L’importanza di ri-conoscere il razzismo e di assumere una responsabilità pedagogica ed educativa interculturale in direzione antirazzista
di Stefania Lorenzini
[l’articolo che segue risponde alla chiamata al DIBATTITO EDUCAZIONE CIVICA ORA. Per vedere l’articolo di avvio del dibattito clicca QUI]Con questa riflessione si afferma l’importanza dello studio dei razzismi nella storia per la comprensione dei fenomeni razzisti oggi e dunque per l’impegno pedagogico ed educativo in senso interculturale e antirazzista. Gli aspetti da cui si ritiene cruciale partire emergono dall’individuazione di alcuni fenomeni del passato ai quali ci si può con fondamento riferire in termini di razzismo e dalla messa a fuoco delle logiche e delle finalità ad essi sottese. Tale disamina, di cui si raccomanda l’approfondimento (Lorenzini, 2019; Taguieff, 1999; Wiewiorka, 2000; Bethencourt, 2016) è importante ai fini della conoscenza storica, ma anche per dotarsi di strumenti utili a individuare i fenomeni razzisti o componenti razziste di fenomeni diversi della contemporaneità e dunque a orientarci a fondare un’azione antirazzista che possa avere efficacia oggi. Sull’importanza di affrontare queste tematiche, le parole di Luigi Luca Cavalli Sforza, scienziato recentemente scomparso, di autorevolezza internazionale per i suoi studi sulle migrazioni e sulla genetica delle popolazioni: «Credo che il razzismo sia la malattia sociale più rilevante, quella che rende maggiormente problematici i meccanismi di convivenza delle comunità umane» (Cavalli-Sforza e Padoan, 2013, 3). Un dato a cui qui si può solo accennare, riguarda proprio la presenza nella società nel suo complesso come anche, purtroppo, nei contesti educativi e scolastici, di pregiudizi e stereotipi negativi, di atteggiamenti intolleranti e talora di comportamenti aggressivi verso le differenze culturali e/o somatiche di chi è o è percepito come ‘straniero’. Diversi studi (e numerosi fatti di cronaca) ad esempio, portano alla luce come adulti e bambini di pelle scura siano spesso vittime di discriminazione nelle relazioni con adulti, ma anche tra bambini (Clark e Clark, 1950; Cardellini, 2018a e b; Frisina, 2018; Lorenzini, 2013; 2017; 2018; Vaccarelli, 2008). Per questo la prospettiva antirazzista dovrebbe interessare tutta la pedagogia. E nello specifico quella interculturale.
Le basi dell’antirazzismo
Se esiste il razzismo non altrettanto si può dire delle razze, intese come specie diverse e distinte tra gli umani. Cavalli Sforza ha mostrato l’inesistenza delle razze umane sul piano biologico e l’infondatezza del concetto di razza sul piano scientifico. Si può parlare di una razza soltanto, e cioè del genere umano. Le razze esistono solo in quanto costrutti simbolici, cioè nella misura in cui sono state inventate; esse non preesistono al razzismo, è il razzismo che le costruisce. Non si vuole affermare che le differenze tra gli umani non esistono: esistono sia sul piano culturale, sia somatico e visibile, sia genetico e non visibile e proprio grazie a tale multiforme diversità, Homo sapiens è riuscito ad adattarsi e a prosperare in ambienti molto differenti. Ma, come non esistono culture statiche, immutabili, impermeabili a scambi, meticciamenti e trasformazioni, così le differenze sul piano genetico sono diffuse all’interno delle popolazioni (Barbujani e Cheli, 2008). Le differenze sono minime tra diversi gruppi umani e non superiori a quelle che si possono rinvenire entro quello che è considerato uno stesso gruppo umano. Esemplificando: tra due bolognesi ‘purosangue’ (che può significare da generazioni) possono esserci differenze genetiche assai più marcate di quelle individuabili tra un bolognese e un ruandese (Burgio, 2012).
