Bullismo. La sottile linea tra vittima e carnefice
di Rosaria Cataletto (Psicologa, psicoterapeuta, esperta in criminologia e consulente presso il ministero di giustizia)
Gabriele: il bullo dei quartieri spagnoli.
Social e quotidiani, nei giorni scorsi, hanno dato ampio spazio, ad un nuovo episodio di bullismo che vede protagonisti due adolescenti, dove sembra quasi impossibile, andare a percepire il confine tra vittima e bullo, vista la dinamica degli eventi che si sono sviluppati nel corso di diversi anni.
Partiamo con il dire che il bullismo è un fenomeno di ampia portata, che colpisce i bambini e gli adolescenti, soprattutto in nell’ambiente scolastico, quando uno studente, diventa oggetto di azioni particolari, tese al disfacimento della sua personalità, autostima e credibilità.
Azioni che si susseguono nei mesi, spesso negli anni, e che minano fortemente l’equilibrio psicofisico della vittima.
Quando, il contatto diretto non è più sufficiente a mortificare la vittima, si passa, in niente, alla trasmissione e divulgazione di quelle umiliazioni al grande pubblico, attraverso i sistemi informatici, arrivando, cosi, all’ultima fase del fenomeno, quella del cyberbullismo.
Ma chi è il bullo?
Il bullo è chi mette in atto ripetute prevaricazioni, fisiche o psicologiche, verso chi è più debole. In genere, ha una chiara difficoltà a riconoscere le emozioni positive che gli altri provano per lui e lui prova per gli altri.
Vi sono diversi tipi di bullismo: diretto, indiretto, fino ad arrivare al cyber bullismo.
La vittima è chi invece subisce queste prepotenze, con una difficoltà a riconoscere le emozioni negative, quali la rabbia,
Contrariamente a ciò che si crede, di solito, il bullo, non è un insicuro, ma un ragazzino che ha sviluppato la sua sicurezza e i primi tratti della sua personalità in un ambiente generalmente freddo, poco propenso all’affettività. Non di rado ha assistito a scene violente e usa la stessa violenza, come mezzo per ottenere i suoi scopi, prevaricando, senza alcun rimorso, l’altro.
Quindi si parla di un soggetto, la cui capacità di empatia manca completamente.
Due ruoli chiari e definiti, quelli del bullo e della vittima, ma che in realtà nascondono risvolti molto più complessi. La vittima, proprio per la sua difficoltà, stenta a riconoscere emozioni negative, quali la rabbia, e, talvolta, stanca dei soprusi subiti, assume, a sua volta, tratti e comportamenti da bullo. Non riuscendo più a porre limiti alla sua stessa rabbia, mette in atto spontaneamente un meccanismo che sottende la autodifesa, ma anche una forma di emulazione verso il proprio aguzzino.
Qualcosa di molto simile deve essere successo a Gabriele, poiché accanto alle testimonianze che lo riportano come il bullo della scuola, ve ne sono tante altre che raccontano di soprusi continui subiti dal ragazzo, legati sia al colore della sua pelle, di incarnato più scuro della media, che alla sua non identificata paternità.
Del resto numerose ricerche confermano che il cambio di ruolo, da vittima a carnefice, è molto diffuso nei casi di bullismo. Una delle ultime ricerche sul tema è stata pubblicata dal Cohen Children’s Medical Center di New York.
Perché Gabriele e altri hanno poi questo cambiamento di ruolo? Una risposta specifica non c’è ma, probabilmente, a favorire questa trasformazione influiscono una serie di difficoltà.
Negli ultimi giorni, è passata al Senato, la legge 20/09/2016 n° 3139, proprio per contenere quello che sta diventando un fenomeno di massa e che crea in casi estremi, anche la morte della vittima.
La si è espressa in sei punti chiave, che vanno dalla rappresentazione dell’aggressore, fino ad arrivare agli interventi di prevenzione, fatti soprattutto a scuola, dove professori incaricati, faranno formazione, per imparare a riconoscere, prevenire e articolare programmi d’intervento per i soggetti protagonisti di tali vicende.
Qualora tale forma di aggressività si fosse estesa anche ai mezzi informatici, la stessa legge, prevede l’oscuramento dei canali e il blocco della diffusione delle immagini.
Come tutte le situazioni drammatiche, si arriva alla promulgazione di leggi, sempre dopo, che ci sono state lunghe file di vittime. Magari se tutto questo fosse stato fatto qualche anno fa, Gabriele e tutti gli altri si sarebbero risparmiati percorsi di vita adolescenziali, con carichi emozionali difficili da reggere.
Il caso di Gabriele, sembra alla luce di tutto quanto successo, il caso esempio, il caso limite,
Un ragazzino insicuro, con una identità personale e familiare non ben definita, con una forte confusione emozionale e con tutta un’altra serie di difficoltà, a fungere da corollario.
Di sicuro, Gabriele si è sentito in un vicolo cieco, inascoltato e demotivato. Non valutato.
Forse per questo si è lasciato sopraffare dall’ansia fino a farla sfociare poi nell’aggressività, che ha trovato la sua esplicazione nel gesto limite della coltellata inflitta ad un compagno di classe.
Tutto questo non giustifica l’azione, il gesto, l’ansia legata alla giovane vittima che ha lottato tra la vita e la morte e che certamente non si aspettava che un chiarimento tra compagni, finisse poi così.
Tutto questo, per cercare di arginare problemi che se contenuti da subito, possono poi evitare tragedie in futuro, ma soprattutto per evitare agli aggressori percorsi di vita quasi sempre segnati da violenze future e alle vittime fornire gli strumenti necessari per costruirsi o ricostruirsi quella forma di autostima che appare indispensabile a riconoscere il proprio valore.