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Una riforma ispirata a un’idea di scuola democratica

Dibattito Ripensare Gli Ordinamenti Scolastici: Una riforma ispirata a un’idea di scuola democratica

di Massimo Baldacci

L’articolo risponde  alla proposta di riforma degli ordinamenti scolastici presentata su questo sito il 22 giugno 2020.  Per accedere all’articolo che ha avviato il dibattito cliccare QUI

Le tematiche qui trattate in modo sintentico saranno affrontate dall’autore in modo approfondito nel prossimo numero della rivista scientifica Scuola Democratica (n.2-2020). Per accedere ai numeri della rivista Scuola Democratica, clicca QUI .

Uno degli aspetti istituzionali che condiziona maggiormente il lavoro didattico è rappresentato dagli ordinamenti scolastici. A questo proposito, le Indicazioni curricolari (o Programmi di studio) prefigurano l’arredo culturale della scuola, ma la sua architettura formativa viene formalizzata dagli ordinamenti. E chi si trova a scegliere e distribuire la mobilia è necessariamente condizionato dalla struttura dell’edificio.

D’altra parte le esigenze curricolari possono mutare nel tempo, e il loro tenore può entrare in contraddizione con la struttura ordinamentale esistente. Questa può infatti ostacolare, se non impedire, i cambiamenti culturali e didattici necessari per mantenere la scuola al passo con i tempi. Quando si verifica questa contraddizione, diventa perciò oggettivamente necessaria una riforma degli ordinamenti.

A questo proposito, l’ipotesi di riforma degli ordinamenti scolatici elaborata da Luciano Benadusi e Vittorio Campione riveste un indubbio interesse. In primo luogo, perché rimette tale questione all’ordine del giorno, facendola uscire dal cono d’ombra in cui era sostanzialmente entrata negli ultimi anni. In secondo luogo, per il metodo, per la filosofia riformista che la innerva: un progetto complessivo, che mira a ridisegnare l’intera struttura ordinamentale della scuola. Su questo secondo merito della proposta, occorre però una precisazione.

Uno degli argomenti usati per archiviare le filosofie riformiste di vasto respiro è quello secondo cui il Grande Progetto di Riforma della Scuola sarebbe un’astrazione illuminista, un’aspirazione velleitaria, figlia di un orizzonte culturale – quello della Modernità – sul quale è ormai sceso il tramonto. Voler cambiare tutto e in una sola volta è il modo più sicuro di fallire e non cambiare nulla, perché il consenso verso una trasformazione di larga portata è macchinoso da realizzare, e le immancabili resistenze finiscono per insabbiare la riforma.

Personalmente ritengo che questo argomento confonda due piani che devono essere tenuti distinti: quello del progetto e quello della realizzazione pratica. Certamente, procedere per riforme parziali e delimitate appare realistico e più fattibile rispetto a grandi cambiamenti. Tuttavia, questo non è un argomento contro l’esigenza di un progetto organico e complessivo, che risulta anzi opportuno per garantire la coerenza sistemica dei singoli interventi. Altrimenti, si ha un riformismo di piccolo cabotaggio, che rischia di procedere a tentoni, ignorando le interdipendenze interne al sistema-scuola.

L’ipotesi di Benadusi e Campione è innervata da questa filosofia progettuale organica e di vasto respiro, e quindi – come dicevo – è indubbiamente interessante. Ma qual è il principio che informa questa ipotesi progettuale? Gli autori lo esprimono in modo chiaro:

“La riforma degli ordinamenti non va fatta sulla base di un modello precostituito di carattere ideologico, va invece tarata sulle situazioni di fatto del nostro paese che ci segnalano problemi, ritardi e criticità anche al cospetto di altri paesi europei, e va congiunta alla individuazione di concreti obiettivi programmatici da conseguire.”

Quindi le indicazioni per la riforma devono essere desunte non da un modello ideologico aprioristico, bensì da un’indagine empirica, da una comparazione con i sistemi scolastici avanzati, da cui trarre i traguardi da realizzare. Si tratta di un’impostazione concreta e intelligente, che tuttavia richiede alcune riflessioni. Mi chiedo infatti se un progetto di riforma possa fare a meno di un’ideadi scuola, capace di informare unitariamente i suoi vari aspetti.

