali notiamo che di recente in talune importanti occasioni – ad esempio le elezioni presidenziali negli SU e in Francia, il primo referendum inglese sulla Brexit e in parte, come abbiamo appreso dalla relazione di Enzo Risso della SWG ad uno dei simposi della nostra Conferenza, anche il voto italiano nelle elezioni europee del 2019 – i dati effettivi o di sondaggio narrano la medesima storia: la propensione a votare per i partiti nazional-populisti varia in relazione inversa al variare del livello di istruzione degli elettori. Il nesso fra le tre dimensioni – il livello di istruzione, i valori, le scelte elettorali – ha indotto così taluni studiosi ad avanzare la tesi che un educational cleveage, incentrato sulla discriminante liberale/autoritario,abbia fra la fine del secolo scorso e l’inizio del presente soppiantato il socio-structural cleveage (quello basato sulle classi sociali) anche sul piano elettorale, dopo averlo soppiantato sul piano degli orientamenti valoriali (Van der Werfhorst, De Graaf, 2004). Il cambiamento sarebbe avvenuto in concomitanza con l’irruzione al centro del dibattito politico transnazionale di due grandi questioni, ambiente e immigrazione, che avrebbero sconvolto il panorama antecedente dando la preminenza appunto al rapporto educazione-valori.
I fattori culturali dell’avanzata del populismo e le contro-sfide dell’educazione
Crouch nel suo libro Identità perdute (2019) e nell’intervista rilasciataci per la conferenza non fa risalire la reviviscenza del nazionalismo e del razzismo solo alla crisi economica e di lì all’egemonia del neo-liberismo, mette in campo un’interpretazione più complessa. I processi di trasformazione delle società europee nella direzione di una maggiore diversificazione ed apertura, sviluppatisi anche prima dell’ondata immigratoria ma intensificati da questa, sarebbero stati percepiti come minacce alle identità collettive da tempo radicate e provocato così reazioni di rigetto, in specie nelle fasce di popolazione più deboli e culturalmente meno attrezzate a convivere serenamente con esse. E’ così tornata d’attualità la questione della “personalità autoritaria” e del suo rapporto con gli stati emotivi di insicurezza tematizzata dal filosofo-sociologo tedesco Theodor Adorno in un suo noto libro così appunto intitolato, pubblicato dopo un altro ed ancora più drammatico periodo di crisi delle democrazie europee.
Un altro fattore che produce le attuali derive verso la post-democrazia é la rivoluzione digitale, non in se stessa ma per l’uso sociale che se ne è fatto sinora sul terreno dell’informazione e della socializzazione politica. La relazione tenuta alla nostra conferenza da Dirk Lange, un accademico tedesco che presiede la “Associazione Federale per l’Alfabetizzazione Politica” – così si chiama in quel paese l’educazione civica – ha descritto un mondo web non privo di potenzialità democratiche eppure attualmente attraversato da dinamiche non trasparenti che operano al servizio di influenti gruppi di potere economici e politici. Spesso sulla rete si formano bolle di filtraggio (filter bubbles) e camere-eco (echo chambers) che generano aggregazioni fortemente omogenee eludendo il confronto con il diverso, lanciano incitamenti all’odio (hate speeches), veicolano notizie false (fake news), adoperano linguaggi iper-semplificati e nutriti di slogan. Insomma il contrario della cultura critica che serve come base di una democrazia.
Dei tre fattori di destabilizzazione che abbiamo individuato – la crisi economica e le disuguaglianze, lo shock identitario, la rivoluzione digitale – le ultime due interrogano direttamente il sistema formativo: scuola, università, educazione degli adulti. Accertato che intercorre una relazione positiva tra livello di istruzione e attitudini di apertura mentale e di rispetto della diversità, una prima questione si pone per i paesi come l’Italia che presentano ancora consistenti sacche di sotto-istruzione nelle classi sociali inferiori e di analfabetismo funzionale nelle coorti al di sopra dei 40-50 anni. In tali paesi per arginare la post-democrazia vi è anzitutto bisogno di più istruzione e di maggiore uguaglianza nell’istruzione.
Non basta tuttavia una risposta quantitativa, la sfida della post-democrazia reclama che ci si interroghi se il proprio sistema di istruzione faccia oggi abbastanza sui fronti dove è in gioco questa sfida. L’argine c’è ma l’ondata che deve contenere è alta ed è perciò necessario che venga innalzato. Donde la necessità di una contro-sfida: far diventare tali sistemi sempre più luoghi di formazione del pensiero informato, critico, argomentativo e riflessivo applicato anche alla sfera socio-politica e dei new media. Tenendo conto che la contro-sfida è particolarmente necessaria proprio nei paesi sui quali grava ancora in una certa misura un retaggio storico sfavorevole, per l’Italia la dittatura fascista. E’ per questa ragione che nel secondo dopoguerra la Germania, conscia dei guasti culturali prodotti dal nazismo, si è data un robusto sistema di educazione civica che, come si è detto, è stata esplicitamente definita “politica” perché impegnata prioritariamente proprio sul tema della democrazia. Al contrario del nostro paese dove l’educazione civica non è di fatto esistita se non solo (e marginalmente) sulla carta, fatta eccezione per alcune meritorie esperienze locali.
