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Dialogo sull’educazione civica in tempi di coronavirus

Dialogo sull’educazione civica in tempi di coronavirus

di Luciano Corradini

 [l’articolo che segue risponde alla chiamata al DIBATTITO EDUCAZIONE CIVICA ORA. Per vedere l’articolo di avvio del dibattito clicca QUI]

In questi giorni in cui la nostra routine è stata trasformata in modo tanto profondo quanto inatteso dall’entrata in scena del coronavirus, In molti ci siamo domandati: “Ci salveremo?”.

Prima di schierarmi fra gli ottimisti e i pessimisti io mi sono chiesto, però, qual è il soggetto di questo verbo “ci salveremo”. E da quali sventure, da quali ingiustizie, da quali sofferenze non necessarie ci salveremo, mentre ospedali e cimiteri non reggono il ritmo dei contagiati e dei defunti. Noi chi? Noi italiani, noi europei, noi occidentali, noi bianchi, noi cristiani, noi esseri umani, noi esseri viventi sul Pianeta? Si potrebbe continuare, selezionando coloro che ci interessano più da vicino. Certo non potremo salvarci da “sora nostra morte corporale, da la quale nullu homo vivente pò scappare”, per dirla col Cantico di San Francesco.

Il pronome noi è il plurale di io, ed è la parola più esclusiva (in quanto la usiamo per distinguerci e a volte per contrapporci agli “altri”), ma anche la più inclusiva (degli stessi “altri”, che in fondo, in quanto esseri umani, sono come noi). E’ un pronome personale, maschile e femminile, che si estende da me a tutti/e coloro che io prendo in considerazione col pensiero, con l’affettività, in relazione all’orizzonte che scelgo parlando e scrivendo.

Ci salveremo (senza punto interrogativo) è anche il titolo di un libro di De Bortoli1. Nelle pagine iniziali del testo troviamo questa dedica: “Ai tanti che ogni giorno fanno qualcosa per gli altri. Il loro esempio è il nostro futuro”2. La prima cerchia del noi è qui identificata non da un numero, ma da un indeterminato tanti, tutti coloro che ci indicano la strada per rendere possibile un futuro comune. Il “nostro” futuro dipende dalla capacità di trarre ispirazione da coloro che sanno fare qualcosa per gli altri.

Questa seconda cerchia del noi si estende tanto quanto si estendono la nostra cultura, la nostra sensibilità, la nostra responsabilità e la nostra capacità d’iniziativa e di servizio, sull’esempio di coloro che già “fanno”. Fare per gli altri è una condizione per salvare anche noi stessi, dato che siamo in qualche modo interdipendenti, legati a un comune destino. Gli altri sono qui intesi non come estranei da cui difenderci o di cui servirci, ma come soggetti per i quali impegnarci, cercando di convincerli a nostra volta, col nostro esempio, a partecipare alla comune salvezza, laicamente intesa come bene comune. Anche qui aggiungo la domanda: “comune a chi”? Si tratta dei pochi o molti cui possiamo dedicare la nostra generosa intenzione e la nostra più o meno efficace azione: si va dall’hic et nunc all’ubique et semper.

Al perentorio titolo Ci salveremo, De Bortoli aggiunge realisticamente, nel risvolto di copertina, un punto interrogativo, che fa del futuro un condizionale, cioè una possibilità che dipende in gran parte da noi, cittadini italiani, titolari di diritti e doveri costituzionali.2 Lo chiarisce il sottotitolo, Appunti per una riscossa civica. Dedica il capitolo 8 (pp.99-109), intitolato “basta poco per essere cittadini migliori”, all’educazione civica, ritenendo che, anche attraverso la scuola, si debba “ri-scuotere” chi non si sente abbastanza scosso e chiamato in causadagli eventi drammatici e inquietanti del passato e del presente, e dagli esempi e dalle opportunità di cui disponiamo.

A questo proposito De Bortoli ha utilizzato in diverse pagine le ragioni e le esperienze presentate in un mio recente libro3. Ne riporto qualche passaggio, con gratitudine. «Gli autori – scrive – si propongono di “affrontare la desertificazione fisica, intellettuale e morale in corso”. E citano uno scritto assai significativo di Gesualdo Nosengo, La persona umana e l’educazione (La Scuola, 2006), secondo il quale “le civiltà, come l’amore sono interiori all’uomo. Se una generazione scomparisse, trascurando di suscitare questa ricchezza interiore nella generazione successiva, questa, pur trovandosi a vivere con istituzioni politiche ottime, consuetudini morali buone, monumenti delle arti, delle lettere e della religione, ritrovati del progresso scientifico, non ne comprenderebbe il valore”. Trovo le parole di questo grande umanista cattolico di estrema attualità. Andrebbero lette e rilette.» (p.103)

«All’inizio – continua la citazione del nostro libro – Educazione civica venne accorpata a Storia. La materia si chiamava Storia e Educazione civica. Due ore mensili, diciotto all’anno, voto unico. E finì, di conseguenza, per diventare marginale, occasionale. Tanto da assumere (…) quasi il carattere di appendice facoltativa, ininfluente sul profitto degli studenti. La ricerca di un “adeguato posto all’insegnamento dell’Educazione civica, come invocarono i padri costituenti, si rivelò dunque vana. Non aveva alcun prestigio”.»

