Verso un manifesto delle riforme condivise della scuola
di Francesco Pastore e Marta Rapallini
Il giorno 10 luglio2014, l’Istituto Gramsci Toscano ha organizzato un incontro dal titolo provocatorio: “Perché andare a scuola?” All’incontro hanno partecipato diversi esperti di questioni della scuola, in diversi ambiti. Il filo rosso degli interventi era il connubio scuola-lavoro. La proposta implicita è che è chiaro a tutti ormai che la missione della scuola non è più quella di fornire solo nozioni, ma competenze a tutto tondo e che la nostra scuola è impreparata a farlo. Non ci meravigliamo allora se la nostra scuola è forse più classista di quella tedesca, dove si sceglie il percorso a 10 anni, ed esclude i più deboli più di quella statunitense, dove le tasse universitarie sono altissime. Smettiamola di parlare di flessibilità del mercato del lavoro e cominciamo a parlare di flessibilità della scuola!
Il risultato forse più interessante, in un certo senso illuminante, dell’incontro è stato la constatazione che esiste un near consensus fra le espressioni più vivaci e progressiste del mondo della scuola sul che fare. È chiarissimo a chi conosce i problemi della scuola quali siano gli obiettivi prioritari, gli ostacoli e le risorse inutilizzate che gli ordinamenti attuali producono, gli strumenti e le riforme da realizzare, i risultati attesi. E allora sorge spontanea la domanda: “Perché non si sfrutta meglio il quadro normativo attuale e non si realizzano queste riforme condivise?” É altrettanto evidente a tutti che in questi ultimi anni le riforme realizzate, che pure non sono mancate, non hanno affrontato i veri nodi della scuola. Ciò spiega perché molto resta da fare e il dubbio è da cosa partire. Inoltre, è importante che un intervento, se si deve fare, sia completo, ben pensato e riflettuto. Allora abbiamo ritenuto che potrebbe essere utile elaborare un manifesto delle riforme condivise della scuola.
Questo articolo ha allora lo scopo di cominciare a stimolare il dibattito e favorire la elaborazione di tale manifesto programmatico, nella speranza che il Governo guidato da Matteo Renzi possa trarne spunto per una riforma profonda della scuola. A tal fine, l’articolo proporrà in modo semplice e diretto, senza eccessive elaborazioni teoriche e senza pretese di esaustività, un elenco delle riforme condivise, con la speranza che sia l’inizio per un disegno organico di riforma della scuola nella direzione indicata sopra. Saremo volutamente apodittici!
Collegamenti con il mondo del lavoro Occorre stabilire collegamenti con il mondo del lavoro non solo negli istituti tecnici e professionali, ma anche nei licei, qualunque sia il loro orientamento. L’alternanza scuola lavoro deve essere potenziata e inserita in modo più organico nel percorso scolastico. La qualifica in apprendistato deve diventare una possibilità concreta diffusa e non episodica.
Scuola dell’obbligo a 16 anni Se la scuola dell’obbligo è fino a 16 anni, allora, stacchiamo i primi due anni della scuola secondaria superiore e uniamoli a quelli della scuola secondaria inferiore come in tutti gli altri paesi che hanno questa età dell’obbligo scolastico.
Eliminare le bocciature dalla scuola dell’obbligo La strategia di Lisbona ed Europa 2020 ci chiede di ridurre l’abbandono scolastico, in specie prima della scuola dell’obbligo. Una semplice bocciatura, senza un programma personalizzato di recupero scolastico e motivazionale di chi la subisce, si traduce quasi automaticamente in un abbandono scolastico prima e in una esclusione sociale poi. Le bocciature durante la scuola dell’obbligo alimentano i NEETs (not in employment education or training), con gravi costi sociali ed economici. Eliminiamo le bocciature durante la scuola dell’obbligo e sostituiamole invece con piani individuali di recupero, con possibilità di entrata anticipata in esperienze di avviamento professionale oppure di apprendistato. Ma il modo migliore è rendere tutta la scuola più vicina al mondo del lavoro, come si dirà di seguito.
Il liceo unico In realtà, andrebbe superata la contrapposizione fra licei umanistici e scientifici per avere un solo liceo. Questa contrapposizione è assolutamente deleteria ed insensata.
“Fare” la cultura e l’arte al liceo classico Anche nei licei classici, se li si vuole ancora conservare, occorre applicare il principio duale. Non basta leggere ed interpretare la poesia, la pittura, la scultura e l’archeologia. Occorre che i giovani sappiano come si fanno. Ciò aiuterà anche a superare la distinzione gesuitica fra sapere umanistico e pratico, con il primo in posizione di preminenza.
Fare uscire la cultura tecnica e professionale dal ghetto I licei sono il fiore all’occhiello della nostra scuola superiore. Sono le scuole tecniche e professionali ad aver bisogno di maggiori riforme. Altrimenti non saranno riforme vere ed efficaci. I problemi maggiori sono qui e ogni riforma che non li affronti sarà un fallimento. Le scuole tecniche e professionali non devono più essere le scuole per gli studenti più scarsi, ma devono essere le scuole scelte da chi decide di inserirsi prima nel mondo del lavoro. Ciò richiede un cambiamento di mentalità anche nei genitori e nella società. La scelta tecnico-professionale non è un percorso “da meno”.
