Come si finanzia la Buona Scuola?
di Francesco Pastore (Professore Aggregato di Economia Politica presso la Seconda Università degli studi di Napoli)
Premessa1
Il prossimo 3 marzo 2015 è prevista la discussione dei provvedimenti collegati alla Buona Scuola. Learning 4 ne ha parlato abbondantemente in diversi autorevoli interventi nelle scorse settimane. Uno dei punti più discussi è quello dei dubbi su dove trovare le risorse per finanziare la buona scuola. Questo editoriale riflette brevemente sulle proposte presentate dallo stesso governo ed avanza alcune ipotesi aggiuntive. Per amore di brevità alcuni punti saranno solo accennati, ma del resto sono già spiegati molto bene nei documenti del governo reperibili online al sito: https://labuonascuola.gov.it/.
La situazione attuale
Con il suo circa 4,2% del PIL nel 2012, l’Italia è il quintultimo paese europeo in termini di spesa nella scuola in rapporto al PIL. Dopo l’Italia, ci sono solo Grecia, Slovacchia, Bulgaria e Romania, paesi che sono in (o hanno attraversato) una profonda crisi economica. La causa più evidente della spesa insufficiente in istruzione è il debito pubblico che, obbligandoci a pagare circa 100 miliardi di euro all’anno solo per interessi, non consente di espandere la spesa in capitoli strategici, come la scuola.
La bassa spesa in istruzione è uno dei segreti del declino italiano e il declino sarà inesorabile se non si inverte la rotta, se non si cambia verso, per dirla con lo slogan preferito dal Presidente del Consiglio Matteo Renzi. La domanda che sorge spontanea è allora: Dove prendiamo i soldi? Va detto subito che il governo non ha lasciato inevasa la domanda e sul sito di presentazione del programma di riforma c’è un intero capitolo sul suo finanziamento.
Gli sprechi e le risorse aggiuntive
La questione delle risorse è duplice. Da un lato, occorre usare meglio i quattrini già stanziati per l’istruzione, eliminando sprechi e usi distorti. Dall’altro lato, c’è la questione delle possibili risorse aggiuntive.
Fra gli usi sbagliati, il governo accenna al Fondo MOF (per il miglioramento dell’offerta formativa) che è stato usato in questi anni più per arrotondare i pur troppo bassi stipendi dei professori che per il miglioramento dell’offerta formativa. Nel corso degli anni, perciò il governo lo ha ridotto e anche di molto, da 93 milioni del 2012 a 20 attuali. Andrebbe rifinanziato con vincoli ben precisi che obblighino le scuole ad usarli per gli obiettivi della Buona Scuola, fra i quali l’alternanza scuola-lavoro (ASL).
Anche i fondi destinati al PON, almeno una parte, saranno usati per finanziare progetti collegati alla Buona scuola. Nel documento governativo, ci sono alcuni dettagli, ma non tutti.
Si tratta di alcuni ottimi esempi di individuazione degli sprechi dall’alto. Il governo deve continuare a guardare come sono spesi i soldi stanziati e verificare che siano spesi bene. Nell’ambito di questa attività di monitoraggio, bisognerebbe però pensare anche a meccanismi di spending review a livello locale. Gli sprechi possono essere un po’ dappertutto ed è difficile coglierli dall’alto. Più facile una spending review decentrata, sul modello anglosassone, con il coinvolgimento di soggetti esterni che vigilino affinché non ci siano sprechi. Andrebbe fatto in ogni ramo della pubblica amministrazione.
Il governo poi ha stanziato 3 miliardi all’anno nell’ultima legge di stabilità per la stabilizzazione, appunto, di circa 140 mila precari. Il provvedimento sarà anche finanziato con i risparmi derivanti dalla riduzione dei costi delle supplenze. Le graduatorie sono state una costosa e continua bagarre, che la Costituzione avrebbe obbligato a non iniziare neppure e alla quale l’UE ci ha imposto di mettere subito fine.
Le risorse aggiuntive
Altrove ho suggerito che sia opportuno superare Maastricht per una buona causa come il raggiungimento degli obiettivi di Lisbona, nei quali siamo fanalino di coda in Europa. L’UE non è agnostica in fatto di crescita, ma suggerisce a ragione che per promuoverla occorre realizzare gli obiettivi di Lisbona. La Buona scuola è una buona causa! Si può chiedere di fare uscire dal computo degli indicatori di Maastricht i soldi usati per raggiungere i tre obiettivi di Lisbona: riduzione obbligo scolastico, aumento della percentuale dei diplomati e dei laureati, spesa in ricerca e sviluppo.
