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La Buona Scuola e … la carica dei 150.000

La Buona Scuola e … la carica dei 150.000

di Paolo Ferratini (esperto di sistemi scolastici)

contributo in risposta all’articolo “Per avere una buona scuola ci vuole una buona discussione”

Gli interventi che si sono susseguiti nel dibattito aperto da Learning4 hanno affrontato ormai tutti gli aspetti salienti della “buona scuola”, evidenziando le palmari omissioni (educazione degli adulti, integrazione degli alunni stranieri, istruzione e formazione professionale) e le debolezze d’impianto (la governance dell’autonomia, la “soluzione” del precariato, la valutazione dei docenti) del documento del governo. Vorrei qui proporre alla riflessione comune qualche chiosa ulteriore sulla questione che, mi pare, costituisce l’asse portante della proposta – il suo punto di forza, per novità e impatto, e di conseguenza più gravido di rischi. Intendo la “carica dei 150.000”, con il suo carico di esiti previsti (o meglio: dedotti) in termini di realizzazione della scuola dell’autonomia. Più gravido di rischi per due motivi: primo, si interviene con decisione nel corpo vivo del “fare scuola”, modificando gli assetti organizzativi e alterando l’identità del corpo professionale nelle sue forme di relazione interna e di autorappresentazione; secondo, l’operazione implica un impegno finanziario a medio termine di tale entità che, sempre ammesso sia sostenibile in sé, cancella dall’orizzonte qualunque altra possibilità di investimento.

Va detto naturalmente che, proprio per le stesse ragioni, la scelta radicale di orientare l’innovazione in modo così deciso è a suo modo un pregio del documento. E’ in particolare su questo che siamo chiamati a dialogare con il governo, sempre che l’appello a “riscrivere insieme” la “buona scuola” non si riveli un’operazione di facciata. Ciò che manca andrà aggiunto, i dettagli si possono aggiustare: ma il cuore della proposta invita a prendere una posizione meditata e argomentata con forza e libertà di pensiero.

E’ una mossa plausibile centrare la cura del sistema sulla realizzazione dell’autonomia scolastica, a partire dalle risorse umane aggiuntive necessarie, risolvendo da un lato il problema del precariato e dall’altro le storture organizzative delle supplenze. Purtroppo le soluzioni prospettate per dare corso a questi plausibili e auspicabili scenari, non sono né auspicabili né plausibili. Vediamo perché. E soprattutto vediamo se, fatta salva la direzione di marcia, si possono immaginare traiettorie operative meno velleitarie e più efficaci.

Sull’intero tema, per la pars destruens basterebbe rinviare al contributo di Farinelli (qui, Stabilizzazioni e dintorni, vedi articolo ), che condivido ad verbum. Aggiungo solo alcune considerazioni a sostegno. Già Farinelli nota di passata che l’aumento numerico di docenti sembra non fare i conti con le proiezioni demografiche. Direi di più, che fa a pugni. Giova infatti ricordare che, al netto del saldo migratorio, i residenti in Italia nella fascia 0-14 caleranno entro il 2025 del 10%, pari a circa 500.000 unità. Ora, poiché il contingente più elevato di nuove immissioni (80.000) è previsto proprio sulla scuola primaria, c’è da chiedersi quale ratio possa essere invocata per un simile provvedimento, che non sia quella della mera collocazione di personale nel pubblico impiego.

E’ del resto molto dubbio che l’ingresso in massa di nuovi docenti, di fatto per sanatoria, produca effetti virtuosi sulla qualità dell’insegnamento. É anzi presumibilmente vero il contrario.

a) l’aumento del numero di addetti comporterà la diminuzione del credito sociale (già scarso) della categoria allontanando ogni prospettiva realistica di miglioramento retributivo (si dovrebbe andare nella direzione opposta: meno addetti, più orario, più salario). Alla lunga, questo condurrà a compimento un processo già in atto da tempo: la sempre minore attrattività dell’insegnamento, da cui conseguono meccanismi di progressiva selezione al ribasso (la scuola come scelta residuale, per chi non sa far di meglio);

b) i patti impliciti proposti nel documento (nuove assunzioni in cambio di autonomia e valutazione) non stanno in piedi, sia perché la platea a cui ci si rivolge è quella di chi è già dentro e che, avendo solo da perdere dalle nuove assunzioni, non ha nessun patto da fare; sia perché l’autonomia la realizzi in virtù di un progetto sulla base del quale commisuri le risorse che ti servono, non il contrario. L’inversione dell’ordine dei fattori (prima il personale, dopo il progetto) produrrà solo pletora di personale e nessun progetto realmente innovativo e incisivo;

c) come è noto, una delle debolezze macro del sistema di istruzione italiano non è tanto l’entità della spesa in rapporto al PIL, ma la sua composizione interna, totalmente sbilanciata a favore della parte corrente (stipendi), rispetto al conto capitale (investimenti), con costi unitari molto alti nella scuola, molto bassi nell’istruzione postdiploma, universitaria e non, risibili per l’educazione permanente. L’infornata ope legis del precariato storico nella scuola non farà che peggiorare questi squilibri che, tradotti in politiche concrete, significheranno sempre meno soldi per infrastrutture, formazione del personale, università e ricerca, formazione tecnica superiore, lifelong learning. Nei paesi anglosassoni, quando si parla di spending review non si parla di tagli, ma della migliore allocazione possibile della spesa per dare servizi migliori. Non siamo su questa linea.

