Un resoconto su Neeting 2, convegno internazionale sui NEET
di Domenico Dodaro
Il 1 Dicembre si è tenuto a Milano al centro congressi di Fondazione Cariplo un convegno internazionale sui neet organizzato da Fondazione Cariplo, l’Istituto Giuseppe Toniolo di Studi Superiori e l’università Cattolica del Sacro Cuore. Come si evince dal titolo del convegno, Neeting 2, convegno internazionale sui NEET, si è trattato di un secondo appuntamento. La precedente edizione ha avuto luogo nel 2016 all’università Cattolica del Sacro Cuore e si era soffermata soltanto sulla situazione italiana.
I neet sono persone, per lo più giovani, disoccupate e che non studiano (il termine neet è l’acronimo di Not in Education, Employment or Training). È un tema di cui si è parlato spesso nei media in tempi recenti, in particolare facendo riferimento a un fenomeno molto simile, quello degli hikikomori. Quest’ultimo è un termine giapponese che significa approssimativamente “volgersi dentro se stessi / rimanere confinati a sé stessi” e che implica un ritiro dalla società, spesso messo in atto da adolescenti. E’ un fenomeno molto diffuso in Giappone e in concreto consiste in giovani che trascorrono settimane, mesi e in taluni casi addirittura anni rinchiusi nelle loro stanze. Questi ragazzi non studiano e non lavorano e quindi rientrano nella tipologia neet – possiamo intendere gli hikikomori come un sotto-insieme dei neet.
A ogni modo, gli interventi del convegno si sono concentrati soprattutto a riportare dati statistici sull’ampiezza del fenomeno neet in Italia e in alcuni altri paesi europei, ad esaminare alcuni progetti in corso che tentano di individuare i neet e di collocarli o ricollocarli nel mondo lavorativo e a tirare le somme sulle politiche di contrasto al fenomeno, proponendo pure degli accorgimenti per migliorare queste politiche. Questo articolo è un resoconto della prima parte del convegno.
Dopo l’introduzione di Paola Bignardi, ex presidente nazionale dell’Azione Cattolica, membro del consiglio di amministrazione di Fondazione Cariplo e studiosa dell’Istituto Toniolo di Studi Superiori, è intervenuto Alessandro Rosina, professore di demografia all’università Cattolica di Milano e ricercatore dell’Istituto Toniolo di Studi Superiori. Nella sua relazione 1 Rosina ha sottolineato come, numeri alla mano, la situazione italiana sui neet sia molto peggiore rispetto agli altri paesi europei. Era già molto critica prima dell’inizio della crisi economica e si è aggravata negli anni della crisi. E’ seguito l’intervento del professore Francesco Pastore, professore di economia all’università della Campania Luigi Vanvitelli. Il professor Pastore ha sostenuto che una delle cause di smarrimento dei neet risiede nelle difficoltà che si riscontrano nella transizione tra scuola e lavoro. Questo problema è stato ribadito spesso negli ultimi anni, nei seguenti termini: le scuole trasmettono saperi troppo teorici e i giovani faticano a inserirsi nel mondo lavorativo al termine degli studi in quanto mancano di conoscenze specialistiche e più pratiche richieste dalle aziende; inoltre molte aziende sono riluttanti a investire su giovani privi di esperienze lavorative. Questo è quanto ha sostenuto anche Pastore nella sua relazione. Secondo Pastore un ulteriore fattore di dispersione è l’eccessiva lunghezza della durata degli studi universitari. Questi due fattori, lunghezza della durata degli studi universitari e scarso susseguente assorbimento dei giovani nel mondo del lavoro fa sì che, stando ai calcoli compiuti da Pastore, la maggior parte dei laureati di specialistica riescano a collocarsi stabilmente in ambito lavorativo solo superati i 31 anni! Non andrebbe meglio per chi ha scelto di conseguire soltanto la laurea triennale. Stando ai calcoli di Pastore la maggior parte dei laureati di triennale riuscirebbe a trovare un lavoro stabile solo alla soglia dei 29 anni. Occorrerebbero quasi 4 anni dopo il completamento degli studi affinché i giovani trovino una loro collocazione professionale.
