Note sul V Rapporto ISMU-MIUR sugli studenti di cittadinanza non italiana
di Fiorella Farinelli (Esperta di sistemi scolastici e formativi)
L’11 aprile scorso a Milano è stato presentato il V Rapporto ISMU-MIUR sugli studenti di cittadinanza non italiana. Con approfondimenti dedicati alla “scuola multiculturale nei contesti locali”. I dati analizzati ( anno scolastico 2014-15 ) sono per lo più di fonte MIUR.
Dev’essere vero, come ha scritto giorni fa sul Corriere Nando Pagnoncelli , che troppi italiani, quando si tratta di numeri, le sparano grosse. Tanto più su temi che scottano, la disoccupazione, l’invecchiamento della popolazione,l’immigrazione, i musulmani in Italia. Il peggio è che capita anche a chi può influenzare la pubblica opinione. Tra i tanti commenti giornalistici al Rapporto comparsi nei social, per esempio, ce n’è uno che dà da pensare. E’ quello per cui gli alunni stranieri delle scuole per l’infanzia sarebbero l’84,8% del totale. Non è così, ovviamente, il numero indica invece gli alunni stranieri delle scuole per l’infanzia che sono nati in Italia, i meno “stranieri” degli stranieri si direbbe, ma la svista – se di questo si tratta – è perfetta per amplificare l’allarme. Le scuole invase dagli “altri”, i posti dei nostri preziosissimi servizi per l’infanzia che se ne vanno soprattutto a “loro”, e intanto si ingrossano le liste d’ attesa dei “nostri”. E’ anche vero però che ai non addetti ai lavori può risultare difficile districarsi in studi, come questo di ISMU-MIUR, che concede assai poco allo stile divulgativo, vecchio vizio di accademie e burocrazie. Selve di grafici e tabelle, sequenze infinite di dati statistici, rara l’esplicitazione delle cause e degli effetti dell’uno o dell’altro fenomeno. Peccato, perché il testo dovrebbe farsi strumento di lavoro per l’intero mondo della scuola, genitori compresi. E anche perché quello che succede, nel bene e nel male, nel rapporto tra immigrazione e istruzione dovrebbe essere prontamente afferrabile da opinione pubblica e decisori. Anzi, a più di 25 anni dalle prime presenze straniere di qualche consistenza nel sistema scolastico ( e dopo un profluvio di studi ed indagini nazionali e locali per lo più ripetitive), dovrebbe essere già noto, nei suoi aspetti generali e pure nelle sue dinamiche. E invece no, come si trattasse di un’eterna e sempre nuova emergenza ogni volta c’è da ricominciare da capo.
Dal numero, innanzitutto, degli studenti stranieri ( più di 840mila nel 2014-15, il 9,2% del totale ). Dal fatto che, mentre per calo demografico diminuiscono studenti italiani e popolazione scolastica, gli stranieri continuano a crescere ( + 21% dal 2009-10, con trend però in forte calo negli ultimi anni). Dalla percentuale sempre più consistente ( 55,3% ) dei nati in Italia. Da una componente femminile (48% ) analoga a quella degli studenti italiani (48,3%). Da un incremento importante (+2,8% nell’ultimo anno ) nella secondaria superiore. Dai dati, cioè, che rispecchiano un’immigrazione stabilizzata che investe sempre di più nell’istruzione anche di livello medio-alto, quella che porta ai diplomi e magari anche all’università. Tutta un’altra storia da quella dei barconi che rovesciano numeri incalcolabili di sopravvissuti sulle nostre coste. Se da un lato aumentano i nati in Italia e anche i piccoli arrivati da noi prima dell’età scolare ( non registrati però dai dati MIUR, che discriminano solo sullo Stato di nascita ), dall’altro diminuiscono anche i “neoarrivati” che entrano per la prima volta, per lo più adolescenti, nel nostro sistema scolastico. I “più difficili” , si sa, i più disorientati. Dagli oltre 40mila del 2008 si è scesi ai 33mila del 2015, anche se nell’ultimo anno tra ricongiungimenti familiari e minori non accompagnati il gruppo è tornato a crescere. Insomma, la vicenda scolastica dei ragazzi stranieri è sempre di più vicenda di “seconde” generazioni, quelle che affidano all’istruzione la scommessa di un inserimento socio- professionale migliore rispetto ai genitori. Quelle che aspettano da tempo un ingresso più rapido nella cittadinanza.
