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Stato d’attesa tra prudenza e astuzia

Stato d’attesa tra prudenza e astuzia

di Paolo Ferratini (esperto di sistemi scolastici)

In risposta all’articolo Discutiamo lo sviluppo della Buona Scuola

Se molto poche erano fin dall’inizio le possibilità che il Parlamento potesse varare il ddl scuola in tempo utile per il prossimo a.s., ora possiamo dire con certezza che ciò non avverrà. Anche se tutto filasse al millimetro alla Camera, tra audizioni, dibattito in commissione e aula, al Senato resterebbero solo una ventina di giorni utili, tra l’altro in periodo di elezioni regionali, per approvare il testo in via definitiva entro la data del 31 maggio. Data che, in tutti i casi, era già in partenza avanzatissima e assai poco realistica, in vista del compimento di tutte le procedure amministrative necessarie per poter partire il 1 settembre con le nuove assunzioni, sia sui posti vacanti, sia di “organico dell’autonomia”. Se si fosse operato sul doppio fronte del decreto legge per il piano assunzionale e del ddl per tutto il resto, come sembrava fino a poche ore dal Consiglio dei ministri del 17 marzo, i margini operativi forse ci sarebbero stati.

La scelta di Renzi è invece stata un’altra, frutto, a me sembra, di due considerazioni distinte, dettate l’una dalla prudenza, l’altra dall’astuzia. In primo luogo, lo schema del decreto, nella stesura ministeriale, comprendeva non solo le assunzioni, ma anche tutta la parte relativa alla gestione autonoma degli organici e il sistema premiale della carriera docente (poi polverizzato dal testo del ddl): tutte materie che Mattarella, probabilmente, avrebbe ritenuto irricevibili, in quanto prive dei requisiti di urgenza. D’altronde, affidare al decreto solo le assunzioni, lasciando tutto il resto alla libera navigazione parlamentare di un disegno di legge, significava correre il rischio di portare a casa soltanto il pezzo del personale, e vedere andare a fondo il cuore stesso della riforma, la sua parte qualitativa e di novità, fra i marosi di un Parlamento che alle riforme dell’istruzione non ha mai riservato acque tranquille. Di qui la mossa del cavallo, l’astuzia: niente decreto (così facciamo nostra l’indicazione cautelativa di Mattarella sul tema e la smettono di dire che governiamo solo per decreti) e tutto nel disegno di legge, assunzioni comprese: se il Parlamento traccheggia, sua sarà una volta di più la colpa dell’inazione e saranno i partiti – maggioranza e opposizione fa lo stesso – a doversi giustificare per le attese deluse dei precari. Non solo: già che ci siamo, nel ddl mettiamo anche un bell’articolo, il 21, che delega il governo ad emanare decreti legislativi su quattordici (ma alcune questioni sono accorpate: in realtà si tratta di diciassette) materie, con cornici descrittive talmente lasche che il contenuto della delega si intuisce appena, quando va bene. Così, dovendo approvare in tempi celeri il ddl per consentire l’immissione dei 140.000 (o sono 100.000? o 60.000? c’era meno incertezza con gli esodati della Fornero…), il Parlamento dovrà mettere nelle mani del governo, senza indirizzi chiari, l’intera riforma, dalla formazione dei docenti all’istruzione tecnica superiore, dalla formazione professionale ai nuovi organi collegiali, dal ruolo dei dirigenti alla valutazione, dal diritto allo studio alla scuola dell’infanzia. Mica male.

Di tanta luciferina astuzia non è chiaro che cosa rimarrà alla fine. E’ probabile che, almeno per i posti vacanti, si proceda all’assunzione dei docenti che servono (40-50.000) con decreto e che tutto il resto rimanga nel disegno di legge, di cui il governo tenterà comunque di forzare i tempi di approvazione, usando la pistola (a salve) della deadline del 31 maggio (ma già si parla della fine di giugno…). L’organico dell’autonomia, con tutto ciò che si porta dietro (albi regionali, chiamata diretta, piani triennali elaborati dalle scuole, ampliamento dell’offerta formativa), slitterà, se tutto va bene, al 2016-17. Alla fine non sarà un gran male, vista l’approssimazione e l’improvvisazione che, pur all’interno di un impianto che contiene elementi interessanti di novità, ha tuttavia contrassegnato l’intera vicenda della “buona scuola”, da settembre in qua. Molti contenuti del ddl sono infatti fortemente discordi dal documento iniziale, sino a capovolgerne l’impostazione: un singolare revirement, avvenuto a fari spenti, senza che nessuno si sia dato la pena di spiegarne i motivi – basti pensare all’azzeramento del nucleo di valutazione, al ruolo monocratico dei dirigenti scolastici o all’abbandono della carriera docente, con la reintroduzione in toto degli scatti di anzianità.

La stessa discussione avviata dal governo sul documento iniziale è del resto stata viziata da dilettantismo: rivolgersi all’universo mondo per cambiare l’universo mondo, tutto in due mesi online, non ha senso, e infatti si è rivelata un’operazione boomerang anche sul piano dell’immagine. In tutti i casi, se consultazione doveva essere, occorreva poi restituirne i risultati in modo trasparente, coinvolgere gli stakeholders reali, ascoltare voci e pareri esperti, rispondere alle osservazioni critiche in modo argomentato, dar conto dei cambiamenti che si intendevano apportare allo schema iniziale. Certo, ci voleva tempo. E’ vero che su molte questioni il dibattito è maturo e non si può ricominciare sempre daccapo; ma quando si scende nei dettagli realizzativi non si può improvvisare o accontentarsi di slogan. I servizi per l’infanzia non sono più a domanda individuale! Ma si è calcolato che cosa significa questo in termini di erogazione reale da parte dei comuni? Annulliamo la distanza tra scuola e mondo del lavoro! Ma si è riflettuto sul serio su cosa significhi, quali implicazioni abbiano 400 ore di alternanza negli istituti e 200 nei licei, dove e in che misura questo sia davvero proponibile? E si può continuare. I nuovi assunti vengono chiamati dai dirigenti scolastici su un progetto triennale. E dopo i tre anni? Se il contratto non viene rinnovato dove vanno? Sono assunti a tempo indeterminato, mica come i ricercatori universitari. La scuola dell’autonomia deve avere una forte e responsabile leadership educativa e organizzativa! Bene, chi la esercita? il dirigente scolastico, cui viene affidato anche il giudizio sui “premi di produttività” – a questo si riduce la carriera tanto sbandierata in settembre. I dirigenti scolastici! Ma qualcuno si è peritato di guardare sulla base di quali competenze e di quale training avviene la selezione di un preside? Bisogna non essere mai entrati in una scuola per pensare che questi dirigenti scolastici siano in grado di gestire la mole di responsabilità e di compiti che si intende assegnare loro. Insomma, c’è ancora molto da fare, per arrivare ad un buon testo. Paradossalmente, per guadagnare tempo se ne è perso molto, in questi mesi. Ma forse la possibilità di aggiustare le tante cose che non vanno e i molti conti che non tornano, ancora c’è. Basta aspettare.

Scuola democratica
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