Pastore ha auspicato anche una riforma dei centri per l’impiego, che era stata annunciata dal governo Renzi, ma poi non è andata in porto. Infatti sulla base di dati statistici è stato sostenuto che, rispetto ai giovani di altri paesi europei, pochissimi giovani italiani trovano lavoro grazie ai centri per l’impiego. Questo dato è stato confermato da Benedetta Angiari, Programme Officer di Fondazione Cariplo, che ha dichiarato che nelle loro ricerche meno del 10% degli intervistati ha affermato di aver trovato l’attuale lavoro attraverso il canale formale dei servizi per l’impiego. Pastore ha poi sottolineato come la ricerca e l’ottenimento di un posto di lavoro nel nostro paese restino legati ad amicizie e a vincoli familiari. Forse un’alta percentuale di neet potrebbe essere rappresentata da giovani che hanno meno conoscenze e familiari capaci di offrirgli un lavoro. Ma questa è solo un’ipotesi. Tra i macro-fattori citati da Pastore che incidono negativamente sull’impiego lavorativo ci sono certamente la bassa crescita economica (che, secondo Pastore, fa anche sì che il training prevalga sull’occupazione) ma pure fattori strutturali, come un sistema d’istruzione sequenziale e gli altri aspetti già citati nelle righe precedenti (curriculum troppo teorici, scarsa interazione tra scuola e lavoro, lunghezza degli studi universitari, servizi per il pubblico impiego inefficienti, ecc.).
Soluzioni proposte da Pastore sono: l’alternanza scuola-lavoro e iniziative come quella di Garanzia Giovani, che però secondo l’economista vanno incrementate e, laddove c’è bisogno, potenziate, sia a livello di fondi immessi che di possibilità offerte ai giovani.
E’ seguita poi la relazione di Francisco Simões, ricercatore al Center for Social Research and Intervention a Lisbona (University Institute of Lisbon). Simões ha parlato di un progetto di contrasto al fenomeno neet, Terra Nostra, che ha avuto luogo nelle isole Azzorre. Lui e altri studiosi sono stati i promotori e amministratori del progetto. Questo è consistito nell’insegnare il lavoro agricolo a giovani neet del posto. L’azione di contrasto si è sviluppata in 4 fasi. In una prima fase si è fatta fare una libera esperienza di lavoro di sei mesi ai ragazzi. Sono stati cioè concessi loro campi e attrezzatura. E’ seguito un training di un anno, con tirocini con produttori locali certificati. Sono state poi valorizzate le risorse prodotte e infine è stato offerto ai giovani un lavoro in ambito agricolo e alcuni di loro si sono messi in proprio usando il terreno loro concesso.
Un altro contributo è stato quello della ricercatrice Kyriaki Kalimeri (@ISI Foundation). Kalimeri ha parlato di una ricerca che ha condotto assieme ad altri studiosi tesa a identificare popolazioni di neet, loro preferenze e attività sulla rete attraverso tecniche di profilazione dell’utente. Ciò allo scopo di individuare quali canali raggiungere per campagne di contrasto al fenomeno neet.
A mio avviso, degli aspetti che si è mancato di analizzare – anche negli altri interventi del convegno – sono le cause psicologiche – oltre a quelle economiche e sociali, che invece sono state ampiamente trattate – che spingono i neet ad essere tali, ovvero a ritirarsi dalla società, non studiando e lavorando. Solo chiariti questi aspetti infatti si può pensare di delineare politiche di successo mirate all’integrazione sociale dei neet. E’ tuttavia ovvio che le cause psicologiche sono variegate e relate anche all’età dei neet. Ad esempio è normale ritenere che ci siano differenze tra neet adolescenti e adulti. La problematica dovrebbe essere affrontata da psicologici specializzati, tenendo a mente comunque che ogni caso può presentare delle peculiarità. In linea di massima, comunque, penso che il problema principale consista nell’aiutare i neet a capire cosa vogliono dalla vita. Hanno individuato un loro talento? Hanno mai pensato a come metterlo a frutto? Cos’è che li appassiona?
Tuttavia, secondo i dati del Rapporto Giovani molti ragazzi con elevata formazione non trovano posizioni all’altezza delle loro capacità e aspettative e il 44% di chi è occupato si adatta a svolgere un’attività poco o per nulla coerente con la propria formazione. Idealisticamente, lo Stato dovrebbe quindi porsi il problema di come offrire occupazione alternativa a coloro i quali non trovano la loro professione ideale nell’attuale mercato del lavoro; ciò a causa di svariate ragioni: perché alcune figure professionali sono poco richieste, perché alcune figure professionali non esistono ancora (e sarebbe cosa buona, ad esempio, educare e spronare neet e non solo all’intrapresa in tal senso, sempre che vi siano le condizioni economiche, fiscali e sociali adatte) oppure soprattutto a causa dell’elevata competizione e della mancanza di fondi.