Con questa espressione intendo una concezione generale della scuola (quindi, ideologica in senso lato), del suo senso e del suo compito in una certa fase storica. Come tale l’idea rappresenta un a priori, ma non un partito preso arbitrariamente o un’essenza perenne, in quanto essa è il parto di un’analisi storico-culturale, e quindi serba un carattere storico-relativo, consapevole della propria provvisorietà. Per essere meno astratto, posso dire che la riforma della scuola dovrebbe essere ispirata a un’ideadi scuola democratica, il cui scopo sia quello di realizzare una crescita culturale, intellettuale e morale di massa dei nostri giovani, e quindi quello di formare tutti come cittadini capaci e attivi.

Mi pare che la proposta di Benadusi e Campione sia largamente orientata in questo senso, che mostri un chiaro profilo democratico (e di questi tempi, non è davvero poco o scontato). A questo proposito, mi limito a evidenziare la sottolineatura dell’assenza di qualsiasi trade-off tra qualità ed equità, spettro che è stato ripetutamente agitato dalla metà degli anni Ottanta, quando il dibattito sulla scuola ha conosciuto una svolta dal tema dell’uguaglianza formativa a quello della qualità dell’istruzione.

Vengo adesso a quello che mi pare il punto chiave della loro analisi. Mi riferisco alla individuazione di uno scarto tra il segmento della prima scuola (d’infanzia e primaria) e scuola secondaria, che porta a “identificare nell’intera secondaria il segmento debole del sistema” e quindi “a puntare su di essa il focus del ripensamento degli ordinamenti e dei curricoli scolastici”. Il documento argomenta in modo analitico la struttura e le dimensioni di questo scarto. Si tratta, a mio parere, di una indicazione molto rilevante per le politiche riformiste da adottare. Precedenti analisi, infatti, avevano puntato il dito sulla sola scuola media inferiore, mentre l’argomentazione svolta da Benadusi e Campione mostra che il problema è più esteso e richiede quindi una riforma complessiva, e non un mero intervento ad hoc sulla scuola media.

Tuttavia, anche se il focus del problema è nella secondaria, i nostri autori propongono un progetto di riforma complessiva. E a mio parere lo fanno giustamente, perché come si diceva all’inizio un sistema coeso e coerente richiede un disegno d’insieme.

A questo proposito, formulo due prime osservazioni integrative al documento, nel senso che si appuntano sul primo segmento formativo (scuola d’infanzia e primaria). Il fatto che tale segmento goda di buona salute, infatti, non implica che non sia ulteriormente migliorabile.

La prima osservazione è un’avvertenza sul sistema integrato 0-6 anni. Fermo restando che dal punto di vista teorico è necessaria una cultura dell’infanzia in senso ampio (e quindi dell’intero segmento 0-6), ritengo che dal punto di vista istituzionale la scuola dell’infanzia debba fare essenzialmente sistema con la scuola primaria, e quindi essere considerata come prima vera scuola. E non come un mero servizio socio-educativo. Questo, per essere chiaro, vuol dire che la scuola d’infanzia, come la scuola primaria, deve essere pensata e organizzata secondo un’otticacurricolare, capace di renderla prima scuola del cittadino, e quindi di provvedere a ridurre precocemente gli scarti culturali presenti nella popolazione infantile, in ragione dei diversi ambienti di sviluppo dei bambini.

