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Il costo della fuga di talenti

Il costo della fuga di talenti

di Marco Manariti (Responsabile Forma Mentis Innovazione e Sviluppo)

Il 20 maggio è entrata in vigore la legge 78/2014, che converte il cosiddetto “Decreto lavoro”, uno dei primi interventi di riforma messi in atto dall’esecutivo guidato da Matteo Renzi, che incide su alcune aree ritenute di particolare importanza per rilanciare il sistema lavoro in Italia: contratti a tempo determinato, apprendistato, elenchi dei lavoratori, regolarità contributiva e contratti di solidarietà.

D’altra parte, qualche giorno fa la Commissione europea ha pubblicato le Previsioni di primavera per il 2014: tutti gli indicatori lasciano intravedere una generale crescita economica dell’UE e dell’eurozona, crescita che dovrebbe riguardare anche l’Italia.

Nonostante gli ultimi dati Istat, che per il primo trimestre 2014 segnano un -0,5% del prodotto interno lordo rispetto allo stesso periodo del 2013, da Bruxelles si prevede che il PIL dovrebbe tornare a crescere, con una stima del +0,6% nel 2014 e del +1,2% nel 2015; a un rallentamento della crescita dell’inflazione, ancora in calo nel 2014, si aggiunge la previsione di un lieve aumento della disoccupazione al 12,8%, a cui dovrebbe seguire un calo al 12,5% nel 2015.

fuga-cerv-5940121Quello del lavoro, o meglio della mancanza di lavoro, è uno dei temi che ha maggiormente risentito dei pesanti effetti provocati dalla recessione economica globale; in Italia in particolare si è assistito a un aumento del tasso di disoccupazione di quasi due punti percentuali nel solo periodo che va dal 2012 al 2013, nonostante alcune modifiche normative nate con l’obiettivo di creare occupazione.

L’effetto della difficoltà a trovare opportunità lavorative si traduce nella sempre più massiccia “fuga” di talenti dai confini nazionali. Il Report dell’Istat “Migrazioni internazionali e interne della popolazione residente”, relativo al 2012, attesta come solo in quell’anno vi siano state 68 mila emigrazioni di cittadini italiani all’estero, con un +36% rispetto all’anno precedente. Circa un quarto di questi soggetti è in possesso di laurea e decide di trasferirsi nei paesi dell’Europa occidentale, primo su tutti la Germania.

La disoccupazione ancora crescente, dunque, si accompagna a un incremento del numero di laureati e neoprofessionisti che decidono di lasciare l’Italia.

Siamo tutti d’accordo sul fatto che perdere i talenti, per l’Italia, non è certo un bene; tuttavia, abbiamo mai provato a immaginare “quanto costi” all’Italia il fenomeno dell’emigrazione, che nel 2012 ha toccato le cifre più alte da 10 anni a questa parte?

Una ricostruzione dell’agenzia per il lavoro Page Personnel ha provato a dare una dimensione economica a ogni singolo talento che, dopo essersi formato in Italia, lasci il Belpaese per le difficoltà nel trovare occupazione: 40mila euro per persona. La cifra, pur se indicativa, tiene conto del “mancato guadagno” in termini di professionalità, competenza, innovazione e potenzialità che deriverebbe al Sistema Italia per effetto della perdita del materiale umano, strumento di sviluppo.

Il dato, se si immagina il numero totale di soggetti laureati che hanno lasciato l’Italia per cercare opportunità all’estero (oltre 400 mila, secondo un’analisi Coldiretti elaborata su studi OCSE), si traduce in un valore che supera i 16 miliardi di euro.

Le ragioni per cui un laureato talentuoso, pur con una breve esperienza professionale in Italia, decida di cercare opportunità professionali maggiormente gratificanti all’estero sono molteplici; l’incertezza del quadro giuslavoristico, in tal senso, non sembra offrire le basi per un ammodernamento del sistema che possa tradursi in una reale spinta all’incremento dell’occupazione, che a sua volta potrebbe fornire un incentivo ai talenti a restare; un altro fattore è sicuramente rinvenibile nell’ambizione ad arricchire il proprio curriculum, a trovare opportunità migliori e fare nuove esperienze come evidenziato da un’indagine condotta dal Global Governance Programme dell’European University Institute di Fiesole.

Un segnale di ottimismo potrebbe provenire dalle previsioni della Commissione Europea, di cui sopra. Queste stesse previsioni, per tradursi in risultati concreti, anziché rallentare l’attività delle istituzioni nazionali deputate, dovrebbero invece incentivare ulteriormente l’adozione di politiche proattive che, allontanando il tema della discussione dalla mera questione del “costo del lavoro”, si traducano in una serie di misure che determinino la creazione del “valore del lavoro”.

Scuola democratica
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