Occorre non estendere in modo indefinito il concetto di razzismo ma neppure limitarsi a una definizione troppo ristretta che impedisca di identificarne le forme attuali, o più ancora le singole componenti di tipo razzista di fenomeni diversi. Non ci si può riferire con ‘razzismo’ all’esistenza di un’entità omogenea, ben riconoscibile e che, proprio in virtù di una precisa definizione, si può tentare di estirpare. Per comprendere il razzismo oggi occorre pensare che esistono più razzismi e che le concezioni razziste si adattano a contesti diversi, si modificano rispetto ai propri bersagli, interessi, modi di azione e forme argomentative. Occorre effettuare diagnosi attente a identificarne le nuove forme argomentative e pratico-sociali non sempre evidenti a uno sguardo ingenuo o assuefatto. I nuovi razzisti possono non assomigliare a quelli del passato (Taguieff, 1999), tuttavia, nella fase attuale, sembrano aumentare manifestazioni riconducibili ad altre del passato (il gran numero di migranti morti nel Mediterraneo definito un nuovo olocausto). Taguieff negli anni Novanta metteva in guardia dall’aspettativa di poter individuare forme di razzismo allo stato puro, poiché invece il razzismo sempre più appare mascherato e/o quale ingrediente di altri fenomeni; sempre meno in forma di teorie esplicite o atti eclatanti accompagnati da rivendicazioni. Tuttavia, oggi, pur rimanendo presenti forme di mascheramento che occorre sottoporre ad analisi critica, proliferano anche manifestazioni evidenti, violente, improntate da ingiurie, impregnate di odio e potenzialmente condannabili. In questi casi dovrebbe essere meno difficile individuare e sanzionare i responsabili. Ciononostante, sembra essersi innalzato il livello di assuefazione o persino di legittimazione verso l’acuirsi dell’ostilità rivolta a certi soggetti e gruppi, come mostrato ad esempio dagli episodi di razzismo verso chi ha pelle scura, che sempre più giungono alle cronache (Lorenzini, 2018). Occorre, allora, persistere nei tentativi di ridefinire il fenomeno nei suoi molteplici aspetti, accettandone l’indeterminatezza di contenuto, seguendo le vie del suo ricontestualizzarsi, riconoscendo punti di contatto, intreccio, sovrapposizione tra fenomeni designati da termini diversi (razzismo, etnocentrismo, xenofobia, etnismo, etnonazionalismo, antisemitismo) nei quali è possibile ravvisare razzismo o componenti di tipo razzista. Ancora nella ricerca di risposte alla domanda cos’è il razzismo? Taguieff individua un filo conduttore (molto utile oggi) nella definizione di Colette Guillaumin (1972), sociologa, femminista francese recentemente scomparsa, che ritiene si possa considerare razzismo ogni atteggiamento di esclusione legato ad aspetti genealogici, di origine, di caratterizzazione morfologica e fenotipica, che assume il carattere di permanenza.
Queste precisazioni servono a capire come, oggi, una delle più diffuse reazioni contro la mobilità degli esseri umani e la loro mescolanza (fenomeno migratorio) e che si propone di «‘rimettere al loro posto’ gli individui usciti dalla loro categoria di gruppo» (Taguieff, 1999: 51) corrisponde a un atteggiamento che possiamo a buon diritto chiamare razzista, tanto più che a esso si intrecciano pratiche discriminatorie regolamentate da specifiche normative. Un nucleo dell’immaginario razzista sta proprio nell’ossessione per la mescolanza; nella paura della perdita dell’identità ma anche di privilegi che può spingersi sino a discriminare per legge. Nella realtà di un governo di destra, sovranista, vissuto dall’Italia per 18 mesi (sino all’agosto 2019), abbiamo assistito all’approvazione di leggi discriminatorie verso chi tenta migrazioni mettendo a rischio la propria vita e quella dei propri figli, alla criminalizzazione della solidarietà e del soccorso, in mare e in terra, a forme sempre più visibili di intolleranza e violenza che si palesano in un periodo storico e politico in cui, non solo in Italia, le destre estreme tentano di affermarsi con la forza dei sentimenti di odio e disprezzo, dell’aggressività e delle semplificazioni (‘aiutiamoli a casa loro’). Un processo questo di degrado della coscienza civile non nuovo e non nato dal nulla, o all’improvviso, un processo appunto, complesso e intrecciato a crisi economiche e malcontento sociale, che sta presentando però volti nuovi e di maggiore intensità (Lorenzini, 2018). E che non possiamo sperare si sia dissolto nel nulla con il cambio di governo.
Il razzismo non è un problema solo del pensiero, esso deve essere conosciuto e compreso ma deve, imperativamente, essere combattuto nell’azione: sarà l’efficacia delle strategie adottate a divenire criterio provvisorio di scelte che devono mirare a tutelare il diritto alla differenza e l’esigenza di equità; coniugando, su un piano speculativo, le esigenze dell’universalismo e dell’appartenenza a una comune umanità con quelle del differenzialismo e della tutela delle diverse identità. Sul piano pratico dobbiamo tenere presente che le difficoltà speculative devono essere messe tra parentesi (ibidem) a favore di un’assunzione di responsabilità e di interventi concreti che rinuncino alla ricerca di soluzioni semplici e definitive ma restino aderenti alle realtà concrete entro le quali si sviluppano.
