Un film… “dalla” scuola e “con” la scuola
di Giovanna Barzanò (Dirigente Miur) e Carla Gaiba (insegnante)
Il film “Aspettando il maestro” di Rachid Benhadj è stato prodotto dalla scuola e con la scuola, attraverso il supporto della comunità locale e della rete di nazionale di scuole Dialogues , per condividere una storia e farne uno strumento di riflessione e di dialogo con altre scuole. Il racconto di un’esperienza vera è affidato all’occhio del regista Rachid Benhadj, artista italo-algerino che da sempre ha messa al centro della sua opera le tematiche transculturali.
Siamo nella bella campagna Toscana, nella storica cittadina di Monte San Savino. Gli studenti che suonano nella band dell’istituto comprensivo sono in attesa: verrà un famoso direttore d’orchestra a dirigere il loro prossimo concerto, bisognerà impegnarsi molto nelle prove insieme al professore di musica.
Il regista chiede ad alunni, insegnanti e genitori di recitare sé stessi, per raccontare questa semplice storia della realtà quotidiana e focalizza il suo sguardo sull’esperienza di cinque ragazzi molto diversi, che letteralmente e metaforicamente “aspettano il maestro” … e intanto suonano e sognano di suonare sempre meglio, mentre i loro strumenti musicali diventano strumenti di pensiero e di vita.
Aspettando il maestro è però la storia di un’armonia difficile, che parte dalle domande, dagli sguardi, dalle situazioni di tanti “solisti” e approda, quasi inaspettatamente, al miracolo di un concerto finale dove ogni voce trova il proprio posto: anche quella più dissonante, la più dubbiosa, quella incrinata dalla rabbia e dal dolore, quella che sembrava votata al silenzio perché non trovava un orecchio adatto all’ascolto.
Ogni singola voce, insomma: e il “maestro”, la cui ombra indistinta aleggia in tutto il film per materializzarsi soltanto nella scena finale, rappresenta per i ragazzi il desiderio fortissimo di questa armonia, che tutti loro sentono, in maniera diversa, anche se non riescono a dargli nessuna forma.
C’è l’introverso, c’è la ribelle, c’è la sognatrice, c’è l’incompreso, c’è la sradicata: tanti modelli diversi che danno vita ai diversi modi di porre la medesima domanda: “Chi sono io?”
E forse non è nemmeno corretto parlare di “modelli”, perché ciascuno di quei ragazzi è in realtà un guazzabuglio di ipotesi e di tentativi di trovare un proprio spazio nel mondo, dove si incontrano e a volte si scontrano visioni diverse nella realtà, diversi modi di maneggiarla, senza nessuna linea voluta o definita.
Il film fa riflettere anche su una consapevolezza che accomuna tutti coloro che vivono quotidianamente l’esperienza degli adolescenti, riuscendo a condividerla solo in parte e in modo discontinuo. E’ la consapevolezza che quell’armonia finale, che nel film per esigenze di copione viene raggiunta in modo tanto perfetto ed emblematico, nella realtà invece si ferma spesso allo stato embrionale di tentativo, di sforzo a volte perfino stanco e sfiduciato, e che nei concerti che cerchiamo di costruire con i nostri ragazzi rimane sempre un ampio spazio di dissonanze e di melodie irrisolte o appena accennate. Ma forse è proprio in questi interstizi di buio apparente che si insinua la difficile strada del dialogo come strumento di crescita.
scarica invito 18 novembre 2014