Credo che uno dei fiori all’occhiello della Buona scuola sia l’ASL. una maggiore integrazione fra scuola e mondo del lavoro era al centro della proposta per un manifesto condiviso delle riforme della scuola pubblicato con Marta Rapallini su queste pagine alcune settimane fa.
Per la alternanza scuola lavoro, il governo ha stanziato circa un centinaio di milioni. Anche da queste pagine, alcuni autorevoli osservatori hanno notato che questa somma potrebbe essere insufficiente. In effetti, il buon funzionamento della ASL può ricadere perfettamente nei parametri di Lisbona. Su questo si può chiedere un finanziamento di bond da parte della BCE. Il rendimento per il paese, ma anche per le imprese, in termini di crescita del capitale umano e della produttività dei giovani che iniziano la transizione verso il lavoro dovrebbero essere notevoli e anche in tempi piuttosto brevi.
Il ruolo degli stakeholders
Questa osservazione sui rendimenti sociali dell’istruzione e sui vantaggi anche per le imprese pone indirettamente la questione se altri soggetti, oltre lo stato e l’UE, possano partecipare per sostenere i costi dell’ASL. Mi riferisco, in particolare a genitori, singoli contribuenti, grupi di contribuenti, imprese. Tutti questi soggetti sono stakeholders della scuola, interessati al suo successo per motivi diversi, ma concordanti. La risposta, per alcuni non scontata, è certamente positiva, dal mio punto di vista.
Mi sembra interessante, perciò, l’idea del governo, di assegnare un ruolo agli stakeholders nella governance scolastica, ovviamente in forme ben precise e con limiti ben precisi. In particolare, se ne parla per consentire loro di contribuire al miglioramento delle attività di laboratorio e di ASL. Il documento del governo presenta molte novità interessanti da questo punto di vista.
È chiaro che di risorse ce ne vogliono per l’ASL. I laboratori dovranno essere dotati di nuove attrezzature al passo con i tempi: stampanti 3D, frese laser, componenti robotici, nuovi hardware e software. Senza queste ed altre simili attrezzature innovative, gli istituti tecnici e professionali non potranno tornare ad essere quel volano di innovazioni per le imprese che sono stati negli anni dello sviluppo industriale.
Inoltre, le attrezzature senza docenti formati per usarle sarebbero inutili. Il governo dice che le nuove assunzioni riguarderanno anche personale in grado di svolgere questo tipo di attività di laboratorio. L’altro strumento sono le imprese. Il modo migliore per dimostrare come i nuovi strumenti sono utilizzati è vederli all’opera nell’impresa, magari sotto il monitoraggio di tutor scolastici a ciò preposti. I professori tutor dovrebbero essere assunti fra i 140 mila da stabilizzare.
Gli strumenti considerati per la partecipazione dei privati sono quattro e provengono dalla tradizione anglosassone. Lo school bonus, un incentivo fiscale, serve per consentire ai privati di finanziare in prevalenza l’edilizia scolastica e l’innovazione dei laboratori. Uno strumento simile ed aggiuntivo è lo school guarantee, una maggiorazione dell’incentivo fiscale concessa come premio per i percorsi formativi di successo, che sono tali se portano il giovane ad un posto di lavoro stabile. Il crowdfunding è invece la possibilità anche per il singolo cittadino di partecipare con piccole donazioni al miglioramento delle scuole, in particolare quelle nelle aree più difficili. Infine, le obbligazioni di impatto sociale (Social Impact Bonds) dovrebbero consentire a soggetti esterni di contribuire alle attività di recupero scolastico dei giovani soprattutto nelle aree più a rischio. Il governo promette di rendere molto semplice l’utilizzo di questi strumenti sia alle scuole che agli stakeholders.
Insomma, le idee non mancano. Bisogna però farle circolare per realizzarle bene. La realizzazione non si fermerà al testo di legge, ma richiederà un processo collettivo di assimilazione da parte di tutti gli operatori della scuola. Un aiuto dell’Unione Europea e una partecipazione anche di soggetti privati potrebbero essere davvero importanti per realizzare la riforma.