La seconda osservazione riguarda la scuola primaria. Questa scuola nel 1990 aveva raggiunto un ordinamento modulare che consentiva un insegnamento articolato per grandi ambiti culturali. Tale ordinamento è poi stato abolito, riesumando l’insegnante tuttologo e annacquando inevitabilmente il profilo culturale di tale scuola. Ciò, tra l’altro, inasprisce la discontinuità tra scuola primaria e scuola media, basata sugli insegnamenti disciplinari. Una riforma ordinamentale dovrebbe essere l’occasione per reintrodurre, almeno nel secondo ciclo della scuola primaria, un’articolazione curricolare differenziata per grandi ambiti disciplinari, almeno due: quello linguistico-storico-artistico (o umanistico) e quello matematico-scientifico-tecnologico (scientifico). Tra l’altro, questo non richiederebbe necessariamente un aggravio di spesa. Basterebbe avere un modulo di due insegnanti su due classi parallele: uno insegna l’ambito umanistico in entrambi le classi; l’altro l’ambito scientifico. La formazione universitaria dei docenti di primaria potrebbe allora prevedere un indirizzo umanistico e un indirizzo scientifico (a partire da una base pluridisciplinare), rendendo così la loro formazione culturale più solida. In questo modo, le competenze d’uscita dei bambini potrebbero ancora migliorare e gli scarti ridursi; mentre, la discontinuità con la scuola media si attenuerebbe. Ritengo che questo sia un intervento cruciale e necessario per mettere la scuola primaria al passo con i tempi, e renderla compiutamente aderente a un progetto democratico.

Veniamo adesso alla scuola secondaria, attualmente articolata in un triennio di scuola media e un quinquennio di scuola superiore. Dall’analisi di Benadusi e Campione emerge un’esigenza di ristrutturare questo segmento. Personalmente sono d’accordo per due essenziali motivi.

In primo luogo, i dati attestano che le difficoltà degli studenti si manifestano in tutta la loro evidenza nel primo biennio della superiore (e nel primo anno in particolare), quando gli elementi di dispersione implicita che covavano già nella scuola media emergono in modo manifesto, portando a bocciature, ripetenze e abbandoni. Le indagini internazionali sul profitto mostrano inoltre che qui affiorano le disparità territoriali e i ritardi che caratterizzano il nostro Paese. Questi processi involutivi sembrano quindi localizzati nel segmento 11-16 anni, e non nella sola scuola media come hanno sostenuto alcune letture del sistema scolastico.

In secondo luogo, l’obbligo scolastico esteso al sedicesimo anno di età è sopravvenuto su una struttura scolastica che era stata pensata secondo una diversa logica, che vedeva il primo biennio della superiore come post-obbligo. Il nuovo obbligo scolastico deve così modellarsi su una struttura estranea alle sue esigenze. Pensare un segmento unitario 11-16 anni, sia pure articolato in due cicli (11-14; 14-16), permetterebbe di ridisegnare secondo una logica omogenea e specifica il compimento dell’obbligo scolastico. Inoltre, questa misura potrebbe ridurre l’attuale discontinuità tra la scuola media e la secondaria superiore, fonte di difficoltà scolastiche per molti studenti.

La creazione di un segmento 11-16 anni, per altro, non implica una scuola media quinquennale. I due cicli (11-14; 14-16) potrebbero anche mantenere un’afferenza istituzionale differente.

Un primo percorso secondario lungo (disteso su cinque anni) dovrebbe essere finalizzato anzitutto a un adeguato rafforzamento delle competenze di base linguistiche e matematiche, senza le quali tutta la preparazione seguente (anche quella professionale) poggia su basi fragili. Il biennio 14-16, oltre a un’ampia area di discipline comuni (ben individuata nella proposta Benadusi-Campione), potrebbe prevede discipline d’indirizzo secondo grandi orientamenti (umanistico, scientifico, tecnologico).

La riconfigurazione dell’assetto curricolare dovrebbe essere completata da una ricalibrazione del modello didattico. L’attuale modello, infatti, mette a carico dello studente l’onere dell’adattamento alle caratteristiche della proposta didattica, pensata unicamente secondo la logica della disciplina. Si tratta di un’eredità della scuola d’élite che presuppone condizioni ormai inesistenti, a partire da un’utenza culturalmente omogenea e spontaneamente motivata al lavoro scolastico. Oggi si ha invece una popolazione scolastica dalle caratteristiche d’ingresso eterogenee e rispetto alla quale la motivazione è un obiettivo da raggiungere. Il modello didattico deve perciò essere ricalibrato sul rapporto tra lo studente e il sapere. E questo richiede innanzitutto un differente modello di formazione dei docenti, che oltre alla indispensabile competenza disciplinare provveda a un loro adeguato equipaggiamento pedagogico-didattico e psico-sociale.

Ci sarebbe molto altro da dire, ma ciò che conta è che questo dibattito sia stato aperto.

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Scuola democratica
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