Sulla Riforma di una Scuola, che forse tanto buona non è
di Federica Roccisano (Università Cattolica di Milano)
in risposta all’articolo Discutiamo lo sviluppo della Buona Scuola
Ho letto con attenzione le novità del ddl sulla Buona Scuola presentato lo scorso 12 marzo dal Governo Renzi e dalla Ministra Stefania Giannini e non riesco a nascondere alcune perplessità che temo rischiano di colpire il tessuto sociale delle aree più deboli e quindi di tutte le regioni meridionali.
La mia prima preoccupazione riguarda la cosiddetta autonomia dei dirigenti scolastici i quali avranno la facoltà di selezionare direttamente i docenti da inserire nell’organico. La riforma prevede che la selezione dovrebbe avvenire in base al merito e quindi in base alla valutazione dei curricula dei docenti presenti in una sorta di lista e messi a disposizione dei presidi. Ora, occorre innanzitutto superare il problema “discrezionalità” e ipotizzare quindi che tutti i dirigenti sceglieranno i docenti in base al merito e non in base ad altri fattori diciamo più amicali, la qual cosa rischierebbe di escludere dalle scuole docenti preparati, ma senza “conoscenze”, a vantaggio di docenti dotati di minore preparazione ma con una rubrica telefonica più fornita. Il timore, in sintesi, potrebbe essere quello che un simile potere discrezionale favorisca comportamenti clientelari e quindi vada a penalizzare la qualità dei docenti selezionati.
Superato questo aspetto, mi domando quale dirigente avrà maggiore potere attrattivo sul docente da selezionare? Il dirigente della scuola di città che ha a disposizione un istituto di recente costruzione, strutturalmente bello e dotato delle migliori tecnologie o il dirigente della scuola piccola e datata, tipica delle periferie, in cui i figli studiano nelle stesse aule in cui hanno studiato i loro genitori? Suppongo che il docente ben preparato che occupa la top ten della graduatoria, preferisca accettare l’invito del dirigente illuminato e ben attrezzato che amministra la scuola di città e che al dirigente della scuola di periferia spetti il compito di scorrere la lista. E allora? Come possiamo parlare di buona scuola se questa non tutela le periferie e quindi i giovani con maggiore rischio di esclusione sociale e marginalità? Al contrario, ci aspettavamo che una riforma sull’istruzione con un titolo così ambizioso e dichiaratamente a favore della buona scuola avrebbe puntato a far fare al sistema educativo italiano un passo in avanti, ponendosi come obiettivo principale la diminuzione delle disparità tra aree avanzate e aree emarginate del Paese. Pensiamo a cosa succederebbe nelle regioni del Sud: non c’è forse il rischio che nelle poche scuole dell’entroterra sopravvissute ai decentramenti del Decreto Gelmini non voglia andare nessun docente da top ten? E vogliamo poi parlare delle aree connotate da forti stigma e pregiudizi come i quartieri periferici di Napoli, Palermo o Reggio Calabria fino ai centri marchiati dalla criminalità come San Luca o Platì o Rosarno? Vogliamo davvero fare credere che lo Stato scelga di abbandonare questi territori e condanni i giovani che vi vivono a perseguire strade sbagliate più vicine alla criminalità che alla legalità?
E qui, sul ruolo dello Stato come garante dell’equità sociale, vengo al secondo punto: l’annosa questione delle scuole paritarie e del ruolo che lo Stato decide di dare loro. Ritengo che favorire, prevedendo sgravi fiscali per le famiglie che iscrivono i proprio figli alle scuole paritarie, sia un’offesa all’idea di istruzione intesa come diritto di cittadinanza (e non come privilegio economico) e che vada, anche questa idea, nella strada verso l’aumento delle disuguaglianze e non nella riduzione. Se infatti il Governo sta investendo con una Riforma per migliorare la qualità della scuola pubblica, cosa rende opportuno inserire misure fiscali a vantaggio delle scuole paritarie?
Infine vi è un altro punto di debolezza in questa riforma che rischia di essere un boomerang, anche se in via indiretta, per le realtà, extra statali, che lavorano nel sociale: l’introduzione del 5 per Mille per il finanziamento della ristrutturazione degli istituti scolastici. Questa misura, infatti, per riprendere le parole del responsbaile del Forum del Terzo Settore Pietro Barbieri, rischia di attivare una sorta di “guerra tra poveri” tra Terzo Settore, originario destinatario del 5 per Mille e che spesse volte riesce a sopravvivere proprio grazie alle donazioni, e le scuole. Non solo, anche questa misura, come le precedenti, potrebbe avere effetti distorsivi: al contrario degli organismi del Terzo Settore (quali associazioni volontarie, cooperative sociali, ecc…), i dirigenti scolastici avrebbero nel personale docente e nei genitori degli studenti, una base imponibile certa a cui chiedere, in maniera esplicita e con un certo potere contrattuale, il contributo del 5 per Mille per far fronte alle emergenze dell’istituto.
Probabilmente queste valutazioni prendono in considerazione la parte peggiore dell’animo umano e sembrano definire i dirigenti scolastici come dei mostri assetati di potere. Ma quello che si intende evidenziare sono i rischi nella quale si può incorrere quando si da eccessivo potere agli organi dirigenti, specie se questo riguarda il pubblico e rischia di avere effetti negativi sui serivizi scolastici e quindi sulle future generazioni e sul futuro del Paese.
Occorre necessariamente cambiare rotta e fare in modo che sia davvero la volta buona per una scuola efficiente ma soprattutto equa, che anzicchè ampliare le distanze tra centri urbani e periferie, intervenga nella riduzione delle disparità di opportunità sociali. E questo si può fare solo partendo dalle scuole pubbliche, prevedendo dei meccanismi premiali per i docenti come per i dirigenti che scelgono di operare in contesti difficili, come le scuole delle periferie o delle aree ad alta densità criminale o ancora in quelle classi in cui la principale ricchezza non è la lavagna multimediale ma la commistione di culture e di etnie data dalla presenza di studenti extracomunitari. Come diceva bene il nostro Premier, l’Italia deve cambiare verso: quale punto di partenza migliore della scuola?