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Tempo pieno dei professori universitari e “terza missione”

Tempo pieno dei professori universitari e “terza missione”

di Giunio Luzzatto

In alcune sedi istituzionali si è manifestato, recentemente, un notevole interesse per il tema “Università e Professioni”; esso è stato esaminato dell’ANVUR con un libro “Le professioni nell’università” (disponibile on-line clicca qui) ed è uno dei punti al centro dell’incontro promosso da CUN, CRUI e AlmaLaurea, presso il CNR, il giorno 1 febbraio.

In queste analisi sono coinvolte due questioni che dovrebbero essere tenute nettamente distinte: da un lato, quali attività formative universitarie devono essere sviluppate per far sì che -nei Corsi in cui l’università prepara a una professione- tale preparazione sia ottimale; d’altro lato, quali attività professionali devono, o non devono, svolgere i professori universitari.

La prima questione può implicare una capacità, da parte degli Atenei, di non isolarsi, anche utilizzando nel proprio corpo docente professionisti ed altri esperti esterni; al riguardo osservo che vi sono state, negli anni passati, inopportune disposizioni ministeriali che hanno scoraggiato, anche se non del tutto impedito, tale utilizzazione. Intendo comunque soffermarmi, in queste osservazioni, soprattutto sulla seconda questione.

Questa è stata, per lungo tempo, al centro dei dibattiti sulla riforma universitaria: si discuteva dell’impegno full time dei docenti di ruolo. Lo stato giuridico definito dal D.P.R. 382 del 1980 ha adottato una soluzione di compromesso, rimasta inalterata fino alla legge 240 del 2010, distinguendo tra professori “a tempo pieno” ovvero “a tempo definito”: per i primi divieto di attività esterne private, per i secondi autorizzazione all’esercizio anche di una libera professione. La legge 240 ha innovato in direzione “permissiva”, attribuendo il diritto di svolgere consulenze private anche ai professori “a tempo pieno” (terminologia, a questo punto, poco corrispondente alla realtà).

Gli oppositori al “tempo pieno” sostenevano che l’insegnamento dei professori sarebbe stato troppo astratto se essi non fossero stati coinvolti nelle applicazioni; i sostenitori di un tempo pieno autentico replicavano che il divieto doveva riguardare l’attività privata, ma che il contatto con le realtà esterne avrebbe potuto svolgersi attraverso attività istituzionali, cioè consulenze e contratti acquisiti dal Dipartimento di afferenza del docente.

Osservo che quest’ultima considerazione è ancora più valida oggi, nel momento in cui si pone l’accento sull’esigenza di sviluppo, da parte dell’università, della terza missione, cioè di un suo forte contributo alla società circostante: il professore che assume una consulenza personale per Enti o per privati che con un contratto potrebbero affidare il relativo lavoro all’università viene addirittura a trovarsi in conflitto di interesse con l’università stessa.

Mi sembra molto negativo che nelle recenti polemiche sulla politica universitaria questa tematica sia stata del tutto assente.

Scuola democratica
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