Pedagogia ed educazione interculturale e impegno antirazzista
L’impegno antirazzista dovrebbe avere più livelli distinti e contestuali di espressione, dentro e fuori dal sistema politico e dallo Stato, entro poteri pubblici e nella società civile, coinvolgendo attivamente i soggetti che sono bersaglio di razzismo ma anche coloro che non ne sono direttamente coinvolti, producendo norme e politiche nutrite da spirito democratico e valori volti all’estensione dei diritti umani, rafforzando e perfezionando un sistema giudiziario dotato di strumenti sanzionatori che consentano di combattere il fenomeno fattivamente e non solo nei suoi aspetti macroscopici e distruttivi (Wieviorka, 2000). Ma per agire in profondità, con intenti preventivi e possibilmente con effetti a lungo termine occorre occuparsi (anche trasversalmente a ognuno dei livelli menzionati) della trasformazione della mentalità diffusa, della decostruzione di stereotipi e pregiudizi, della maturazione di capacità relazionali solidali e non violente pur se consapevoli della conflittualità possibile in ogni incontro/scontro tra differenti. E questo compete anche e soprattutto alla pedagogia e all’educazione, specie nel loro volto interculturale, entro la pluralità dei contesti scolastici ed educativi. Qui si afferma che pedagogia ed educazione interculturale possano avvalersi degli approcci della pedagogia antirazzista (Aluffi Pentini e Lorenz, a cura di, 1995) ma che anche debbano assumere una responsabilità specifica ed esplicita in direzione antirazzista. I criteri di riferimento e gli strumenti della pedagogia interculturale possono indicare modi e vie da perseguire nei contesti educativi concreti e con le persone reali con le quali ci si trova a operare con responsabilità educativa. Principi e forma mentis della pedagogia interculturale per loro stesse caratteristiche e finalità, hanno già in sé il potenziale di contrastare il pensiero rigido, stereotipato e razzista, potremmo dire proprio a partire dal favorire lo sviluppo di un pensiero aperto e flessibile, problematico e antidogmatico, e esso stesso migrante (Pinto Minerva, 2002), perché capace di decentrarsi, allontanandosi, se pur solo parzialmente, dai propri schemi cognitivi e valoriali. Un pensiero disponibile ad andare verso l’altro che si riconosce in riferimenti culturali diversificati, per scoprire le rispettive differenze insieme ai punti in comune e tale da sapersi avvalere dell’esperienza del confronto e dell’arricchimento trasformativo che può generare. Accogliere la differenza e il pluralismo, concretizzare tolleranza attiva, dialogo e ascolto nella reciprocità e nel rispetto delle differenti identità, quali criteri di riferimento principali della pedagogia interculturale (Bolognesi e Lorenzini, 2017) aprono la strada all’incontro tra differenze e soprattutto tra – persone – differenti.
Riferimenti bibliografici
Aluffi Pentini, A. e Lorenz, W. (a cura di) (1995), Per una pedagogia antirazzista. Teorie e strumenti in prospettiva europea, Bergamo, Edizioni Junior.
Barbujani, G. e Cheli, P. (2008), Sono razzista, ma sto cercando di smettere, Roma-Bari, Laterza.
Bethencourt, F. (2013), Racisms. From the Crusades to the Twentieth Century, Princeton, N. J., Princeton University Press; trad. it. Razzismi. Dalle crociate al XX secolo, Bologna, il Mulino, 2017.
Bolognesi, I. e Lorenzini, S. (2017), Pedagogia interculturale Pregiudizi, razzismi, impegno educativo, Bologna, Bononia University Press.
Burgio, A. e Gabrielli, G. (2012), Il razzismo, Roma, Ediesse.
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Cavalli-Sforza, L. L. e Padoan, D. (2013), Razzismo e noismo. Le declinazioni del noi e l’esclusione dell’altro, Torino, Einaudi.
Frisina, A. (2018), «L’altro/a razzializzato/a. Un percorso esplorativo tra i bambini della scuola primaria in Veneto», in Lorenzini, S. e Cardellini, M. (a cura di), pp. 130-156.
Clark, K.B. e Clark, M.P. (1950), «Emotional Factors in Racial Identification and Preference in Negro Children», The Journal of negro education, Vol. 19, n. 3, pp. 341-350, in https://pages.uoregon.edu/eherman/teaching/texts/Clark%20&%20Clark%20Emotional%20Factors%20in%20Racial%20Identification.pdf (consultato il 12/10/2019).
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Lorenzini, S. e Cardellini, M. (a cura di) (2018), Discriminazioni tra genere e colore. Un’analisi critica per l’impegno interculturale e antirazzista, Milano, FrancoAngeli.
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