Il V Rapporto segue anche le immatricolazioni universitarie degli stranieri diplomati nel 2013-14. Numeri ancora piccoli ( 5.640, più extracomunitari che comunitari ), ma con differenze significative rispetto ai diplomati italiani: perché soprattutto con maturità tecnica, ma anche professionale ( 16% ), e perché con una percentuale di ragazze provenienti da questo comparto educativo molto superiore a quella delle coetanee italiane. Segno che la scelta ancora fortemente maggioritaria degli stranieri di indirizzi diretti a un inserimento più rapido nel mondo del lavoro ( solo il 24,5% è nei licei ) non è vissuta, come troppo spesso dagli studenti italiani, come una scelta di livello più basso di quella liceale, e come rinuncia agli studi terziari. Un dato promettente, se si confermerà.
Finito l’allarme, dunque ? Finita la stagione delle “scuole ghetto” da cui scappano i genitori italiani ? Non del tutto, sia perché le medie nazionali sono una cosa e quelle locali un’altra, sia perché i percorsi scolastici degli stranieri restano massimamente accidentati . Se i “neo arrivati” sono di più nelle regioni meridionali – dove invece le presenze medie sono molto basse, solo il 5% in Campania – è nel Nord e nel Centro che si riscontrano i massimi addensamenti. La provincia con l’incidenza percentuale più alta è Prato ( 22,7% ), seguita a ruota da Piacenza. La regione con più studenti stranieri in assoluto è la Lombardia. Le scuole con il 30% e oltre di stranieri ( do you remember Mariastella Gelmini ? ) sono 2.855, tante certo ma solo il 5,1% delle istituzioni scolastiche. Le scuole a maggioranza straniera ( molti i serali di tecnici e professionali ) sono 569 ( l’1% del totale). E’ il comune di Brescia ad avere la percentuale maggiore ( 15% ) di scuole con il 50% e oltre di studenti stranieri. Sono le realtà che hanno più bisogno di competenze professionali dedicate, di più laboratori di italiano lingua 2, di più alleanze con i soggetti istituzionali, associativi, sociali del territorio. Non sempre ci sono. Ma è soprattutto qui che vivono le esperienze più avanzate, anche sul versante delle scuole per adulti. Non è di questo però che si occupa il Rapporto, che non si inoltra nel “qualitativo”.
Ma l’accoglienza è una cosa, e le “traiettorie” un’altra. Ci sono poi criticità di cui finora nessuno si è occupato, e tuttavia di grande peso. Una di queste è un tasso di scolarità più basso di oltre 20 punti nel segmento della scuola per l’infanzia: 74,9 contro il 97% dei bambini italiani. Non è scuola obbligatoria, ma quel 25% di bambini tra i 3 e i 5 anni, anche nati qui, che arrivano alla primaria senza aver imparato a parlare l’italiano ( solo nel 38% dei nuclei stranieri con bambini sotto i 6 anni si parla in casa anche l’italiano ), si misureranno con la letto-scrittura senza basi linguistiche sufficienti, e magari cadranno subito ( quasi il 14% sono i ritardi scolastici nella scuola elementare ). Perché succede ? Come fare per evitarlo ? E’ vero che, come mostra il Rapporto, le difficoltà scolastiche dei figli dell’immigrazione stanno diminuendo, soprattutto per i nati in Italia, ma nel 2014-15 l’incidenza media del ritardo scolastico è ancora del 34,4%, il 39,1% nella scuola media, il 63% nella secondaria superiore ( contro il 22,4% degli italiani ). Ritardi dovuti all’inserimento in classi inferiori all’età ( anche se per norma si dovrebbe non farlo ), su cui si accumulano quelli generati da bocciature/ ripetenze. L’Italia ha il primato negativo in Europa con un 35% di abbandoni precoci dei giovani stranieri ( 16% il valore per gli italiani ). Considerando invece i NEET, l’Italia è al secondo posto dopo la Grecia per presenza in questo ambito dei giovani stranieri ( 34,7% ). Non solo, mentre le ragazze straniere a scuola sono più brave dei maschi stranieri più di quanto accada tra italiane e italiani, nei NEET ci sono più ragazze che ragazzi stranieri. E sono in gran parte indiane, pakistane, del Bangla Desh, della Tunisia. Che cosa si nasconde dietro a questi numeri ? Che cosa sta facendo o possono fare la scuola, i Comuni, le associazioni ?
Luci ed ombre, quindi, secondo il Rapporto che colloca l’analisi del caso italiano all’interno del complesso processo di integrazione della popolazione immigrata nei 28 paesi dell’Unione Europea. E che richiama l’emergere, soprattutto nei paesi del Sud Europa tra cui l’Italia, di una questione giovanile in cui gli stranieri “soffrono di molteplici svantaggi in campo formativo, in contesti in cui la transizione formazione-lavoro sembra essere particolarmente lunga e problematica, se non addirittura bloccata”. Difficile dire quanto il paese nel suo insieme, politica compresa, sia consapevole dei molteplici rischi che ne derivano. E anche di quanto ne sia semplicemente informato.
Per scaricare il V Rapporto ISMU-MIUR sugli studenti di cittadinanza non italiana cliccare QUI