
Poche settimane fa sono state pubblicate le “Indicazioni per la scuola 2025”. Non è mia intenzione farne la disamina; mi basta sottolineare che esprimono delle “nuove” tendenze di cui dovremo tenere conto: una tendenza neo-centralista, una visione monista e non pluralista sotto il profilo filosofico e ideologico, un’idea “normativa” del rapporto tra scuola e società e della funzione della scuola, un’idea reazionaria e inattuale dell’insegnante e del suo ruolo. Sullo sfondo, una visione preoccupata dei giovani e delle famiglie e del loro rapporto con la scuola e gli insegnanti, e una profonda angoscia rispetto all’impatto delle tecnologie e dell’intelligenza artificiale. Di fronte a questo, il Ministero suggerisce il ritorno a un aureo passato mai realmente esistito. In definitiva, emerge una visione della scuola arroccata come presidio etico e culturale incaricato di ricostruire la persona e salvare una società considerata implicitamente in crisi: della famiglia, della scuola, della società!
Un’ossessione della crisi che esprime lo sbigottimento di una comunità di esperti ormai vecchi e inadeguati di fronte a un presente che li lascia sgomenti e tremebondi. Dimenticano forse di aver cavalcato, nei decenni passati, il riformismo neoliberista che ha scommesso tutto sulla scelta delle famiglie, sulla competizione tra le scuole, sul potere taumaturgico delle competenze e sulla loro misurazione, sull’individualizzazione della formazione. Per questo, oggi reclamano un ritorno alla grammatica, ai valori nazionali, alla tradizione pedagogica dell’insegnante-Magister.
Questo ritorno, nei vaneggiamenti ministeriali, dovrebbe costituire la risposta alla crisi dell’istituzione, dimostrando così di non averne capito l’origine. Inoltre, rinunciano a fare una valutazione complessiva di quella risposta alla crisi che fu l’adozione del modello manageriale e neoliberale della scuola dell’autonomia.
Una credenza magica anima dunque gli esperti governativi, se pensano che l’idea di “Magister” possa resuscitare un passato immaginato e trasformare gli ambienti educativi contemporanei nelle aule degli anni Cinquanta. Il Magister è morto con Internet, come repository universale del sapere e di modelli pedagogici alternativi. L’idea di un insegnante detentore e trasmettitore unico e legittimo del sapere è oggi semplicemente ridicola. Si dimostra, inoltre, di non comprendere che siamo di fronte a una rivoluzione epocale, per la quale occorrono risposte nuove: l’avvento dell’era dell’intelligenza artificiale mette in crisi non solo la trasmissione, ma anche la costruzione del sapere. Il Magister è morto e sepolto, e il Ministero può tutt’al più rianimare uno spauracchio.
La risposta non può nemmeno essere quella del “professionista”, portata avanti dai sociologi e dai pedagogisti riformisti. Anche questa risposta alla crisi della professione si è dimostrata retorica e inadeguata alle sfide.
Dunque, il punto centrale è ripartire effettivamente dall’insegnante, a cui occorre rendere non solo l’autonomia, ma anche la libertà. Una libertà da intendere non in senso negativo (come libertà dalle pressioni politiche e burocratiche, per esempio), ma come “libertà di”.
Di fronte alle sfide della rivoluzione tecnologica e della conoscenza, oggi non serve un insegnante inteso come guardiano del sapere costituito e della morale, e non serve neppure un insegnante “che risolve problemi”. Occorre invece un insegnante intellettuale a tutto tondo. Occorre ridare all’insegnante consapevolezza critica e ambizione intellettuale. Un insegnante inserito in una comunità non solo educante ma, innanzitutto, pensante. Per una scuola non più oggetto di politiche, ma essa stessa soggetto politico. Una scuola in cui insegnanti e studenti immaginano, pensano e creano il loro avvenire.
Il punto di partenza deve essere una rivoluzione della stessa formazione in servizio, facendola finita con i modelli autoritari, verticali, evangelizzatori di formazione, per adottare quelli fondati sul coinvolgimento attivo degli insegnanti, l’incentivo alla sperimentazione, alla creatività e all’innovazione dal basso. Insomma, tutto quello che già sappiamo su co-costruzione del sapere, comunità di pratiche e apprendimento situato (metodologie che le agenzie formative pretendono di trasmettere ai docenti con metodi tradizionali e autoritari) dovrebbe essere applicato innanzitutto agli insegnanti! Né Magister, né professionista: l’insegnante dell’avvenire deve essere un intellettuale, perché nell’era dell’Intelligenza Artificiale serve capacità di pensiero critico, non metodi vuoti, non saperi preconfezionati.

Marco Pitzalis (PhD – EHESS Paris) è professore di Sociologia dei processi culturali e comunicativi e Direttore del Dipartimento di Scienze Politiche e Sociali dell’Università di Cagliari, è membro associato del Centre Européen de Sociologie et de Science Politique (CESSP – Paris) e del Collegio del Dottorato in Ricerca e Innovazione Sociale dell’Università di Cagliari. È componente della direzione di “Rassegna Italiana di Sociologia” e del Comitato di Direzione di “Scuola Democratica”. Ha coordinato la sezione educazione dell’Associazione Italiana di Sociologia (2022-2024). I suoi principali interessi di ricerca vertono sullo studio delle diseguaglianze scolastiche, dei sistemi scolastici, delle politiche educative e dell’istruzione, dell’innovazione culturale, del cambiamento istituzionale, della formazione degli insegnanti e degli Higher education studies.