Back

Sviluppo sostenibile e il ruolo della formazione

Sviluppo sostenibile e il ruolo della formazione

di Pietro Valentini

Come noto il nostro paese si è impegnato verso il raggiungimento dei 17 Obiettivi dell’Agenda 2030, il piano d’azione delle Nazioni Unite firmato nel 2015 da 193 Paesi, che identifica gli ambiti in cui bisogna intervenire per assicurare la sostenibilità economica, sociale e ambientale del modello di sviluppo.

A che punto siamo? In fondo mancano solo 11 anni. Il rapporto 2019 ASVIS  presentato il 4 ottobre a Roma registra un certo ritardo. E il ritardo è ancor più inquietante se si considerano che all’interno del percorso previsto per gli obiettivi sono inclusi obbblighi riferiti al 2020.

Ma prima le buone notizie: l’Italia migliora in alcuni campi (salute, uguaglianza di genere, condizione economica e occupazionale, innovazione, disuguaglianze, condizioni delle città, modelli sostenibili di produzione e consumo, qualità della governance e cooperazione internazionale).

Non migliora però in educazione e lotta al cambiamento climatico.  E peggiora addiruttura sul fronte di povertà, alimentazione e agricoltura sostenibili, acqua e strutture igienico-sanitarie, sistema energetico, condizione dei mari ed ecosistemi terrestri.

All’istruzione e alla formazione è dedicato uno specifico obiettivo tra i 17 dell’agenda, il quarto. Eppure non si tratta di un obiettivo tra gli altri. Tutti i 17 obiettivi sono per molti versi collegati e interdipendenti. Ma il quarto è decisivo per tutti.

Sicuramente molti sono i programmi di investimento che lavorano sullo sviluppo sostenibile nella scuola. Attorno ai fondi ECG del Ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale, PON del MIUR e FAMI del Ministero degli Interni si sono strutturate nel tempo professionalità e metodologie che integrano formale e non formale, organizzazioni formative che stanno tessendo reti multilivello per cercare di mettere a sistema sperimentazioni, monitorare la qualità delle proposte formative e valutarne l’impatto sociale su interventi che incontrano un’utenza che può andare ben al di là della cosiddetta età scolare.

Rispetto al segmento della formazione? E’ qui che l’apprendimento è più vicino al cambiamento delle pratiche (va da sè che chi può produrre un cambiamento visibile nel 2030 è soprattutto chi è già nella cosidetta età della vita attiva ed è parte dei processi produttivi).

Gli spunti per un cambio di passo sono forti. Il convegno Fondimpresa a 15 anni dalla sua fondazione si è concentrato sulle sfide di mutamento globale a cui non si può rimanere impermeabili. Ancora più incisivo nella necessità di fare un salto di qualità nel mondo della formazione proviene da Federformazione   che pone nell’immediato le questioni che ritiene prioritarie sottolineando il diritto soggettivo alla formazione, il suo ruolo per la crescita collegata, la responsabilità nella valutazione dell’impatto sociale della formazione, l’incrocio delle competenze tra generazioni collegato ad un approccio lifelong alla formazione. Con una consapevolezza dei mutamenti demografici che solo recentemente sembra affiorare a livello di dibattito nell’agone politico. In effetti una formazione capace di creare sviluppo, e uno sviluppo che sia sostenibile, implica sicuramente una responsabilità demografica, dato che lo sviluppo sostenibile è proprio quello che non lede le generazioni successive.

Ma la creazione delle condizioni di sviluppo sostenibile entro il 2030 deve usare al meglio la formazione delle risorse umane ora disponibili. Quelle che si preparano a entrare nell’età attiva, quelle che sono alle prese con i processi produttivi, quelli che sentono di esserne usciti. Lo sviluppo sostenibile riguarda tutti loro.

Scuola democratica
Scuola democratica