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Pratiche di cultura del contraddittorio nella scuola italiana: Il progetto ‘A suon di parole – Il gioco del contraddittorio’

Pratiche di cultura del contraddittorio nella scuola italiana: Il progetto ‘A suon di parole – Il gioco del contraddittorio’

di Paolo Sommaggio – Chiara Tamanini

[l’articolo che segue risponde alla chiamata al DIBATTITO EDUCAZIONE CIVICA ORA. Per vedere l’articolo di avvio del dibattito clicca QUI ]

L’obiettivo principale delle considerazioni contenute nell’articolo The Project ‘A suon di parole – Il gioco del contraddittorio’. An Educational Game to Disseminate the Culture of Contradictory Opposition in Italian High School Debates pubblicato nel n. 4/2019 della rivista “Scuola democratica” (https://www.rivisteweb.it/issn/1129-731X/issue/7899) è di presentare il contesto teorico e le caratteristiche peculiari del format di dibattito sviluppato nella Provincia di Trento intitolato “A suon di parole”. Si tratta di un progetto avviato nel 2010 a seguito di una collaborazione tra la Facoltà di Giurisprudenza dell’Università degli Studi di Trento, l’IPRASE (Istituto Provinciale di Ricerca e Sperimentazione Didattica della Provincia Autonoma di Trento), il Comune di Trento, il Comune di Rovereto e le Scuole secondarie di secondo grado. Il torneo di dibattito, tra i primi affermatosi in Italia, ha coinvolto fino al 2020 circa 8000 studenti e studentesse del Trentino-Alto Adige e ha evidenziato come il confronto dialettico, vissuto come una competizione sportiva, sia in grado di promuovere negli studenti il desiderio e la capacità di confrontare i propri ragionamenti con quelli degli altri. Scopo del “gioco educativo” è di sviluppare l’autonomia di pensiero nei giovani, aumentarne la interazione e la coesione sociale. Il dibattito, se svolto secondo un’ispirazione socratica, prepara infatti i cittadini di domani.

Per arrivare più velocemente a spiegare il quadro teorico di “A suon di parole” si cita un proverbio molto noto secondo cui: «Se un uomo ha fame e tu gli dai un pesce lo sfami per un giorno, se invece gli insegni a pescare, lo sfami per tutta la vita». Questa breve storiella viene spesso presentata in molti contesti dedicati alla formazione per il fatto che, in forza della analogia cibo-sapere, essa risulta molto utile per auspicare il passaggio da una formazione tradizionale excathedra (fornire un pesce – passiva), ad un approccio di tipo pratico-problematico (insegnare a pescare – attiva). Le abilità e le competenze devono prendere il posto delle conoscenze; il saper fare sul sapere. Ci si riferisce, dunque, a un modello di apprendimento attivo.

Tuttavia, proseguendo con la metafora, affinché il discente apprenda “a pescare” occorre che abbia già conosciuto un pesce. Come dire: pescare è pescare pesci e non scarpe. Dunque, un approccio attivo non può prescindere da una base di concetti e nozioni iniziali. Ecco allora che il passare dal pesce alla pesca può avvenire solo conoscendo sia l’uno che l’altro: competenze e conoscenze si devono integrare.

Occorre, inoltre, che, durante la ‘pesca’, il discente comprenda cosa tenere e cosa buttare poiché la pesca non è un semplice ‘tirar su dall’acqua’, ma consiste in diverse scelte strategiche finalizzate ad ottenere un qualcosa (il pesce) che si diversifica, per opposizione, da altre possibilità (una scarpa, un ramo etc.). Ad esempio, pescare un pesce serve se il mio bisogno è soddisfare l’appetito. Se dovessi mettermi in cammino forse sarebbe meglio pescare delle scarpe anche se vecchie o rotte. In questo senso le possibilità alternative si fronteggiano e da questo scontro potrà emergere la scelta più consona al contesto. Come fare apprendere questa capacità di considerare le alternative in opposizione tra loro affinché la migliore (ovvero quella che meglio resiste alla sua negazione) possa affiorare?

