Stabilizzazioni e dintorni
di Fiorella Farinelli (esperta di sistemi scolastici e formativi)
Contributo in risposta all’articolo “Per avere una buona scuola ci vuole una buona discussione”
Nel caso del documento “La Buona Scuola” non è facile una “buona” discussione. Certi silenzi del questionario attrezzato per la consultazione – manca, per esempio, un set di domande sulle possibili funzioni dell’organico “aggiuntivo” – fanno perfino sospettare che non interessi granché l’approfondimento di alcuni dei nodi più importanti. O che non se ne siano previste le complessità politiche e tecniche. Ma forse il diavolo è meno brutto di quel che pare. Il 17 ottobre, al termine dell’ insediamento del ricostituito Osservatorio sull’integrazione degli studenti stranieri (non si riuniva da ben sette anni), il ministro Stefania Giannini ha dovuto prendere sul serio gli argomenti delle associazioni e dei dirigenti scolastici che lo compongono. Concludendo che non va bene che il governo non abbia delineato politiche sui problematicissimi risultati e percorsi scolastici degli 800.000 studenti con background straniero, che occorre invece dedicare all’argomento un 13esimo capitolo del documento sulla “buona scuola”, che dovrà essere l’Osservatorio stesso a collaborare alla sua stesura. Un esito che incoraggia a provare a piantare qualche chiodo. Come fa Massimo Negarville (v. articolo La Buona Scuola e la istruzione degli adulti) a proposito di uno degli altri sconcertanti silenzi del documento – quello su lifelong learning, percorsi di seconda opportunità, educazione degli adulti: su una questione non proprio di dettaglio come i bisogni culturali di un paese assediato dall’ignoranza anche nelle sue coorti più giovani.
Tra i chiodi più importanti ci sono le priorità della megastabilizzazione, cioè a cosa dovrebbero servire i 148mila iscritti Gae (o meglio i 98mila che restano una volta tolti dal totale i 50mila da immettere in ruolo sui posti annualmente vacanti ). Dice la Fondazione Agnelli che le proposte dovrebbero essere “a prova di bomba”, cioè assolutamente coerenti con esigenze indiscutibili della scuola, e che quindi bisogna ribaltare la logica del documento che parte da quel che c’è (una massa di insegnanti o aspiranti tali variamente connotata per appartenenze territoriali, specificità disciplinari, esperienze professionali e, forse, anche per disponibilità alla mobilità), e non da quel che occorre. Obbligatorio, si direbbe, visto che è in nome della chiusura definitiva nel 2015 delle graduatorie che si rinviano al 2018 – dopo due contratti mancati – le nuove carriere docenti, e chissà a quando altri importanti investimenti . Visto che il rapporto insegnanti-alunni da noi non è affatto più sfavorevole di quelli che esistono in sistemi educativi più efficaci del nostro. Visto che è in corso un calo demografico da brivido. Visto che prima o poi ( altro silenzio inspiegabile del documento ) bisognerà ridurre a 12 anni un ciclo di istruzione che, senza apprezzabili vantaggi – e anzi con tassi altissimi di abbandoni e di costosissime ripetenze – costringe gli studenti ad uscirne non prima dei 19 anni. Visto soprattutto che gli organici “aggiuntivi” corrono sempre il rischio di cattive utilizzazioni e di vere e proprie sottoutilizzazioni, come nella scuola italiana è già successo. Non possiamo permettercelo.
E’ il superamento della “supplentite” la priorità ? Non scherziamo, la causa principale della discontinuità didattica è, come noto, l’eccesso di mobilità a domanda, anche all’interno dello stesso comune, e la mobilità “costretta” dalle variazioni delle iscrizioni; le supplenze, più che provocare disagio agli studenti, mettono a disagio le mamme troppo ansiose, e va detto semmai che, così come sono non-organizzate, sono largamente inutili ; e inoltre, per risolvere il problema, basterebbe affidarle in parte ai tirocini di un reclutamento che desse il giusto peso a una formazione-lavoro guidata da insegnanti esperti, in parte a un orario diverso degli insegnanti, più flessibile e misurato su un monte ore mensile/annuale onnicomprensivo di tutte le funzioni connesse all’insegnamento. Senza contare che nella primaria e nella scuola per l’infanzia – dove c’è il loro massimo addensamento – le supplenze brevi potrebbero essere facilmente risolte, grazie alla non segmentazione disciplinare , con l’introduzione generalizzata di modelli a tempo pieno/prolungato.
