Buona scuola e Buona Costituzione
di Anna Armone (direttore di “Rivista Trimestrale di Scienza dell’Amministrazione scolastica” e formatrice del personale scolastico)
Contributo in risposta all’articolo “Per avere una buona scuola ci vuole una buona discussione”
La prima riflessione è che la “Buona scuola” prescinde dal riferimento al sistema istituzionale e amministrativo di governo dell’istruzione e al suo evolversi; basta pensare che è stato approvato l’8 agosto, in prima deliberazione, dal Senato della Repubblica, il disegno di legge di revisione costituzionale che incardina ulteriormente la scuola al territorio regionale. Nel ddl è abolita la legislazione concorrente tra Stato e Regioni. In particolare, l’articolo 117 della Costituzione riguarda la potestà legislativa delle regioni “…..in materia di servizi scolastici, istruzione e formazione professionale, promozione del diritto allo studio, anche universitario”. Lo Stato ha legislazione esclusiva sulle disposizioni generali e comuni sull’istruzione e sull’ordinamento scolastico. Nel contempo, viene ridefinito l’art. 119 della Costituzione che prevede il finanziamento integrale delle funzioni pubbliche dei Comuni, delle Città metropolitane e delle Regioni, sulla base di indicatori di riferimento di costo e di fabbisogno. La previsione dei LEP, legata al decentramento di funzioni amministrative e agli obiettivi di razionalizzazione della spesa pubblica, è una concreta possibilità di intervento per compensare le diseguaglianze e innalzare la qualità complessiva del nostro sistema scolastico. In particolare, l’attribuzione della competenza legislativa (esclusiva, concorrente lo è già) alle regioni in materia organizzativa sposta la leva finanziaria, il che richiede una riflessione sulle relazioni che si innesteranno con le scuole. Dal 2003 in poi sono intervenute varie norme che hanno profondamente innovato dal punto di vista ordinamentale, e che, tranne la possibilità di intervenire sulla quota curriculare del 20%, non lasciano alcuno spazio alle Regioni. Inoltre, la dipendenza del personale docente dallo Stato e la stessa attribuzione del personale da parte degli USR impedisce qualunque possibilità di programmazione da parte delle Regioni dell’offerta formativa. In questo scenario lo stato della pianificazione dell’offerta formativa appartiene alle azioni individuali della singola scuola che intesse rapporti con i soggetti del territorio negoziando risorse secondo la forza “economica” dello stesso. Nel documento governativo si accenna alla possibilità per le scuole di scegliere parte dell’organico dei docenti per la realizzazione dell’offerta formativa e la creazione degli albi professionali dei docenti. Ma non viene chiarita l’allocazione dell’Albo e la percentuale di personale da reperire con tale modalità. In effetti, quest’ultimo provvedimento, se ancorato al trasferimento del personale dallo Stato alla Regione, vedrà la Regione stessa garante della provvista di personale coerente con il proprio Pof. L’albo, perciò, dovrebbe integralmente sostituire le graduatorie per innestare un’autoselezione tra persone motivate e non motivate. La programmazione dell’offerta formativa sul territorio seguirebbe questo iter:
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la Regione determinerebbe gli obiettivi formativi (curricolo territoriale) coerenti con la propria conformazione socio economica territoriale;
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la Regione detterebbe i parametri di razionalizzazione della rete fissando, nel contempo, gli obiettivi da raggiungere attraverso l’offerta formativa;
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i dirigenti attingerebbero dagli Albi il personale per la realizzazione del Pof.
In questo quadro la regione dovrebbe esercitare il controllo e la vigilanza sull’efficienza della gestione operata dal dirigente, anche al fine di monitorare la gestione stessa alla luce del fabbisogno standard. Quest’ultimo passaggio sarebbe necessario perché il controllo sulla spesa da parte del soggetto erogatore eviterebbe l’effetto moltiplicatore della spesa pubblica. Il parametro del controllo dovrebbe essere costituito dal fabbisogno standard.
Il documento governativo quando affronta il tema della valutazione centra il disegno sul ruolo centrale dell’INVALSI. In particolare, sconfina nella valutazione dirigenziale che, come in ogni altro sistema pubblico e privato, è di competenza del soggetto che “eroga” e deve poter valutare l’esercizio del potere dirigenziale. Un quadro più “sistemico” della valutazione delle istituzioni scolastiche dovrebbe essere così scandito:
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valutazione degli apprendimenti (INVALSI)
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valutazione delle scuole (INVALSI e Regione)
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valutazione dei docenti (Nuclei di valutazione)
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valutazione dei dirigenti (Regione con il supporto dell’INVALSI).
Relativamente all’autonomia delle istituzioni scolastiche, il documento del Governo centra sulla possibilità di innovare la didattica, sulla necessità di nuovi organi collegiali, sulla connettività tra le scuole e sulla centralità dell’apertura della scuola sul territorio. Ritengo coerente con il sistema amministrativo generale la possibilità, una volta definito il quadro costituzionale, che le Regioni sperimentino modelli gestionali organizzativi e forme avanzate di autonomia delle istituzioni scolastiche volti ad innalzare la qualità del servizio di istruzione ed accrescere efficienza ed efficacia della spesa. Un esempio: potrebbero essere costituiti dei centri di committenza regionali sgravando le scuole da un ingente quantità di adempimenti per l’approvvigionamento di beni e servizi. L’autonomia scolastica non si rinforza continuando a trasferire alle scuole funzioni amministrative solo perché la scuola è inserita tra le amministrazioni destinatarie del d.lgs. n. 165/2001 (salvo poi a stornare le norme da applicare quando ci si rende conto della loro incoerenza con il micro sistema scolastico). Ecco, dunque le condizioni per un autentico rinforzo dell’autonomia scolastica:
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la costruzione di un sistema autonomistico ancorato al territorio e di un modello di Governance del sistema stesso che eviti il rischio di un neo centralismo regionale; ciò potrebbe essere realizzato anche attraverso il riconoscimento di una soggettività di diritto pubblico alle reti di scuole;
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la ridefinizione del ruolo dello Stato al centro e sul territorio.
In conclusione, non sarebbe forse, meglio, che i politici, tra di loro, quando scrivono piani e norme si scambiassero le idee?