È necessario esercitare la capacità di compiere una scelta motivata, cioè a considerare le alternative alla propria opzione e metterle di fronte alla possibile scelta per renderla forte, meno criticabile. Ebbene per fare questo occorre il dibattito, occorre il confronto tra le ragioni di due opposte posizioni. Allenare al ‘contraddittorio’, dunque, consente non solo di assorbire nozioni e di affrontare problemi, ma consente altresì di confrontare le ragioni di una scelta con le ragioni che ad essa si possono opporle. Drammatizzando, giocando a costruire una opposizione agonistica e assumendo il ruolo di argomentatore (che trova le ragioni a favore) e di controargomentatore (che trova le ragioni contro), il discente con i suoi compagni gioca il ruolo di partecipante ad uno scontro che come una ‘partita’ ha le sue caratteristiche peculiari. Certo, il progetto ‘A suon di parole’ si inserisce nella tradizione del dibattito scolastico di matrice anglosassone. Tuttavia la peculiarità specifica di questo progetto è di fare riferimento a un modello di formazione più profondo rispetto allo sviluppo della ragione critica e di crescita umana.

Si tratta, in altre parole, di una proposta educativa/formativa che si può definire ‘socratica’ proprio perché funzionale alla considerazione/confronto di una possibilità con le sue alternative. E questo, dal punto di vista teoretico, costituisce un unicum nel panorama dei dibattiti scolastici.

I modelli di insegnamento presi in considerazione per la definizione del progetto sono stati i seguenti.

L’insegnamento basato sulla trasmissione di contenuti e, in certa misura, anche il concept based learning sono modelli di formazione accomunati dalla stessa concezione del sapere come possesso di nozioni e concetti che passano dal docente al discente pronto a riceverli. Il sapere si trasferisce quindi dal soggetto A al soggetto B, il quale sarà tenuto a conservarlo, ed eventualmente a riproporlo una volta richiesto, magari con qualche rielaborazione.

Se volessimo rappresentare simbolicamente questa struttura, potremmo farlo attraverso un movimento top-down che permette al discente di ricevere un “pacchetto” di conoscenze a lui impartito dal formatore e gli consente di avere la percezione di possederlo. In sintesi la formazione basata sulle informazioni e sui concetti appare come un approccio statico dove non si insegna a sviluppare in modo autonomo capacità e competenze.

Un secondo approccio alla formazione, più dinamico, è il problem based learning, in cui l’apprendimento è centrato sul problema e sulla capacità di affrontare questioni. La formazione, in questo caso, avviene sostenendo e sviluppando la ‘problematizzazione’ che consente di analizzare un contesto concentrandosi su possibilità di almeno due alternative.

Abituare gli studenti a considerare ogni aspetto del sapere come una domanda e non come una risposta consente molti vantaggi. In questo modello formativo, infatti, viene accresciuta la capacità di analisi/comprensione di un contesto, valutandone i contorni. La figura del formatore appare ridimensionata, divenendo una figura che organizza strategicamente le reazioni nell’affrontare le questioni.

Questo modello mette perciò in moto un processo bottom-up: infatti è dal basso, ovvero dallo studio e analisi dei problemi, che si giunge, successivamente, alla ‘produzione’ di concetti. Si innesta, infatti, una problem analysis, in quanto l’analisi e lo studio del problema, non la sua soluzione, costituiscono il momento centrale di questo metodo. Anche qualora la soluzione possibile fosse solamente una, occorre confrontarla con le alternative per renderla più forte e quindi sostenibile.

Se i primi due modelli di formazione sono condizioni necessarie, esse però non sono sufficienti. Per una formazione adeguata all’educazione alla cittadinanza e alle prospettive del futuro bisogna fare riferimento ad un processo di apprendimento poco o per nulla considerato: la choice based learning. Essere formati, infatti, non significa solo possedere nozioni e concetti o essere in grado di affrontare problemi. È necessario sviluppare una capacità critica che consenta di affrontare, e motivare, scelte differenti.

Proprio la promozione di questo aspetto è il tratto caratteristico del progetto ‘A suon di parole – Il gioco del contraddittorio’ che facendo esercitare al dialogo, insegna ai discenti come interloquire con la controparte e come sostenere un dibattito, con altri o con sé stessi. Il focus della metodologica proposta è il contraddittorio che, per molte ragioni che qui non si possono discutere esaustivamente, costituisce una species del genus ‘metodo socratico’.

