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La Buona Scuola e la istruzione degli adulti

La Buona Scuola e la istruzione degli adulti

di Massimo Negarville (Presidente di Formazione ’80)

Contributo in risposta all’articolo “Per avere una buona scuola ci vuole una buona discussione”

Le proposte di cambiamento avanzate con il documento “La Buona Scuola” vanno presa sul serio, anche se è enorme la distanza tra come mal funziona oggi il sistema scolastico del nostro paese e ciò che il governo disegna per il futuro. Cambiare radicalmente è una necessità e le proposte avanzate dalla Buona Scuola possono avviare mutamenti positivi.

Per il governo la Buona Scuola sembra essere in primo luogo un problema di politica del lavoro e parte da come stabilizzare 150.000 precari. Tra di essi non ci sono solo persone che hanno vinto concorsi e selezioni competitive, ma anche persone il cui unico merito è di aver atteso per anni nelle graduatorie a esaurimento senza alcuna valutazione della loro reale capacità di insegnare bene, mentre altri pur dotati di titoli sono esclusi perché assenti dalle graduatorie ad esaurimento. Queste assunzioni, con le modalità indicate, non sono ne l’unica soluzione possibile ne la migliore, tuttavia rappresentano la strada relativamente più semplice e soprattutto dovrebbero garantire un vasto consenso. Sono quindi accettabili a condizioni che siano davvero un’eccezione che permette di andare al merito dei problemi: qualità dei docenti, organizzazione del lavoro, ambiti di sapere da rafforzare o inserire ex/novo, apertura all’esterno con particolare, ma non unica attenzione al mondo del lavoro. Sono le misure che si riuscirà ad assumere su queste questioni a determinare il cambiamento e a costruire, come dice il documento:

“… un sistema che permetta ad ogni scuola di progettare ciò che insegna con una forte attenzione ai bisogni delle famiglie e del territorio, esercitando in maniera concreta la propria autonomia. Partendo da un “cuore” di discipline di base snello e comune a tutti, e dando alle scuole la possibilità di modulare la propria offerta attraverso la scelta di diverse discipline opzionali (…)

Questo sistema dovrebbe valere per tutti gli allievi di tutte le scuole di ogni ordine e grado, anche se si tratterà di definire, nel concreto di ogni situazione territoriale e sulla base dell’età e dello specifico profilo socio/culturale degli allievi, le caratteristiche organizzative e didattiche da adottare per raggiungere risultati in termini di sapere, di saper fare e di saper essere. Il documento non si avventura però su questo terreno. Non affronta cioè la questione della specificità e diversità dei soggetti e dei loro bisogni formativi. Assume come centro della sua analisi e delle sue proposte la organizzazione del lavoro scolastico e la qualità dei docenti, fidando che introdurre corpose novità su questi due piani garantisca miglioramenti importanti e significativi per tutti gli allievi (dalla scuola dell’infanzia fino alla secondaria di secondo grado) indipendentemente dalla loro specifica condizione socio/culturale.

Questo approccio può anche funzionare in termini generali, ma suscita fondate perplessità l’assenza  di un qualsiasi riferimento nel documento alla presenza degli stranieri nelle scuole. Una lacuna grave perché in questo modo si ignorano due tratti importanti per fare “buona scuola”

1. È scandalosamente alto, fin dalle prime classi della primaria, il tasso di insuccesso degli studenti stranieri, anche di quelli nati in Italia, che si aggrava, anche dopo anni di scolarizzazione, nel passaggio ai gradi più alti dell’istruzione.

2. Sono numerose le iniziative rivolte agli studenti stranieri che si realizzano in molte scuole di ogni ordine e grado e che potrebbero funzionare da modello per un serio percorso di apprendimento interculturale.

Ma dove l’assenza di un preciso riferimento ai soggetti ed ai loro bisogni corre il serio rischio di produrre “cattiva scuola” riguarda l’istruzione degli adulti. In questo caso infatti organizzazione del lavoro scolastico e qualità dei docenti sono tratti importanti e decisivi solo se sono definiti a partire dai bisogni formativi della popolazione adulta e dalla specificità dell’apprendimento in età adulta.