Potrà questo ritardo essere superato grazie alla legge di recente approvata, e che dovrebbe essere implementata nel prossimo anno scolastico? Essendo stata proposta – non dimentichiamolo – da un partito nazional-populista, presenta gravi limiti ma, mutato il contesto politico, essa potrebbe essere modificata o almeno reindirizzata attraverso le sue non ancora approvate “Linee-guida” ed in fase di attuazione . Di qui la necessità di aprire un ampio dibattito scientifico interdisciplinare che solleciti la partecipazione attiva da parte degli insegnanti, facendo tesoro delle esperienze positive finora compiute nonché del patrimonio teorico ed empirico sedimentatosi negli anni a livello internazionale. A questo proposito accennerò, prima di concludere, a due questioni che riguardano l’educazione civica sulle quali mi sembra opportuno discutere.
Educazione civica ed educazione alla democrazia
La prima questione è la seguente: quale rapporto intercorre fra educazione civica ed educazione alla democrazia? Non sono la stessa cosa. Per educazione civica spesso si intende una educazione del tutto depoliticizzata che guarda esclusivamente al civismo della “vita quotidiana”. Facciamo degli esempi desunti proprio dalla recente legge italiana: rispettare le regole del traffico urbano, alimentarsi in modo sano, evitare l’uso di droghe e l’eccesso di bevande alcoliche, non inquinare l’ambiente (come fa chi getta i rifiuti fuori dai cassonetti), mantenere un contegno appropriato a scuola (del genere non copiare e non compiere atti di bullismo), portare rispetto agli insegnanti ed a tutti i pubblici ufficiali. Magari lo si condisce, come di nuovo fa la legge di cui stiamo parlando, con qualche massima di tipo patriottico, del genere imparare l’inno nazionale e conoscere la sua storia, o nazional-popolare come saper apprezzare i prodotti e la cucina della nazione e della regione. Non si vuole negare la rilevanza che nella vita di certi ragazzi e ragazze hanno alcuni di questi comportamenti, a cominciare da quello della droga. L’elenco appare però ridondante e sfilacciato. E di assai dubbia efficacia sarebbe l’approccio prescrittivo e paternalistico che si legge fra le righe della legge. Un limite dell’approccio predicatorio è il velleitarismo, ma nel civismo della “vita quotidiana”, quando rimane sprovvisto di supporti cognitivi e quadri di riferimento etico-politici più generali, è insito un limite ancora più pesante: lo sguardo breve. Pensiamo ad esempio all’inquinamento. Un conto sul piano educativo è dettare agli studenti delle mini-regole di condotta, altro conto farle discendere da una comprensione più generale delle problematiche ecologiche che investono il nostro pianeta e reclamano comportamenti individuali e collettivi e scelte politiche conformi al principio della sostenibilità. L’approccio che abbiamo chiamato “della vita quotidiana” così come viene declinato dalla legge mette in ombra il livello superiore della cittadinanza, quello che concerne, per usare le parole del più grande filosofo politico contemporaneo John Rawls, la “struttura di base” della società. Ed oggi dobbiamo soggiungere dell’ordine internazionale da cui dipende il bene comune globale. Senza sottovalutare affatto l’utilità di esperienze democratiche condotte a livello micro-sociale e micro-scolastico, il macro-livello è imprescindibile sul piano della conoscenza perché è in esso che si gioca la sfida fra democrazia e post-democrazia. Un primo obiettivo è fare conoscere i valori cui si ispira l’ordinamento costituzionale ed i diritti e doveri fondamentali che ne sono scaturiti. “Cittadinanza e Costituzione” era il titolo, già più significativo, di quella che oggi è stata ridenominata “educazione civica”. Ma non bastano le nozioni di tipo giuridico, occorre un’azione formativa di maggiore respiro culturale: fare apprendere agli studenti il retroterra storico-filosofico e storico-comparativo dei sistemi liberal-democratici nonché fare acquisire la conoscenza e la comprensione critica delle problematiche più importanti, anche di ordine economico-sociale, che tali ordinamenti si trovano oggi ad affrontare.
