Per progettare il futuro della scuola … guardiamo bene il presente!
di Stefano Casarino (insegnante di Lettere nei Licei, Presidente della Delegazione di CN dell’A.I.C.C.)
In risposta all’articolo Discutiamo lo sviluppo della Buona Scuola
Ogni ipotesi di cambiamento deve partire dalla constatazione della situazione presente, dalla ricognizione esatta dei punti di debolezza, ma anche dei punti di forza, di ciò che ci si accinge a modificare.
Personalmente, ritengo non si sia finora adeguatamente focalizzata l’analisi su alcuni aspetti problematici fondamentali:
- La sempre maggiore difficoltà del MIUR nel gestire qualunque procedura concorsuale: si veda quanto è successo con l’ultima “tornata” dei Concorsi a DS, col suo incredibile strascico di ricorsi, con l’attuale situazione in Toscana (e prima in Lombardia, Campania, ecc…): nel 2015 doveva partire il nuovo bando, inizialmente previsto entro il 31 dicembre 2014, poi prorogato al 31 marzo 2015 ed attualmente nulla si sa in merito. Anche i tempi di smaltimento non sono da Paese civile (qui l’esempio più eclatante è quello del Concorso a DT!!). Ha senso allora parlare di “concorsi” quando è palese che tutto l’apparato ministeriale va in affanno? Come si possono ipotizzare oggi serie procedure concorsuali se si continua a mantenere un rigido impianto centralistico, assolutamente non in grado di far fronte alle migliaia e migliaia di aspiranti (per il prossimo concorso a cattedre, quando mai vedrà la luce, si parla di 60.000 candidati!). Se davvero si vuole “puntare” sui concorsi, è prioritario mettere a regime una disciplina più snella, più rigorosamente cadenzata (concorsi ogni due/tre anni, non l’incredibile “pausa” di decenni) e molto meglio articolata, individuando commissari dal profilo integerrimo, dignitosamente remunerati (scandaloso il “compenso” per i Commissari dell’ultimo concorso a cattedre!), impedendo che le Commissioni si ricompongano più e più volte nel corso delle prove, determinando anche prerequisiti seri di partecipazione, onde evitare numeri ipertrofici assolutamente ingestibili: dobbiamo, cioè, imparare a farli davvero, questo benedetti concorsi!!;
- L’inconsistenza dell’ attuale “autonomia” scolastica: tanti begli aggettivi per definirla sin dalla sua nascita, ma di fatto senza reale autonomia finanziaria e senza chiara identificazione del ruolo educativo e culturale della scuola come “istituzione dello Stato” (non al servizio dell’impresa o della fabbrica o di qualche velleitaria moda pseudo didattica), si riduce tutto ad un vano chiacchiericcio. Vanno anche e soprattutto prioritariamente ripensati e ridefiniti ruoli e competenze dei veri “attori” di ciò: dal DS – prima di caricarla di altre responsabilità, sarebbe doveroso chiedersi cosa sia oggi davvero tale figura, costretta spesso a fare la spola tra diverse sedi, un po’ manager, forse, ma quasi mai leader ; e sarebbe soprattutto il caso di chiedersi se gli attuali DS, per come sono stati reclutati e per come sono stati successivamente formati, siano davvero in grado di diventare “sindaci” o “prefetti” o … come diavolo gli si voglia suggestivamente (ed irrealisticamente!) definire – agli Organi Collegiali, in attesa da troppo tempo di una riforma che li renda più rispondenti ai tempi odierni, rispetto agli ormai lontani anni Settanta del secolo scorso;
- La persistente assenza di una seria formazione dei docenti: eliminate le SSIS con un semplice tratto di penna, è facilmente constatabile il pieno fallimento di TFA e PAS.Finché non si opererà in modo da convincere-costringere l’Università a collaborare fattivamente con la Scuola, finché non si creeranno vere condizioni di collaborazione e di interazione tra questi due “mondi” – che viaggiano incredibilmente come due monadi separate: assoluta assurdità! –, non si verrà mai davvero a capo del problema. Ciò, ovviamente, avrebbe anche inevitabili (e positive) ricadute sull’aggiornamento dei docenti e sulla loro formazione in itinere: bisogna, a modesto parere di chi scrive, mettere la didattica al centro della riflessione culturale e politica, preoccupandosi di “chi” va a fare questo mestiere, per metterlo nelle migliori condizioni professionali per farlo. Solo così poi si potrà davvero parlare di “carriera”;