La popolazione adulta: bassa scolarità e rischio alfabetico

Il documento giustamente sottolinea che:

“In Italia abbiamo 700 mila disoccupati tra i 15-24enni, e 4 milioni 355 mila ragazzi che non studiano, non lavorano, non sono in formazione (c.d. NEET. Il 25% di costoro possiede al massimo il titolo della secondaria inferiore), in grossa parte alimentati da una dispersione scolastica tra le più alte d’Europa (17,6%)”.

Le proposte che il documento avanza vogliono evitare in futuro che questa situazione rimanga e si perpetui: nobile e condivisa intenzione, ma la scuola italiana può fare qualcosa per coloro che sono oggi in questa situazione o questo problema non la riguarda?

Non si tratta solo di giovani disoccupati e di giovani fuori dal lavoro e dalla formazione. Si tratta di una situazione di “rischio alfabetico” che coinvolge una parte assai consistente della popolazione adulta del nostro paese. Una recente indagine OCSE (v. ISFOL, LE COMPETENZE PER VIVERE E LAVORARE OGGI – PRINCIPALI EVIDENZE DALL’INDAGINE PIACC, 2013) ha preso in esame le competenze alfabetiche funzionali di un campione rappresentativo di adulti tra i 16 e i 65 anni (literacy: lettura e comprensione di testi scritti, numeracy: applicazione di semplici concetti matematici). Il nostro paese è risultato all’ultimo posto per literacy e al penultimo per numeracy. In pratica, un terzo della popolazione italiana in età di lavoro non è in grado di capire o scrivere una breve frase e il 40% ha grossi problemi a capire un semplice articolo di giornale. Quasi un terzo della popolazione tra i 18 ed i 45 anni è al limite dell’analfabetismo, pur trattandosi in grande maggioranza di persone che hanno completato il primo ciclo di istruzione.

Dati e ricerche ci dicono dunque in modo del tutto evidente che la popolazione adulta del nostro paese è distinguibile in una parte con buone capacità alfabetiche e una, assai più consistente. che ne è priva o carente (v. a tal proposito il capitolo 1: Capitale Umano e Capitale Sociale in TREELLLE quaderno 9 “Il lifelong learning e l’educazione degli adulti in Italia e in Europa, dati confronti e proposte” Genova , dicembre 2010). La prima ha un buon livello culturale e la capacità di cogliere le occasioni di apprendimento esistenti. Alla domanda di costoro risponde già oggi una ricca offerta. La seconda è invece in estrema difficoltà a cogliere e discriminare tra le offerte disponibili. Per costoro la domanda va promossa e l’offerta va radicalmente riorganizzata.

Per una efficace istruzione degli adulti

Oggi la partecipazione degli adulti alle attività di istruzione è nel nostro paese assai poco rilevante:

  • Su oltre 4 milioni di adulti (20-64 anni) con la sola licenza elementare, frequentano corsi di istruzione 130.000 persone (prevalentemente straniere, in gran parte iscritte a corsi brevi di apprendimento della lingua italiana).
  • Su quasi 12 milioni di adulti) (20-64 anni) in possesso della sola licenza media, frequentano corsi serali 66.000 persone.

Le ragioni di una così bassa partecipazione stanno in due questioni del tutto ignorate dalle politiche pubbliche.