La seconda questione riguarda il rapporto nell’educazione alla democrazia fra le conoscenze e le competenze. E’ sufficiente trasmettere conoscenze oppure l’oggetto della formazione deve essere più ampio, abbracciare i metodi oltre ai contenuti ? Per rispondere all’interrogativo basta tenere a mente che la liberal-democrazia è anzitutto (sebbene non solo) un sistema di procedure, cioè di pratiche localizzate vuoi nella sfera politica istituzionale vuoi in quella extra-istituzionale. Per questo aspetto è dunque una “conoscenza in azione”, ciò che si è soliti chiamare con il termine competenza. La competenza nella definizione oggi più accreditata che emerge dal dibattito scientifico e si ritrova anche nelle Raccomandazioni europee sulle Key Competences (Benadusi, Molina, 2019) è un attributo soggettivo multi-fattoriale: il sapere orchestrare le conoscenze con altri due elementi costitutivi, le abilità e gli atteggiamenti. In un suo importante rapporto sulle Competencesfor Democratic Culture (2016) il Consiglio d’Europa ha aggiunto poi una quarta dimensione, quella dei valori.
Farò due esempi prendendo spunto dalle relazioni di Lange e di Cavalli alla nostra conferenza, su quali sono e come si possono formare le competenze per la cittadinanza democratica. Il primo riguarda la media literacy, un campo strategico per contrastare gli attuali “effetti perversi” della digitalizzazione e creare le condizioni per la realizzazione del suo potenziale democratico. Qui si tratta di formare competenze necessarie per la valutazione critica e l’uso consapevole della comunicazione, in particolare di quella politica, via Internet. Ciò che implica la conoscenza dei sistemi tecnologici e del loro uso sociale nonché l’esperienza della verifica critica dei messaggi da questi veicolati.
Il secondo esempio concerne la “gestione delle controversie” un concetto che rimanda al “metodo del dialogo”, il cuore del messaggio pedagogico lasciatoci in eredità da un noto filosofo italiano, Guido Calogero. Le democrazie non sarebbero tali se non riconoscessero la legittimità e l’utilità della controversia ma a certe condizioni che vanno costruite attraverso l’educazione. Innanzitutto occorre suscitare l’interesse (tutt’altro che scontato) degli studenti a discutere dei problemi della polis, poi far sì che vi sia da parte di tutti rispetto e comprensione dei punti di vista altrui anche se opposti, disposizione all’apprendimento reciproco, intenzione e capacità di pervenire a sintesi e compromessi, e prima ancora di procurarsi una documentazione pertinente ed affidabile sui temi dei quali si dibatte. A qualità soggettive come queste ci si riferisce quando parliamo di “abilità” (cioè di “conoscenze procedurali” che gli psicologi cognitivi distinguono da quelle “dichiarative”) e di “atteggiamenti”: in quanto elementi costitutivi, insieme alle conoscenze, delle competenze per la cittadinanza democratica. Come si formano? Attraverso esperienze appunto di gestione delle controversie, ad esempio con la metodologia didattica Debate diffusamente praticata a livello internazionale e da qualche anno sperimentata in Italia nel quadro del progetto “Avanguardie educative” dell’Indire.
E’ evidente che un progetto ambizioso quale sarebbe quello qui tratteggiato sia realisticamente realizzabile solo per gradi correlandoli ai livelli di sviluppo di un piano di formazione ad hoc degli insegnanti. Altrettanto chiaro è che non potrebbe essere delegato ad una sola materia, probabilmente ancora marginale. Sarebbe necessario coinvolgervi docenti di varie discipline chiamandoli a metterlo in atto in modo coordinato tanto nel loro spazio didattico specifico quanto entro uno spazio comune di tipo interdisciplinare, quale dovrebbe essere quello istituito dalla nuova legge sull’educazione civica. Della quale proprio l’ipotesi della contitolarità rappresenta l’elemento più innovativo e interessante.
Riferimenti bibliografici
Benadusi L., Molina S. (a cura di), (2019), Le competenze, una mappa per orientarsi, Bologna, Il Mulino.
Council of Europe , (2016), Competences for Democratic Culture, Strasbourg, Council of Europe Publishing.
Crouch C., (2005), Post-Democracy, Cambridge, Cambridge Polity Press.
Crouch C., (2019), Identità perdute. Globalizzazione e nazionalismo (trad.it.), Bari-Roma, Laterza.
Dewey J. (1963), Democrazia e educazione, Firenze, La Nuova Italia.
Nichols T., (2018), La conoscenza e i suoi nemici, Milano, Feltrinelli.
Munk Y., (2018), Popolo vrs. democrazia. Dalla cittadinanza alla dittatura elettorale, Milano, Feltrinelli.
Rawls J., (1989), Una teoria della giustizia, Milano, Feltrinelli.
Urbinati N., (2020), Io, il popolo, Come il populismo trasforma la democrazia, Bologna,Il Mulino.
Van der Werfhorst H.G., De Graaf N., (2004),« The Sources of Political Orientation in Post-Industrial Society : Social Class and Education Revisited », The British Journal of Sociology, vol.55. n.2, pp.211-235.
Si ricorda che il numero speciale di Scuola Democratica dedicato a Education and Postdemocracy è on line e gratuito. Per accedere cliccare QUI
Si ricorda che gli Atti della conferenza EDUCATION AND POST-DEMOCRACY 2019 sono on line e gratuiti. Per accedere cliccare QUI
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