Ma c’è un’altra questione che mi pare non sia stata messa opportunamente in chiaro. L’operazione dei 150.000 cancella d’un sol colpo dall’orizzonte del possibile l’ipotesi – su cui pure si era avviato più di un ragionamento anche nella maggioranza – di riduzione di un anno della scolarità e del diploma a 18 anni. Il tema è assente dalla “buona scuola” non per “non mettere troppa carne al fuoco”, come si sente dire, ma perché è palesemente incompatibile con l’aumento imponente di personale a cui si vuole dar seguito. Non è questo il luogo per argomentare l’opportunità e forse anche la necessità dell’uscita anticipata dei giovani dalla scuola: va detto però che, una volta messo in atto il progetto del governo, questa opzione sparisce dal quadro, esce di scena.

Il quadro tracciato sembrerebbe condurre ad un giudizio liquidatorio. Eppure il disegno di stabilizzazione del personale risponde ad una esigenza reale, proponendo una soluzione definitiva al problema del precariato e ripristinando la regolarità dei concorsi. Per la prima volta, se non altro, si tenta di impostare una politica del personale di lungo respiro. Non è un merito da poco. Solo che il lungo respiro richiede anche tempi distesi di attuazione. Qui è il baco, il punto morto, “l’anello che non tiene”: l’idea d’impeto che da una mossa forte discendano una serie di conseguenze virtuose – che l’autonomia progettuale sbocci d’incanto perché “adesso c’è l’organico funzionale”, che i dirigenti scolastici si trasformino in learning leaders, che la valutazione inneschi processi virtuosi di emulazione e premi davvero i migliori, ecc.. Non funziona così. Proviamo ad immaginare i lineamenti di una controproposta capace di cogliere il meglio dell’intenzione progettuale della “buona scuola” con un di più di realismo, fondato sul criterio machiavelliano del “guardar discosto” – che poi vuol dire guidare i processi nel tempo, saperli modificare e orientarli ad un obiettivo che non è dietro l’angolo, ma non per questo merita di essere perseguito con minore determinazione.

In sintesi, e in modo schematico, potremmo immaginare una sequenza temporale di operazioni così concepita.

– Primavera 2015: pulitura della Gae. I conti sui probabili candidati reali all’assunzione sono quelli indicati nel documento ministeriale: 43.000 non hanno fatto un’ora di supplenza negli ultimi tre anni. Ora sappiamo che di questi, circa la metà insegna nelle scuole paritarie. Possiamo calcolare circa un contingente di 120.000 docenti, che risponderà alla chiamata d’interesse, da estendere temporalmente per il triennio 2015/16-2017/18

– Settembre 2015: assunzione di 50.000 precari a copertura delle supplenze annuali e al loro meccanismo perverso: è una misura ragionevole, anticiclica, funzionale, parzialmente autofinanziata e soprattutto sufficiente ad evitare la procedura d’infrazione comunitaria. Contestualmente, assunzione di 1/3 dei precari rimanenti (70.000), dopo la ripulitura della graduatoria, da assorbire con il turnover (13.000) e per organico funzionale (10.000)

– Settembre 2016 e 2017: assunzione dei restanti 2/3, con le stesse modalità.

– 2017: concorso per 30.000 posti per il triennio 2018-2020

– Triennio 2015/16-2017/18: grazie al progressivo costituirsi dell’organico funzionale su base territoriale e di rete, ogni scuola avvia il proprio progetto di autonomia, dopo aver definito di che cosa ha effettivamente bisogno per fare cosa e avvalendosi di conseguenza delle nuove risorse a disposizione.

– A.S. 2015/16: il governo procede ad una ridefinizione del curricolo scolastico, finalizzata a ridisegnare il percorso, portando da cinque a quattro anni la secondaria superiore.

– Settembre 2016: parte il nuovo curricolo della secondaria. Indipendentemente dal fatto che il taglio operi sul primo biennio o sull’ultimo anno, il risparmio di spesa (ca. 1380 mil/anno) arriverebbe tutto in una volta, ma soltanto il quinto anno dopo l’entrata in vigore. Cominciando nel 2016, solo nel 2020 si potrebbe cominciare a ridurre il turnover.

In questo modo si realizzerebbero ugualmente tutti gli obiettivi della “buona scuola” in termini di stabilizzazione e superamento del precariato e si avrebbe il tempo di condurre a buon fine l’impresa del rinnovamento connessa all’esercizio vero dell’autonomia, con i suoi addentellati decisivi della valutazione, della diversificazione della funzione docente all’interno di un nuovo stato giuridico, di un nuovo profilo della dirigenza, di una ridefinizione del curricolo. Questa soluzione, inoltre, sarebbe compatibile con la maturità a diciott’anni, consentendo nel tempo un riequilibrio della spesa di parte corrente (rispetto ai 4 mld a regime si risparmierebbe circa 1 mld e mezzo) e lo svincolo di fondi per sostenere le parti dell’intero sistema educativo in maggiore difficoltà, dalla formazione professionale all’educazione degli adulti.

Ma è una ipotesi operativa che richiede più tempo. Non molto, poi. Appena 1000 giorni.

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