- Il pericoloso equivoco di scambiare i mezzi coi fini: come ieri con filmati e videoregistratori, oggi LIM e tablet sono strumenti, utilissimi per “variare il menù didattico”, da saper usare bene, ma non da considerare la panacea ai problemi di motivazione, di interesse, di comprensione, ecc… che solo un serio e costante dialogo educativo può impostare e tentare (almeno!) di risolvere. Del tutto analogo il discorso per i test: da usare con parsimonia, non nel modo invasivo (e prevaricatore, tanto da determinare il perniciosissimo “teaching to the test” da cui negli USA stanno cercando di liberarsi!), e certamente non da trasformare in uno strumento di valutazione “scientifica” (il che proprio non è, come Giorgio Israel ed altri non stancano di ripetere);
- La preoccupante disaffezione verso la scuola, l’educazione e la cultura in genere: dopo decenni di costante e progressiva delegittimazione di tutto ciò che è “impegno”, “studio”, “fatica”, dopo lo scellerato abbassamento di qualunque pretesa e l’annacquamento di molte operazioni concettuali, il risultato è sotto gli occhi di tutti. La scuola è un luogo di passaggio, i migliori istituti sono quelli che attraggono il maggior numero di “clienti”, bisogna stare attenti a non scontentare le famiglie, non più alleate, ma troppe volte avversarie, ecc…. È urgente un’ operazione di restituzione di dignità e di importanza al “fare scuola”: anche qui non può bastare premettere un aggettivo (“buona”) per risanare i danni di chi ha vaneggiato di tre “I” e altre amenità del genere. Restituire dignità vuol dire anche considerare i docenti italiani come “professionisti” e non come “impiegati”, adoperarsi perché il loro trattamento (anche economico, certamente!) non sia così difforme (ovviamente, in senso peggiorativo) rispetto a quello dei loro colleghi all’estero: e, magari, già che ci siamo, parlare anche di “contratto”!!!;
- Last but not least, la permanenza di autentiche vergogne come gli istituti privati che consentono il recupero degli anni scolastici, nei quali è possibile “comprarsi” la promozione: un’autentica iniquità sia dal punto di vista etico che sociale, alla quale si dovrebbe porre immediatamente rimedio.
Di altro ancora si potrebbe parlare, certamente.
Venendo poi ai punti di forza, andrebbe almeno detto che la nostra scuola garantisce ancora, nonostante tutto, un minimo di formazione culturale – pur nelle vistose differenze da zona a zona: altro problema di cui occuparsi prioritariamente: proprio sicuri che il nostro sistema scolastico sia “unitario”? –come testimoniano i nostri studenti che compiono soggiorni di studio all’estero e che dei Paesi che li hanno ospitati per un po’ di tempo invidiano le strutture scolastiche, tutto ciò che è il “contenitore ” (che ha la sua grande importanza, certamente, soprattutto considerando quanto le nostre, di strutture, siano fatiscenti e pericolanti!) ma non certo i “contenuti”!
Altro aspetto positivo, credo, è il rapporto umanamente “caldo” che spesso si instaura tra docenti ed alunni: le inqualificabili scene di vilipendio a qualche docente che girano su Internet non sono la regola; più volte da interviste e sondaggi è emerso un sostanziale “gradimento” degli studenti per buona parte dei loro insegnanti. E non è così all’estero, dove di solito molto maggiore è la “distanza” tra docente e discente.
Ma il vero punto di forza, sul quale bello sarebbe essere concordi, è che la nostra scuola, pur con tutte le sue magagne, è ancora un luogo in cui si cerca di contribuire alla formazione della personalità, del gusto, della sensibilità: una scuola che non deve insegnare solo ciò che “serve” (basta con questa tirannia dell’ “utile”!) ma ciò che è “importante”, ciò che, senza di lei, magari neppure si incontrerebbe nella vita. E che invece, una volta incontrato, la vita te la può cambiare, in meglio e in profondità.
Per questo ben venga il potenziamento dello studio dell’Arte, ma andrebbe anche rimeditata e riproposta la nostra tradizione classica, umanistica: accorgendosi, ad esempio, che è proprio ciò che gli altri ci invidiano.
Se i nostri politici leggessero la Nussbaum o se, semplicemente, parlassero con qualche docente o studioso statunitense, potrebbero facilmente verificarlo!