La ricerca delle priorità dovrebbe insomma battere altre strade. Le più importanti – ” a prova di bomba”, appunto – sono quattro:
– attività anche pomeridiane per cinque giorni la settimana della scuola per l’infanzia e della primaria in tutto il territorio nazionale, coerentemente con bisogni educativi e sociali evidenti ;
– introduzione nella secondaria – in particolare nel secondo ciclo – di aree d’interesse opzionali per lo sviluppo della motivazione, dell’orientamento, della responsabilizzazione degli studenti rispetto ai percorsi di studio ulteriori e/o all’inserimento nel mondo del lavoro ;
– istituzione di laboratori permanenti di italiano lingua 2 in tutte le scuole ad alta presenza di studenti che non hanno l’italiano come lingua materna ( con insegnanti non presi a caso ma “esperti” ) ;
– sviluppo dell’offerta di educazione degli adulti e di percorsi di seconda opportunità nell’ambito del lifelonglearning .
Altre priorità, come l’istituzione dei “quadri dell’autonomia”, se da un lato richiedono, per essere sottratte all’effimero e alle discrezionalità della situazione attuale, una definizione normativa o contrattale che ancora non c’è, dall’altro non possono – almeno immediatamente – essere affidate a insegnanti che, al di là delle capacità individuali, hanno certamente meno esperienza professionale di quelli che sono nella scuola da anni e che quindi possono meglio assumere incarichi che richiedono la fiducia del dirigente scolastico e dei colleghi. Non pare d’altra parte essere di prossima realizzazione una revisione dello stato giuridico che porti al superamento dell’ “unicità” della funzione docente. Più in generale, occorre comunque osservare che anche con una definizione delle priorità come quella proposta o anche di altro tipo, si sta replicando la tradizionale pretesa centralistica secondo cui a gestire le prestazioni di un milione di lavoratori ( operanti in migliaia di diverse “autonomie” scolastiche ) continua ad essere viale Trastevere. Il documento scrive che “ogni scuola dovrà avere la possibilità di schierare la squadra con cui giocare la partita dell’istruzione”, bella frase che è però lontana da ogni prossima concretizzazione, visto che di nuova governance della scuola e di nuove responsabilità della dirigenza scolastica nelle politiche del personale non c’è ancora alcuna traccia. Ci sarà, sollecitata dall’immissione in ruolo di tanto organico non incardinato sul format rigido ma regolatore della “cattedra”, un’accelerazione in questo senso ? E in che tempi ? Nel frattempo, una volta che sarà ripartito da viale Trastevere il nuovo organico su ambiti ancora tutti da definire ( di territorio, di comparto scolastico, di rete ecc. ? ), su che base, e con quali criteri quantitativi e qualitativi, le singole autonomie scolastiche potranno “scegliere” le professionalità o le specificità che servono ? E per quanto tempo potranno disporne, senza scompaginamenti prodotti dai trasferimenti e/o da trasmigrazioni da un tipo di organico all’altro ? C’è da sperare che nelle stanze di viale Trastevere si stiano approntando delle ipotesi di soluzione, e che sia presto possibile discuterne pubblicamente, e nelle sedi appropriate. Che non sono, notoriamente, solo le pagine di una rivista.
Come si vede, è piuttosto difficile piantare chiodi in una parete che, al di là delle immagini accattivanti, è in verità alquanto sconnessa, e prima o poi tutti o una parte almeno di questi nodi verranno al pettine. Anche altri temi presenti nel documento sulla “buona scuola” richiedono “buone ” discussioni, di merito e , se possibile, anche di dettaglio. Dalle nuove carriere docenti al reclutamento, dalla formazione continua alla dirigenza scolastica. Da quello che trapela dagli uffici del Miur – e da quello che si sente in queste settimane nelle scuole – ce n’è un gran bisogno.