La ricostruzione continua, col riferimento alle conquiste e agli arretramenti, fino lavoro del Consiglio Nazionale della PI e delle Commissioni Lombardi degli anni‘90, alle omissioni della sinistra e in particolare del Governo Renzi, che non nomina mai la Costituzione nella riforma della “buona scuola”. Si sofferma sulla riforma Gelmini, che pure ha avuto il merito di mettere in una legge la materia Cittadinanza e Costituzione, lasciando però all’autonomia scolastica il compito di decidere come attuarla. «Gli esempi significativi e lodevoli – nota De Bortoli – sono stati comunque numerosi. Segno di una sensibilità comunque diffusa, testimonianza dell’esistenza di un terreno fertile, ricco di attese che non dovrebbero andare deluse.»

Luci e ombre della scuola, come si vedevano fino allo scorso ann,o sono state però violentemente rimesse in discussione da quello “sciame virale”, per citare la virologa Ilaria Capua, che dal febbraio scorso “attraversa la popolazione della Terra”, dalla Cina all’Italia, dall’Europa al mondo e che potrebbe essere il “Cigno nero che scuoterà violentemente il sistema”, dato l’impatto sanitario, culturale, sociale, psicologico, economico e politico che sta avendo sulla nostra vita. Per certi aspetti siamo tornati agli anni delle due guerre mondiali, quando la vita civile fu sconvolta perché tutta condizionata dagli eventi bellici e, tra il 18 e 19, anche dalla pandemia detta “Spagnola”.

 Quest’anno il lockdown ha indotto le scuole ad affidarsi, come altri luoghi di lavoro, allo smart working, con l’utilizzo di apparecchiature informatiche, dai telefonini ai computer. Sulla base di esperienze e di concezioni diverse della stagione drammatica che ci ha colpito e che sta cambiando la vita a milioni di persone, c’è chi sottolinea le opportunità che si aprono e chi lamenta la fine della scuola tradizionale; chi rimane senza lavoro e senza reddito e chi inventa nuove opportunità di vita e di lavoro, chi muore nella disperazione e chi dilata il “noi” dedicandosi ad aiutare gli altri, ovunque possibile. Per qualcuno l’educazione civica è un lusso che non possiamo permetterci, per altri è il punto di partenza di una scola capace di ricuperare le sue potenzialità partecipative e comunitarie, oltre alla spesso invocata ma poco praticata nuova didattica.

Dopo un intenso ma non sempre coerente lavorio in sede legislativa e ministeriale, che ha utilizzato diversi termini, per impegnare la scuola in quest’area complessa di principi, di comportamenti e di documenti di valore etico, giuridico e politico, da ultimo il Parlamento ha approvato, con legge 20 agosto 2019 n. 92, una norma di 13 articoli che riprende il titolo del Decreto Moro, intitolandola Introduzione dell’insegnamento scolastico dell’educazione civica. Molte cose sono cambiate negli oltre 70 anni di Repubblica, ma il bisogno e la domanda di conoscenza e di formazione su quest’area fondativa, anche se difficile da delimitare e da condividere, si sono fatti ancora più urgenti. La scuola non è in merito onnipotente ma neppure impotente; ed è di fatto insostituibile, come gli ospedali in tempo di pandemie.

 La spina dorsale dell’intero curricolo scolastico, per affrontare il futuro con la miglior attrezzatura possibile, si trova di fatto non solo nella Costituzione italiana, ma anche nella Dichiarazione universale dei diritti umani e nell’Agenda 2030 dell’ONU.

Il primo dei 30 articoli della Dichiarazione universale dei diritti umani afferma: “Tutti gli esseri umani nascono liberi ed eguali in dignità e diritti. Essi sono dotati di ragione e di coscienza e devono agire gli uni verso gli altri in spirito di fraternità”. A guardare le cronache, si direbbe che questa concezione sia ottimistica o ingenua. E’ vero che tale concezione non rappresenta l’umanità così come questa di fatto nel complesso sembra comportarsi. L’umanità non è però solo ciò che ha fatto e sta ancora facendo, mostrando talora il peggio di cui è capace, nei diversi luoghi, modi, tempi della storia da noi conosciuta. L’umanità è anche ciò che, almeno in alcune sue componenti rilevanti, sul piano religioso, filosofico, scientifico, tecnologico, estetico, giuridico, politico ha pensato e pensa di sé; è anche portatrice degli ideali che molti trovano nella loro coscienza, studiando, lavorando onestamente, impegnandosi come cittadini attivi e credibili anche a livello mondiale. E’ anche capace di realizzazioni “eroiche”, in ambiti insospettabili della vita sociale.

Da questo punto di vista un riferimento oggi decisivo è l’Agenda 2030 adottata dalle Nazioni Unite. Essa supera l’idea che la sostenibilità sia unicamente una questione ambientale e afferma una visione integrata delle diverse dimensioni dello sviluppo, ma non sarebbe nulla se non venisse animata da cittadini attivi, capaci di chiamare alle loro responsabilità tutte le componenti della società, dalle imprese al settore pubblico, dalle università e centri di ricerca agli operatori dell’informazione, della cultura e della scuola.

Coloro che si attivano – che dispongono delle competenze per attivarsi e attivare gli altri per lo sviluppo sostenibile, in effetti sono, come diceva De Bortoli, “i tanti che ogni giorno fanno qualcosa per gli altri. Il loro esempio è il nostro futuro”. Tutti coloro che ci indicano la strada per rendere possibile un futuro comune. Formare questi tanti affinché siano ancora di più è il compito dell’educazione civica.

Note:

Scuola democratica
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