I destini dell’Invalsi
di Fiorella Farinelli (esperta di scuola e formazione)
La composizione della commissione per la scelta del nuovo presidente dell’Invalsi ha riacceso la discussione sul destino dell’Istituto e, più in generale, sulla valutazione scolastica. Inevitabile,considerato che a farne parte sono stati chiamati quasi esclusivamente dei “detrattori” più o meno severi delle attività promosse dal nostro Istituto per la valutazione. Scelta curiosa, a parere di molti anche inquietante, che ha suscitato due campagne di raccolta-firme e una quantità di prese di posizione sulla stampa e sui siti dedicati ai temi dell’educazione. Tanto più che essa era stata preceduta ( forse anche determinata ? ) dal pressante invito da parte di nomi importanti del mondo accademico a restituire centralità a un’impostazione di tipo “pedagogico” ( contro, dunque, l’apporto di altri approcci scientifici, per esempio quelli di tipo statistico ? ). La somma dei due fatti ha fatto bingo, alimentando sospetti su un possibile orientamento di viale Trastevere a introdurre forti elementi di discontinuità nell’indirizzo e nella gestione di Invalsi. Se si sia trattato di sospetti ingiustificati, si vedrà tra breve (http://www.invalsi.it/amm_trasp/documenti/attigenerali/DM_presidente_05022014.pdf ) . E’ comunque interessante che,per la prima volta nella controversa discussione sulla valutazione scolastica, accanto alla schiera dei contrari , sempre enfatizzata da una parte della stampa, siano emersi non solo i pareri favorevoli di un grappolo di esperti ma anche quelli di un ampio settore di insegnanti e dirigenti scolastici interessati allo sviluppo delle attività di valutazione scolastica. Che non significa, come è ovvio, che qui non ci siano rilievi critici rispetto a quello che l’Istituto ha fatto finora e a come lo ha fatto, ma piuttosto la convinzione che la valutazione scolastica ( utilizzo dei test compreso ) debba andare avanti. La cultura della valutazione, insomma, sembra aver fatto qualche progresso, e proprio all’interno del corpo professionale della scuola. Nella stessa direzione, del resto, va anche un altro dato di fatto, cioè che sono state diverse migliaia coloro che la scorsa estate, rispondendo a un bando Invalsi, si sono candidati a svolgere attività all’interno del progetto Vales ( e che molti di questi abbiano presentato corposi elenchi di titoli derivanti dall’aver partecipato con diversi ruoli ad iniziative e progetti di valutazione ed autovalutazione di istituto ).
E’ tuttavia preoccupante, come è stato già osservato in questi giorni sul Sole24ore, che anche in questo positivo riaccendersi della discussione sul tema, siano ancora numerosi coloro che sembrano ignorare i contenuti del Regolamento sul sistema nazionale di valutazione (http://hubmiur.pubblica.istruzione.it/web/ministero/focus080313 http://www.invalsi.it/amm_trasp/documenti/attigenerali/DPR_80_2013_Regolamento_SNV.pdf ) che è stato recentemente approvato.
Un vero peccato, soprattutto considerando che la maggior parte delle contrarietà alla valutazione scolastica si fondano su una presunta identificazione tra valutazione scolastica e utilizzo delle prove oggettive di verifica degli apprendimenti ( i test ), sulla convinzione (tutt’altro che immotivata ) che i risultati dell’azione didattica ed educativa non si esauriscono nei risultati di apprendimento, nonché sul timore che i risultati delle prove diventino prima o poi lo strumento per assegnare premi o sanzioni ai singoli docenti. Il Regolamento, infatti, anche sulla scorta delle esperienze condotte da tempo in altri paesi, introduce un sistema di valutazione che, pur attribuendo un ruolo importante alle prove oggettive ( che consentono agli insegnanti e alle scuole di comparare i risultati dei propri studenti con quelli di altri istituti, di misurarne i progressi, e quindi di attivare le azioni utili a superare le criticità ), non incentra tutta la valutazione sui test di apprendimento ma anche su altri numerosi elementi quantitativi e qualitativi che dovrebbero venire considerati e analizzati attraverso processi di autovalutazione di istituto (e, in alcuni casi, di valutazione esterna mirata ad assicurarne il rigore scientifico ). Non solo. Il nuovo Regolamento chiarisce senza ombra di dubbio che la valutazione non è finalizzata a introdurre percorsi di carriera o dispositivi premiali di nessun genere per gli insegnanti ( l’esperienza di altri paesi mostra, indiscutibilmente, che da una logica di questo tipo derivano più svantaggi che vantaggi ), ma a favorire il miglioramento continuo della scuola.
Non siamo più’, dunque, e da tempo, a quell’anno zero cui sembrano inchiodate alcune argomentazioni dei contrari e, purtroppo,anche dei favorevoli. A questo approdo equilibrato e convincente non si è del resto arrivati per caso, ma in base a studi ( e pratiche ) che hanno costruito, prima di tutto in sede Invalsi, un orientamento sensato e promettente. Il problema, però, è che anche da viale Trastevere non vengono, in questa fase, opzioni certe su una prossima attuazione del Regolamento, né sugli strumenti e sui diversi tipi di risorse che devono essere attivati per renderne fattibile l’attuazione. Ma ciò non toglie che la discussione, sempre importante, dovrebbe ormai riferirsi saldamente a ciò che è stato già deciso. Se non altro per evitare fraintendimenti.