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Se questa e’ buona scuola

Se questa e’ buona scuola

di Giorgio Rembado (Presidente ANP Associazione Nazionale Dirigenti e Alte Professionalità della Scuola)

In risposta all’articolo Discutiamo lo sviluppo della Buona Scuola

Una considerazione preliminare

E’ inevitabile che un Disegno di Legge, fra il momento della prima presentazione e quello della sua definitiva approvazione, vada incontro ad un certo numero di modifiche, anche sostanziali. Tuttavia, nel caso della Buona Scuola, questo processo è stato particolarmente travagliato ed è approdato ad esiti, ad oggi, altamente discutibili, nel metodo e nel merito:

– metodo: il documento presentato dal Governo a settembre è stato sottoposto ad una vasta consultazione pubblica, cui hanno concorso – secondo le cifre ufficiali – oltre un milione ed ottocentomila cittadini, per lo più esprimendo consenso. Ed una ricerca demoscopica, condotta dal principale istituto italiano del settore e pubblicata sul Corriere del 4 maggio, ha fatto registrare il 56% di favorevoli (e solo il 40% di contrari) alle scelte più qualificanti del progetto. Ciononostante, proprio le idee-forza più significative (rafforzamento dell’autonomia, poteri del dirigente, premialità e valorizzazione del merito) sono quelle colpite in modo più forte dalle correzioni successive, attraverso confronti molto meno pubblici e molto meno trasparenti di quelli inizialmente praticati. E tali modifiche – lungi dal procurare maggior consenso – sono state accompagnate da livelli di scontro quali non si vedevano da molti anni nei confronti dell’azione di governo. Non si comprende dunque perché indebolire la carica innovativa del progetto, senza neppure la contropartita di una eventuale pace sociale;

– merito: prima dell’inizio della discussione alla Camera, avevamo espresso pieno apprezzamento e condivisione su dieci punti, da noi ritenuti qualificanti. Nel testo che approda al Senato, ne sopravvivono solo due (possibilità di insegnamenti opzionali e piano per l’edilizia scolastica). Tutti gli altri sono spariti o sono stati fortemente ridimensionati, talvolta fino a capovolgerne l’impianto originario.

Principali criticità

– formulazione del testo. Fra i pregi del testo iniziale, avevamo apprezzato la qualità della redazione: sintetica, lineare e chiara. Dopo il passaggio in Aula, anche gli aspetti che non sono stati cancellati o depotenziati sono stati riformulati in modo prolisso ed ambiguo, tale da suscitare costanti dubbi interpretativi e da lasciar temere un lungo strascico di contenzioso al momento dell’attuazione. Si ha l’impressione che si sia inteso sacrificare la chiarezza alla ricerca del consenso, o almeno ad un meno accentuato dissenso, attraverso la polisemia della norma. Una polisemia che in ambito legislativo è ben lungi dal costituire un pregio e che non è neppure valsa ad attenuare i contrasti;

– autonomia delle scuole: ne rimane poco più che l’ennesima dichiarazione di principio. E’ sparito ogni riferimento all’autonomia statutaria ed ancora una volta non è stata prevista quella finanziaria (anzi ulteriormente compromessa dalla cancellazione del cinque per mille); è fortemente indebolita la parte relativa alla gestione del personale, derubricata a “valorizzazione”;

– rafforzamento della funzione del dirigente scolastico: su molti punti qualificanti vi è stato un ripensamento. Formulazione del piano triennale, determinazione dell’organico dell’autonomia, chiamata diretta del personale, valutazione dell’anno di prova, valorizzazione del merito: tutti questi aspetti sono stati corretti al ribasso, ponendo l’enfasi sul coinvolgimento di altri soggetti e sulla facoltà per questi di limitare e frenare l’azione del dirigente;

– piano triennale dell’offerta formativa: è stato fortemente inciso. Da atto principale di gestione affidato al dirigente ad atto tecnico-professionale rimesso al collegio docenti: che quindi è chiamato a decidere dei propri interessi (cioè dei propri impegni di lavoro ed anche del proprio salario accessorio, visto che quest’ultimo è collegato alle attività del POF). In aggiunta, al dirigente è stato conferito un potere di indirizzo, che contrasta – dal punto di vista della buona prassi organizzativa – con il potere di gestione. E, per finire, il consiglio di istituto (che finora “adottava” il piano – quindi, senza potere di modifica) adesso “approva” (il che include il potere di approvare un testo modificato). Insomma, un pasticcio che sembra pensato apposta per creare – attraverso tortuosi percorsi procedurali – confusione di ruoli e per depotenziare lo strumento quale principale mezzo di conduzione dell’istituzione scolastica autonoma;

– determinazione dell’organico dell’autonomia: era affidata al dirigente, sia pure con un visto successivo di approvazione degli uffici territoriali dell’Amministrazione. Adesso sono questi ultimi a determinarlo in via preventiva, mentre al dirigente spetta proporre l’utilizzo delle risorse assegnate: tutto come prima, salvo per qualche unità di personale che forse si avrà in più. Un preciso segnale di ri-centralizzazione nella gestione della scuola e proprio in quell’aspetto che giustamente era stato indicato dal Governo come centrale per l’autonomia, tanto da farne il perno del provvedimento attraverso il piano assunzionale;