Un elemento fondamentale del metodo Socratico è la confutazione o élenchos (elenchus), che permette, tramite un processo di ‘raffinazione’ di rendere la tesi in esame più forte e quindi meno passibile di smentite. In sintesi, l’oggetto di discussione sarà costituito dal ragionamento del discente debitamente ‘trattato’ attraverso la confutazione degli argomenti di cui questo si compone. Questi andranno sezionati, ovvero isolati e, in seguito, contestati in modo da far emergere le premesse di principio che stanno dietro quei discorsi. Ecco che allora il discente, posto di fronte al ‘suo Socrate’, ovvero ad una serie di opposizioni, potrà vagliare autonomamente le eventuali contraddizioni che la fretta o la mancanza di riflessione avevano trasformato, con troppa leggerezza, in convinzioni o assiomi. Di qui la possibilità di una scelta matura e motivata si dischiude come conseguenza necessaria.

Il dibattito, in questo senso, si realizza attraverso il dialogo socratico e consente di sviluppare non solo abilità linguistiche, di public speaking, di ragionamento e di critical thinking ma altresì di ottenere effetti di natura etica e di costituire un metodo di costruzione della società civile.

Sulla base di questo framework in questo intervento si propone di assumere il termine ‘dibattito’ o debate come strettamente connesso al concetto di ‘contraddittorio’, con riferimento all’ambito del diritto, in particolare del diritto processuale.

In questo modo possiamo sostenere che, proprio in virtù della opposizione tra le parti, si può giungere a rendere evidente la relazione che le tiene insieme, in un luogo che possiamo denominare mediativo o mediano. Si utilizza, a questo riguardo, la figura del ‘ponte’ richiamando così la metafora delle due sponde opposte di un medesimo fiume. L’opposizione tra le parti, dunque, determinando progressivamente la forma delle due sponde, consente di tracciare un orizzonte di possibilità, ovvero un oggetto, o forma, che possiamo chiamare ‘forma-ponte’, poiché atta a collegare, grazie alle specificazioni che emergono dal tentativo reciproco di superare la posizione antagonista. Nel punto di frizione dei ragionamenti delle parti possiamo infatti attestare la presenza di qualcosa che va al di là delle pretese parziali (soggettive), e verificare che la ricerca di questo elemento potrebbe rivelarsi determinante tanto per le parti stesse, quanto per il terzo, sia esso giudice o mediatore.

Il contraddittorio (l’opposizione delle parti) consente di costruire un contesto mediativo, pur conducendo la prova negatoria di ciascuna pretesa. Infatti in esso si preserva la possibilità di una procedura che non mira alla esclusione della controparte poiché impone che le differenze vengano reciprocamente comunicate e discusse e che si strutturino sempre attraverso qualcosa di comune che non può essere misconosciuto da ambedue le parti, e che custodisce, quindi, la possibilità del loro accordo.

La relazione oppositiva è dunque nel contempo anche massimamente legante, in quanto nel punto di frizione tra gli opposti alberga anche l’opposto rispetto alla frizione stessa. Se quello è un punto di frizione conterrà necessariamente anche il proprio opposto, ovvero la non opposizione, poiché in quel punto (limite), e solo in quel punto, opposizione e non opposizione si confondono.

Questo perché in quel punto possiamo considerare che convivano tutti gli opposti, ovvero anche l’opposizione tra scontro e collegamento. E perciò possiamo sostenere che, quanto più lo scontro è forte, tanto più potrà emergere il legame che unisce le due parti. E dunque è nello scontro tra le parti che, segretamente, agisce anche una progressiva costruzione di elementi comuni che formano un ponte tra le posizioni delle parti stesse: l’inizio di una possibile mediazione.

