Vie d’uscita dallo stress da test
di Paolo Landri (Primo Ricercatore CNR-IRPPS)
Nel clima surriscaldato delle polemiche sulla somministrazione delle prove INVALSI è meritevole di attenzione la lettera indirizzata al responsabile del programma OCSE-PISA (Andreas Schleicher) da un gruppo di autorevoli accademici e pubblicata da The Guardian con il titolo provocatorio ‘OECD and Pisa tests are damaging education worldwide’ (‘l’OCSE e i test PISA stanno danneggiando all’educazione in tutto il mondo’).
La lettera non è contro la valutazione (e neanche contro la valutazione tramite test), ma esprime forti preoccupazioni per gli effetti del programma OCSE-PISA sul funzionamento dei sistemi educativi. Esprime il punto di vista di vari circuiti di expertise di orientamenti teorici diversi – sociologia critica, neo-istituzionalismo, etc. che fanno ricerca e che pubblicano nelle maggiori e più importanti riviste scientifiche del settore dell’education e dell’education policy di lingua inglese (tra i primi firmatari Heinz-Dieter Meyer1, Stephen Ball, Diane Ravitch, etc.). La lettera è stata elaborata da ricercatori che lavorano prevalentemente in UK e in USA e che da più tempo hanno potuto documentare le conseguenze, talora inattese, di un uso eccessivo di test standardizzati sulle pratiche educative, sulle professionalità dei docenti e sui climi scolastici, laddove vi è un forte orientamento all’adozione di politiche di ‘high-stake accountability’. Ma la lettera sta raccogliendo ulteriori adesioni da parte di sottoscrittori che lavorano in altri contesti educativi.
La lettera è strutturata in modo da avere una parte fortemente critica, ma anche una interessante pars construens, nella quale vengono avanzate una serie di proposte per poter migliorare i processi di valutazione dei sistemi educativi e per poter modificare il programma OCSE-PISA in modo più pluralistico.
Nella parte critica, si rilevano alcune conseguenze inattese del PISA: a) l’impulso verso un eccessivo ricorso ai test standardizzati (anche in presenza di una letteratura che ne evidenzia i limiti) e alle misurazioni esclusivamente quantitative b) un orientamento a breve termine nelle politiche educative finalizzato a ridurre il gap nelle graduatorie internazionali dai top performers c) un riduzionismo pedagogico che induce a privilegiare prevalemente gli aspetti misurabili e quantificabili dell’educazione e che riguarda solo alcuni alcuni dell’educazione (escludendo altri obiettivi educativi) d) la tendenza a privilegiare il versante economico dell’educazione a scapito degli aspetti sociali, morali e politici e) l’eccessivo ruolo dell’OCSE sul piano delle politiche educative, rispetto ad altre organizzazioni che hanno uno specifico non mandato in questo ambito (come UNESCO e UNICEF, ad esempio) f) la produzione di un quasi-mercato della ricerca educativa attraverso lo sviluppo di partnership pubblico-privato per la realizzazione del PISA g) ed, infine, un’accentuazione dello stress da test con effetti di impoverimento della professionalità dei docenti e di diminuzione del benessere degli studenti.
Nella parte costruttiva, la lettera, tuttavia, offre delle interessanti vie di uscita, ispirate ad un recupero della dimensione democratica dell’educazione e allo sviluppo del pluralismo delle prospettive di ricerca scientifica ed, in modo particolare, di quella valutativa.
Le 7 proposte riguardano, da un lato, alcuni modi per migliorare la valutazione e i suoi processi e, dall’altro, strategie per rendere più trasparente la gestione del PISA. Per ciò che concerne i modi per migliorare la valutazione si suggerisce: a) lo sviluppo di modalità alternative di reporting dei risultati della valutazione, poiché i ranking e la comparazione tra paesi che sono molti diversi tra di loro è poco significativa finendo per alimentare un certo colonialismo educativo b) la co-produzione dei dati valutativi con genitori, amministratori, studenti, etc. e con una ampia gamma di discipline (non solo statistici, economisti, e psicologi ad orientamento psicometrico) c) l’inclusione di organizzazioni internazionali e nazionali nella formulazione di standards e di metodi di valutazione il cui orientamento non è esclusivamente diretto agli aspetti economici dell’educazione d) il rallentamento dei cicli di testing. Riguardo le seconde, gli estensori della lettera spingono per avere un dettagliato resoconto sui costi diretti ed indiretti per la somministrazione del PISA, per sviluppare delle osservazioni più dettagliate sulle modalità di somministrazione dei test ed, infine, per avere delle informazioni sul ruolo delle partnership pubblico-privato per comprendere la presenza o meno di conflitti di interesse tra i valutatori e i proponenti di progetti di educazione.
La lettera non è, dunque, un manifesto ideologico che divide il campo di riflessione tra pro e contro la valutazione ed è sperabile che alla laconica risposta del direttore Schleicher possa seguire un ripensamento del programma OCSE-PISA. Sarebbe, infatti, paradossale sottrarsi alla necessità di sottoporre il programma stesso ad un processo di valutazione che ne riconosca i limiti sulla base della ricerca empirica sui suoi effetti.
Molte delle proposte della lettera potrebbero essere riprese nel dibattito del nostro paese nella prospettiva della costruzione del sistema nazionale di valutazione dell’istruzione e della formazione che dovrebbe partire dal prossimo anno scolastico. Ci si riferisce, in modo particolare, alla possibilità di produrre dei report che non siano dei ranking, alla co-produzione dei dati valutativi, al rallentamento dei cicli di testing, etc. ma anche più in generale alla necessità di rendere più trasparente, da un lato, l’uso delle risorse destinate al testing e, dall’altro, avviare dei seri programmi di ricerca sulle politiche e sulle pratiche educative in un contesto nazionale, come il nostro, molto povero dal punto di vista dei finanziamenti dedicati alle politiche e alla ricerca educativa. Alcuni voci autorevoli in questa direzione sembra già muoversi (vedi il dibattito sull’Espresso) ed è sperabile che si possano riprendere alcuni degli spunti della lettera pubblicata sul The Guardian per poter superare, nell’interesse di una valutazione pluralistica del sistema educativo, la sterile febbre da test che ci accompagna ad ogni somministrazione dei test Invalsi.2