– il premio al merito per i docenti: prima affidato al dirigente ed ora con il coinvolgimento del Comitato di Valutazione. Comitato che avrà valutato solo i docenti in anno di prova e coloro che avranno volontariamente richiesto la valutazione. E di tutti gli altri che cosa sa? E sulla base di cosa ne valorizzerà il merito? E quale responsabilità sarà in capo al Comitato per i risultati? Il dirigente, ricordiamolo, ne risponde;

– la valutazione dell’anno di prova dei neo-assunti: prima era affidata all’istruttoria del docente tutor ed alla decisione finale del dirigente. Un processo lineare, con precise attribuzioni di responsabilità. Nel testo attuale, c’è l’istruttoria, poi c’è il parere del Comitato ed infine la co-decisione: una serie di passaggi nei quali la responsabilità ultima viene diluita e si fa incerta;

– lo stralcio della riforma degli organi collegiali: viene prolungata l’esistenza in vita di organi nati quarant’anni fa e da almeno venti certificati come inadeguati a supportare l’autonomia. Con la stessa decisione, sparisce quella separazione degli ambiti che avevamo molto apprezzato, fra potere di indirizzo, potere di gestione e potere tecnico-professionale. Una notte hegeliana torna a distendersi sulla definizione delle rispettive competenze e sui confini degli ambiti di decisione;

– la cancellazione della norma sul cinque per mille: interessi organizzati di altri settori, evidentemente più forti di quello scolastico, hanno avuto la meglio, senza che siano state previste misure compensative per finanziare l’autonomia delle scuole.

Che cosa auspichiamo

Al Senato spetta una decisione importante: confermare il testo uscito dalla Camera o ripensarlo. Data l’entità dei punti critici cui si è accennato in precedenza, la seconda alternativa sarebbe di gran lunga preferibile. In particolare, il minimo che si possa chiedere è che non vengano ulteriormente svuotati i residui poteri del dirigente scolastico:

a) la decisione in ordine al premio per il merito;

b) l’individuazione dei docenti cui affidare incarichi triennali per l’attuazione del piano dell’offerta formativa, da attingere negli albi territoriali sulla base del curriculum e senza scorrimento di graduatorie.

Non si può pensare di mettere in moto complessi processi di riforma ed al tempo stesso di azzerare gli strumenti di controllo e di gestione del personale, che costituisce la risorsa principale per la qualità della scuola. Se a questo si arrivasse, tutta la riforma si sarebbe ridotta all’immissione in ruolo di centomila docenti, senza modificare le regole per il loro utilizzo.

Benché sia difficile attenderselo, sarebbe anche auspicabile il ripristino di un linguaggio più asciutto e meno ambiguo di quello attuale, a beneficio della chiarezza ed a riduzione del contenzioso. Ottantotto pagine per cambiare poco o nulla sono decisamente troppe: e ad un maggior numero di parole corrisponde sempre minore sostanza.

Se poi il Senato volesse realmente varare un provvedimento capace di incidere sulla realtà attuale della scuola, dovrebbe prestare attenzione alla razionalizzazione e semplificazione dei processi decisionali interni (che tutti invocano a parole e dimenticano nei fatti) e ritornare, per molti dei punti segnalati come critici, alle soluzioni che erano contenute nel testo originario del Disegno di legge.

I super-poteri del dirigente in Italia e nel resto del mondo

Si è udito a più riprese, nelle ultime settimane, parlare dei super-poteri che il provvedimento attribuirebbe ai dirigenti e dei pericoli che ne deriverebbero per la democrazia e perfino per i valori costituzionali.

Andrebbe forse ricordato che i poteri in questione si riassumono nella possibilità di individuare alcuni docenti (forse cinque o sei) sull’organico territoriale per utilizzarli nella realizzazione del piano triennale dell’offerta formativa; e nella possibilità di attribuire una gratifica a riconoscimento del merito di coloro che più si impegnano nella scuola.

In buona parte del resto del mondo questo avviene senza scandalo da decenni. E’ noto a chi studia queste cose che in Inghilterra, Olanda, Scandinavia, buona parte dei Paesi dell’Est europeo, i dirigenti assumono direttamente tutti i docenti delle proprie scuole. E – sia pure all’interno di linee guida nazionali – decidono di parte del loro stipendio e delle eventuali gratifiche. Così accade pure, con modalità di dettaglio poco diverse, negli Stati Uniti, in Canada e in buona parte dell’Asia: incluse quelle realtà, come Hong Kong, Singapore, la Corea del Sud, che insieme alla Finlandia occupano stabilmente i primi posti delle classifiche internazionali.

Sono tutti gli altri che sbagliano? O una qualche riflessione meno emotiva si imporrebbe anche da noi? Una “buona” scuola si misura innanzitutto dagli esiti dei suoi studenti: e quelli dei nostri sono lungi dal costituire argomento in favore del modo in cui è stato governato il sistema di istruzione.

Scuola democratica
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