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Una via italiana al modello duale ?

Una via italiana al modello duale ?

 di Fabrizio Dacrema (esperto di formazione e lavoro- CGIL nazionale)

Quali sono gli aspetti del modello duale tedesco che potrebbero migliorare la situazione italiana? Questa domanda il nostro paese se la sta ponendo sia con il recente protocollo di intesa tra Italia e Germania che ha attivato un task force bilaterale per lo studio e la diffusione del modello duale, sia con il piano del governo sulla “buona scuola” che, nel capitolo “Fondata sul lavoro”, si richiama espressamente al modello tedesco di apprendistato. Il duale tedesco è un modello di successo dal punto di vista dell’occupazione giovanile e dei risultati ottenuti nella riduzione della dispersione scolastica, ma nel suo impianto generale non privo di limiti. Il limite più importante consiste nella canalizzazione rigida e precoce – a 11 anni – degli studenti tra Gymnasium (liceo che permette l’accesso all’università), Realschule (scuole tecniche che permettono l’accesso all’istruzione tecnica superiore) e Hauptschule (scuole professionali). E’ noto che la stessa Germania, per favorire una maggiore mobilità sociale, ha iniziato a superarlo istituendo la scuola comprensiva Gesamtschule, che però copre solo una minoranza della popolazione scolastica (circa il 20 per cento). Ma sono indubbi i successi del modello duale, vissuto come una conquista dei lavoratori, che garantisce ai giovani alti livelli formativi, anche di carattere terziario, e buoni esiti occupazionali. E’ in proposito significativo che il 15 per cento dei diplomati del Gymnasium, invece o prima di proseguire gli studi all’università, prenda una qualifica professionale con il modello duale. Va comunque detto che l’età di ingresso ai percorsi duali si sta progressivamente innalzando, tanto che oggi l’età media degli apprendisti è di vent’anni, a conferma di una spinta sociale diffusa all’innalzamento dei percorsi di istruzione fino alla conclusione del ciclo secondario. La stessa esperienza tedesca consiglia, quindi, di superare i percorsi duali precoci e alternativi al percorso scolastico, a favore di percorsi duali “alti”, che inizino almeno non prima degli ultimi due anni della secondaria superiore, come nel caso del recente progetto sperimentale promosso dai ministeri dell’istruzione e del lavoro per il ” diploma in alternanza”. Il punto di forza del modello duale è, infatti, la sua capacità di formare competenze per il lavoro curvate sulle esigenze occupazionali di medio periodo del sistema produttivo (di qui l’altissimo tasso di occupazione degli studenti/apprendisti duali), ma garantendo nel contempo una buona formazione di base culturale e professionale che permetta di proseguire la formazione lungo il corso della vita e di ottenere una qualifica professionale – spendibile su tutto il territorio nazionale- riconosciuta e apprezzata sia dalle imprese tedesche in sede di assunzioni, sia dal sindacato per quanto attiene la contrattazione dei salari, degli inquadramenti e delle carriere. I punti di maggiore distanza – e di maggior “vantaggio” – del duale tedesco dalla situazione italiana sono nella possibilità effettiva di apprendimento in contesto lavorativo (learning by doing) e nel sistema nazionale delle qualifiche, che in Germania sono di competenza dello Stato Federale (mentre l’istruzione è di competenza dei Laender). Ma il possibile sviluppo di percorsi formativi basati sull’alternanza tra i due contesti di apprendimento, la scuola e l’impresa, risponde alle esigenze del sistema formativo italiano di: – ridurre la dispersione scolastica sviluppando metodologie didattiche attive capaci di intercettare tutte le intelligenze, centrate sull’”imparare facendo” nei laboratori e in contesto lavorativo; – ridurre il mismatch tra domanda di competenze delle imprese e offerta del sistema formativo: la formazione delle competenze tecnico-professionali è più aggiornata e allineata alle esigenze reali delle imprese e le competenze traversali (considerate oggi le più carenti) si formano soprattutto grazie alle esperienze di apprendimento in contesto; – aumentare l’occupazione e l’ occupabilita’ dei giovani grazie al possesso di competenze spendibili, aggiornabili, integrabili; – potenziare la capacità contrattuale, la forza e l’indipendenza dei lavoratori nel posto di lavoro e nel mercato del lavoro attraverso il possesso di competenze alte e trasferibili da un posto di lavoro all’altro; – favorire il riposizionamento del sistema produttivo italiano su qualità e innovazione attraverso il miglioramento delle competenze dei lavoratori, lo sviluppo della capacità formativa dell’impresa, il sostegno alle imprese che puntano sulla qualità del lavoro. La ricerca di una via italiana al modello duale deve però partire dalla specificità di un sistema produttivo che esprime una bassa domanda di competenze, addirittura inferiore a un’offerta di capitale umano molto al di sotto della media dei paesi sviluppati. La diffusione delle esperienze di alternanza scuola-lavoro insieme allo sviluppo della capacità formativa delle imprese devono quindi essere considerate parti di una nuova politica industriale che stimoli e orienti la crescita verso le filiere produttive alte. E che sviluppi nelle imprese una nuova cultura nei confronti della formazione delle competenze dei lavoratori come loro interesse prioritario e non come opportunità di accesso alle agevolazioni contributive e fiscali, come spesso accade con l’ apprendistato, i tirocini, gli stage, etc.   Quali sono allora le condizioni per lo sviluppo dell’apprendimento in alternanza scuola-lavoro? Oltre alle risorse, occorre