Il progetto nasce da precedenti riflessioni e sperimentazioni metodologico/didattiche realizzate in IPRASE e, nell’anno scolastico 2010/2011, è stato realizzato il primo torneo con due squadre di Trento (il liceo “L. Da Vinci” ed il liceo “G. Galilei”). Il progetto, da subito, ha ottenuto grande successo, segno che intercettava, e intercetta tuttora, una serie di esigenze molto sentite da parte dei ragazzi. Questo perché il modello presenta un framework agonistico dove le regole del dibattito sono alleggerite a favore dell’esercizio concreto del dibattito. Tale struttura agile permette la partecipazione al gioco del contraddittorio di classe intere, che, una volta appreso come si struttura un’argomentazione, conosciute le principali fallacie, capite le metodologie di una documentazione critica e dell’importanza dell’ascolto reciproco, organizzano e presentano dei discorsi veri e propri sottoponendoli a critica. Non vengono dunque selezionati pochi oratori scelti specializzati in ruoli (definizione del tema e enunciazione della struttura del discorso, individuazione contemporanea dei pro e contro, replica e sintesi finale come nel World Schools Style debating) perché l’obiettivo è di diffondere il più possibile a livello curricolare le capacità di argomentare e contro-argomentare, capacità richiesta, tra il resto, dalle Linee guida e dalle Indicazioni nazionali di tutti i gradi di istruzione. Sono stati così realizzati tornei modellati sulle annualità scolastiche con squadre/classi che si confrontano in uno sport non a carattere fisico, ma “a suon di parole”, sulla capacità di argomentare e contro-argomentare su tematiche di carattere civico e sociale. Gli studenti delle classi imparano a lavorare in team e, soprattutto, si sentono protagonisti attivi del proprio apprendimento e della propria maturazione.

Il motore agonistico del gioco si presta a sviluppare abilità trasversali negli studenti e dunque anche i docenti propongono alle proprie classi di partecipare al gioco del contraddittorio come attività di educazione civica e alla cittadinanza, coerente con la Raccomandazione sulle competenze chiave per l’apprendimento permanente del 2018 e in linea con gli obiettivi dell’Agenda 2030 delle Nazioni Unite. Si sottolineano qui due delle principali competenze promosse.

La prima, quella di elaborare un ragionamento sotto forma di discorso. E questo può essere fatto cercando materiali e dati ed elaborando strategicamente la loro posizione e organizzazione all’interno di un ragionamento. Questo lavoro, che richiede capacità critiche, viene svolto in parte in classe e costituisce un bagaglio che lo studente medio è in grado di gestire (dove più dove meno).

La seconda abilità, la più nuova e, per questo, originale, consiste nello sviluppare l’abilità di criticare e tentare di demolire il discorso dell’avversario, il ragionamento di chi abbiamo di fronte in una discussione. Il tutto, riconoscendo grande importanza all’avversario poiché i suoi argomenti sono ascoltati e compresi al fine di tentare di superarli.

Questo è ciò che lo studente solitamente non esercita nell’attività scolastica ma che lo attira: la possibilità che della organizzazione di un discorso e della critica di un discorso avverso si possa ‘fare gara’, ci si possa misurare in termini agonistici a tutti gli effetti. Non l’avversario deve essere colpito, ma il suo prodotto argomentativo, il suo ragionamento. L’abilità (che trova spazio limitato nelle varie proposte di debate) di contestare, argomentando, la contestazione è dunque il vero fulcro di originalità della proposta che qui si presenta: quella di depotenziare il ragionamento dell’avversario cercando di capire e di far emergere i problemi della sua esposizione, cercando di farlo cadere in contraddizione. Non abbiamo dunque fatto riferimento ai modelli, pur validi, dei dibattiti parlamentari di questo o quel paese, ma abbiamo preferito ricordare i dialoghi platonici, sviluppando un modello originale. Il procedimento maieutico che si manifesta in un dibattito costruito come un contraddittorio è infatti indisgiungibile dalla vita e dalla responsabilità che implica. La direzione dispiegata della fondazione logico-teoretica del dibattito si compie dunque nel rinvio ad una dimensione che la trascende e che si presenta con forti caratteri etici. La pratica del dibattito mostra, infatti, che gli aspetti logici rimandano ad un contesto etico poiché nessun formato di dibattito, crediamo, può evitare di farsi carico di questa dimensione che si misura costantemente con il mostrare a sé stessi e agli altri ciò che si è.

Riferimenti:Paolo Sommaggio e Chiara Tamanini, A suon di parole, il gioco del contraddittorio. Il format del dibattito per l’innovazione della didattica, Mimesis, Milano, 2020 (http://mimesisedizioni.it/a-suon-di-parole-il-gioco-del-contraddittorio.html#yt_tab_products1)

Sito IPRASE: https://bit.ly/2AXSD8o

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