A tal fine, occorre rilanciare questo settore della scuola secondaria superiore, renderlo appetibile, motivando i giovani che lo scelgono, aiutandoli a trovare davvero lavoro. In tutti i paesi del mondo, questo ramo della scuola garantisce un’altissima percentuale di avviamenti. Occorre che lo stesso si verifichi anche in Italia.
Occorre anche riflettere sulla necessità di percorsi tecnici e professionali quinquennali distinti cui si aggiungono i percorsi triennali regionali i cosiddetti corsi di IeFP (Istruzione e Formazione Professionale): si dovrebbe anche operare una sensata razionalizzazione della governance scolastica.
Riformiamo la riforma del 1969 Chi sceglie l’istruzione tecnica o professionale non deve avere scelto una via di serie B di accesso all’università. Se la scelta è fatta a 16 anni sarà più consapevole. Chi sceglie l’istituto tecnico e professionale, in linea di principio, deve poter tentare l’avviamento al lavoro. Ma allora rendiamolo pienamente occupabile dopo la scuola. Rendiamo la formazione in azienda obbligatoria in queste scuole, sul modello dell’apprendistato tedesco, con tanto di salario di ingresso (pari, ad esempio, al 40% di quanto previsto dal contratto di categoria) e posizione previdenziale. Ciò significa trovare veri e propri posti di lavoro e aggiornare i programmi di formazione teorica per renderli più vicini all’esperienza professionale effettuata.
Creare ponti fra percorsi diversi Può capitare a tutti di sbagliare. Chi si iscrive al tecnico e al professionale e crede di aver sbagliato, deve poter fare un percorso alternativo di accesso all’università. Anche chi si iscrive al classico potrebbe aver sbagliato. In questo caso, deve poter poi indirizzarsi al tecnico-professionale. Anche questo accade e sono non pochi coloro che anche provenendo dal liceo non riescono a finire l’università e non hanno alternative nella ricerca del lavoro. Chi esce dal liceo e non riesce a laurearsi è fra i soggetti più deboli nel mercato del lavoro.
Non pensiamo solo ai primi, ma anche agli ultimi. Solo così la scuola tornerà ad essere un ascensore sociale, come immaginato dai padri costituenti!
Valorizziamo i professori La scuola è fatta in primo luogo dai professori. Le loro motivazioni sono il fondamento della scuola. Aumentiamo gli stipendi, ma prevediamo anche una riorganizzazione del tempo speso dai professori a scuola. Un innalzamento degli orari non va realizzato attraverso un aumento delle ore di lezione frontale. Si preveda, invece, un obbligo di percorsi professionalizzanti, che ormai sono previsti anche nelle professioni libere. Si preveda, inoltre, il coinvolgimento nell’organizzazione di attività di collocamento al lavoro e di formazione finalizzata a sviluppare percorsi teorici effettivamente utili a quelli in azienda. Per questo tipo di spesa pubblica vale la pena non rispettare il trattato di Maastricht.
Rapporti diretti con le imprese Il principio duale è solo uno degli strumenti di collegamento fra scuola e mondo del lavoro. Gli altri sono le attività di collocamento da parte delle scuole e il job placement. Ogni scuola organizzi incontri diretti con le imprese più importanti che presentino job vacancies per studenti delle scuole tecniche e professionali. In Giappone, questo metodo fornisce lavoro ad oltre il 30% dei diplomati delle scuole superiori. Proviamo ad arrivare alla metà del risultato giapponese. Sarebbe già questo un importante risultato. Nei paesi più moderni, la scuola è uno dei canali più efficaci di accesso al lavoro. Non ci lamentiamo poi se i giovani trovano lavoro solo attraverso parenti e amici. Questi programmi siano espressamente finanziati con i fondi della Garanzia giovani e anche con altri fondi statali in modo costante. Si creino uffici in ogni scuola con questa funzione di mantenere i rapporti con le imprese. Si dotino tali uffici di personale qualificato. Di nuovo, per questo tipo di spesa, il Trattato di Maastricht si può superare, poiché si crea più occupazione, più consumi e più crescita.
Il job placement a scuola Inoltre, nella tradizione anglosassone, invece degli incontri diretti, la scuola è una fonte importante di informazione sui posti di lavoro vacanti. Le nostre scuole si occupino in modo sistematico di job placement. Siano stanziati fondi pubblici addizionali per realizzare questo obiettivo.
Istruzione e FSE (Fondo Sociale Europeo) Si sfruttino al meglio i finanziamenti che il FSE garantisce agli stati membri anche per i percorsi di istruzione: i nostri piani attuativi nazionali non hanno mai favorito questa grande opportunità per dare centralità anche al sistema nazionale di istruzione nelle politiche di aumento dell’occupazione.
Francesco Pastore (Professore Aggregato di Economia Politica presso la Seconda Università degli studi di Napoli, research fellow dell’IZA di Bonn e segretario dell’Associazione Italiana degli Economisti del Lavoro)
Marta Rapallini (esperta di scuola e università)