  • garantire piena spendibilità di tutte le competenze apprese in contesto lavorativo
  • valorizzare il ruolo delle parti sociali
  • promuovere la capacità formativa dell’impresa.

La questione della spendibilita’ delle competenze comunque acquisite è solo parzialmente risolta nell’apprendistato di alta formazione sia perché i titoli di istruzione secondaria o terziaria non sono tradotti in competenze leggibili dagli attori del mercato del lavoro, sia perché oggi tutte le competenze tecnico-professionali e trasversali conseguite in contesto lavorative non contenute nel titolo di studio non sono certificate e rese spendibili fuori dall’azienda dove l’esperienza formativa si è realizzata. Occorre quindi realizzare il sistema nazionale di certificazione delle competenze previsto dalla legge 92/2012. L’ affidabilità della formazione conseguita attraverso il sistema duale, che è alla base del suo successo occupazionale, deriva principalmente dal ruolo attivo svolto in Germania dalle parti sociali nella definizione e aggiornamento delle qualificazioni professionali e nella realizzazione dell’intero sistema. La marginalità attuale delle parti sociali in Italia in tutti i processi decisionali in materia segna il punto di maggiore debolezza del sistema nazionale di certificazione delle competenze e, più in generale, dei sistemi formativi per il lavoro.   Quanto alla capacità formativa dell’impresa, sappiamo che nel sistema produttivo italiano, molto frammentato e poco innovativo, le imprese dotate di capacità formativa scarseggiano. L’idoneità dell’impresa, come in Germania, deve essere valutata in relazione alla regolarità giuridico-amministrativa, all’idoneità dei luoghi dell’apprendimento (spazi, attrezzature, tecnologie, materiali, …) e delle professionalità interne (formatori, competenze educative, tutor aziendali. Le piccole imprese, in difficoltà a raggiungere i requisiti per l’accreditamento, devono potersi avvalere del supporto di poli formativi tecnico professionali settoriali e/o di reti di imprese finalizzate ad assicurare le competenze e i requisiti necessari. La figura del tutor aziendale, come in Germania il Meister, deve essere definita, certificata e prevedere specifiche competenze educative. Devono essere previsti percorsi formativi specifici per i formatori e i tutor aziendali anche utilizzando le risorse dei Fondi Interprofessionali. La contrattazione deve regolarne le funzioni e gli inquadramenti. Infine le risorse. Il sistema duale è un modello costoso. La Germania può permetterselo perché circa il 70 per cento dei costi grava sulle imprese (formatori e tutor aziendali, salari degli apprendisti, materiali, spese generali) che, in cambio di una formazione coerente con le loro esigenze produttive caratterizzate dalla priorità attribuita alla qualità del lavoro, finanziano un sistema formativo pubblico, il cui titolo è statale, dotato di valore legale, e spendibile al di fuori delle loro aziende in tutto il territorio nazionale.

Scuola democratica
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