1. La domanda va promossa

Quando la professionalità è debole, la scolarità bassa, le relazioni sociali limitate, gli impegni familiari pressanti, il reddito appena sufficiente quando non inadeguato e il tempo una risorsa scarsa, allora istruirsi, formarsi, imparare è una possibilità vaga di cui si intravede forse l’importanza, ma che resta difficile da definire (Quale? Quando? Come? Dove?). Per far fronte a questa situazione si dovrebbe:

  • organizzare campagne pubbliche di informazione e di sensibilizzazione rivolte alla cittadinanza che la motivino a partecipare, individuando target specifici e prevedendo, per i gruppi più deboli, piani straordinari, con incentivi e facilitazioni in tempo e denaro;
  • disporre di strutture specificatamente dedicate con dirigenti, docenti e formatori preparati e motivati ad organizzare e a svolgere percorsi di educazione degli adulti;
  • individuare (nelle diverse situazioni locali ed in relazione al profilo ed alle richieste dei soggetti) tempi, luoghi e modi originali di insegnamento.

2. L’offerta va riorganizzata

Per una popolazione adulta che versa nella situazione di rischio alfabetico richiamata un offerta formativa basata su un impegno pluriennale per il recupero dei titoli di studio è limitata, parziale, del tutto insufficiente. Il cuore di una efficace proposta formativa non può essere questo.

  • Il sistema scolastico deve garantire per l’età adulta la possibilità di arricchire e rafforzare l’area delle competenze di base che dati sulla scolarizzazione e ricerche mirate mostrano di una tragica debolezza.
  • Il sistema scolastico deve, in collaborazione con i territori e con le agenzie del privato sociale, offrire percorsi incentrati non sulle discipline, ma sulle competenze chiave per l’apprendimento permanente e deve essere in grado di organizzarli attraverso occasioni formative modulari brevi e componibili, valide anche ai fini della acquisizione di un titolo di studio. Le competenze chiave sono quelle di cui tutti hanno bisogno per la realizzazione e lo sviluppo personali, la cittadinanza attiva, l’inclusione sociale e l’occupazione”. Gli otto ambiti di competenze chiave sono: 1. Comunicazione nella madrelingua; 2. Comunicazione nelle lingue straniere; 3. Competenza matematica e competenze di base in scienza e tecnologia;4. Competenza digitale;5. Imparare ad imparare;6. Competenze sociali e civiche;7. Spirito di iniziativa e imprenditorialità;8. Consapevolezza ed espressione culturale (v. Raccomandazione del Parlamento europeo e del Consiglio, dicembre 2006)

Per una seria istruzione degli adulti deve essere quindi considerato assolutamente prioritario il problema dei bisogni di alfabetizzazione funzionale , collegati alla necessità di nuovi saperi e nuovi linguaggi. Si pongono cioè problemi nuovi di ri o neo-alfabetizzazione. E non solo in relazione alle competenze professionali possedute: la stessa formazione continua dei lavoratori esige oggi l’acquisizione di competenze socio-relazionali, comunicative e più ampiamente culturali che appaiono importanti quanto se non più delle competenze di tipo tecnico/professionale. Non si tratta delle velleitarie opinioni personali di chi scrive, ma di osservazioni formulate dalla stessa Commissione di esperti nominata dal Miur e dal Ministero del Lavoro (coordinata dall’ex ministro dell’istruzione Tullio De Mauro) per esaminare i dati dell’indagine PIACC e individuare specifiche misure per migliorare i percorsi di istruzione e formazione per accrescere le competenze degli adulti. La commissione si sofferma in particolare sul “ruolo importante che può essere svolto dai Centri provinciali d’istruzione degli adulti (C.P.I.A.) attraverso l’offerta di percorsi formativi diversi dal conseguimento del titolo di studio caratterizzati da moduli brevi per l’acquisizione/miglioramento delle competenze alfabetiche e matematiche”.

Se queste osservazioni sulla domanda e sull’offerta diventano gli assi prioritari nella costituzione di nuove strutture dedicate all’istruzione degli adulti allora i Centri Provinciali di Istruzione Adulti in via di istituzione possono diventare un pezzo importante per la crescita culturale e professionale della popolazione del nostro paese (in particolare per quella oggi più in difficoltà), segnando una piena sintonia con quanto il documento del governo dichiara di voler perseguire: l’istruzione al centro dell’agenda di una politica per il rilancio non solo economico del nostro paese.

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Scuola democratica
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