Segnalazione: LA MIA DISLESSIA di Philip Schultz
Recensione di Paola Benadusi Marzocca (esperta di editoria per bambini e ragazzi)
Essere dislessici anzitutto è una bella avventura. Non tutti bambini hanno la capacità di comprendere immediatamente il senso di un termine. Le parole sono meravigliose se il vocabolo corrisponde al significato; non a caso i nomi non certo facili degli animali preistorici piacciono ai bambini perché sono lunghi e difficili. Ebbene per chi nasce dislessico tutto diventa più complicato,una specie di corsa a ostacoli. Lo racconta lo scrittore ebreo Philip Schultz nella sua breve e intensa biografia intitolata LA MIA DISLESSIA -Ricordi di un premio Pulitzer che non sapeva né leggere né scrivere (Donzelli, trad. Paola Splendore, pp.108, €17,50), dedicato al figlio Eli, dislessico come lui. La scoperta di essere dislessico per lo scrittore avviene tardi, a cinquantotto anni,come lui stesso scrive, proprio quando diagnosticano che il figlio maggiore, che frequenta la seconda elementare, è affetto da dislessia, ovvero soffre di un comune quanto diffuso disturbo di apprendimento, caratterizzato dalla difficoltà di lettura, disorientamento dinanzi ai numeri, ritardo nella elaborazione del significato delle informazioni. Tutto ciò non ha, tuttavia, niente a che vedere con il potenziale intellettivo. Basti pensare a personaggi come Leonardo da Vinci, Van Gogh, Picasso, Baudelaire; e ancora Napoleone, Churchill, Darwin, Einstein, Beethoven, Agatha Christie, Warhol, tanto per citarne alcuni, perché, in realtà, in passato della dislessia non si aveva neppure la percezione che esistesse, tantomeno si intuiva che cosa fosse. Scrive Philip Schultz che il problema è grosso e non sempre risolvibile se la scuola non aiuta. E’ indispensabile infatti per proseguire gli studi avere un insegnamento personalizzato, maggior tempo per fare i compiti in classe e la possibilità di usare tutti gli strumenti adeguati per rendere la matematica una materia di più facile accesso, tipo calcolatrice, computer e via dicendo. “Una cosa è chiara – precisa lo scrittore –: la mente di un dislessico è diversa da quella degli altri. Ho impiegato gran parte della mia vita per capire che non era la stupidità l’origine dei miei problemi di elaborazione del linguaggio.” E spiega che ancora oggi, ormai poeta e scrittore famoso, ogni tanto deve ricordarsi di rileggere di continuo le frasi e che spesso dimentica il significato delle parole. “Mentre leggo nella mia mente avviene una sorta di baratto tra l’insicurezza e il desiderio di conoscenza, in cui devo riuscire a vincere un senso di ansia e scoramento.” Per un bambino dislessico il mostro in agguato è proprio la depressione, sentirsi inadeguato e incapace di comunicare con la consapevolezza di capire e la balbuzie che fa da freno alle proprie parole. Scrivere quindi di dislessia significa anche parlare di ansia, di lotta contro l’ansia .”Capivo, scrive Schultz, di essere diverso dagli altri bambini…Il mondo in cui vivevo implicava la lotta per il controllo dei miei pensieri e azioni. La mia diversità era un po’ bizzarra. Il mio cervello non ubbidiva né a me né ai miei genitori né agli insegnanti.” Finisce così nella Classe dei Cretini, dove deve passare il tempo a guardare le figure e soprattutto non disturbare gli altri, i normali. Senza essere un vero diario, queste brevi squarci di memorie di Schultz colpiscono per la volontà di estendere le sue esperienze, spesso dolorose, agli altri, di coinvolgerli nella sua crescita di bambino e adolescente bistrattato e offeso dagli adulti e deriso da molti coetanei. In definitiva la logica dei dislessici sembra essere guidata dalla strategia dell’istinto alla sopravvivenza. Si avverte infatti nelle sue pagine il piacere di indicare un sentiero a chi ha attraversato le stesse difficoltà, di aprire una via di uscita che può anche, come nel suo caso, tradursi in una sorta di riscatto, nel raggiungimento del successo. In un certo senso, egli confessa, il cervello dei dislessici, quantomeno il suo, “è fatto per la solitudine. Esclude gli altri per la sua stessa diversità, per la sua patina di anormalità.”E proprio per questo ha delle affinità con la natura dell’artista, con la creatività. “Via via che procedono i dislessici, scrive Schultz, devono inventarsi le soluzioni partendo da zero.” Tutto questo si può tramutare in un vantaggio, in un percorso salvifico, quale quello di un poeta o di uno scienziato o di chiunque.