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Il caso IeF tra sviluppo e rischi di involuzione

Il caso IeF tra sviluppo e rischi di involuzione

di Fiorella Farinelli (esperta di sistemi scolastici e formativi)

Cosa succede quando le Regioni non hanno abbastanza risorse per sviluppare i percorsi triennali di IeF in modo da soddisfare l’intera domanda ?

Elementare, Watson. Si spostano quote sempre più significative della spesa sullo Stato, cioè sugli istituti professionali statali che, pur divenuti “quinquennali” ai tempi del ministro Fioroni, possono dal 2011-12 essere dalle Regioni stesse utilizzati, in via “sussidiaria”, come sedi dei percorsi triennali ( mentre il rilascio della qualifica professionale, previo superamento di apposite prove, resta di competenza regionale) . Peccato che da più indagini emerga la maggiore efficacia degli Enti di FP rispetto agli istituti scolastici in termini di successo formativo, di soddisfazione degli studenti e di rapporto con il mondo del lavoro. Peccato, inoltre, che la minore spesa delle Regioni si traduca in maggiore spesa pubblica, visto che il costo medio di un allievo della FP è 4.000 Euro annuali mentre quello di uno studente negli IPS è di 6.000. Ma questi fatti (e numerosi altri puntualmente analizzati da Isfol scarica rapporto ) devono essere di poco o nessun conto, dal momento che del non convincente rapporto tra istruzione professionale statale e formazione professionale regionale – che la Provincia Autonoma di Bolzano ha saggiamente risolto riassorbendo nell’istruzione tecnica la prima per sviluppare invece la seconda – non pare voglia occuparsi nessuno. Tanto meno dove si decidono le politiche nazionali, come parrebbe dall’assoluto silenzio su questo tema del documento sulla “buona scuola” (scarica documento) . Una “disattenzione” – segnalata recentemente dalle migliori agenzie di formazione professionale impegnate nei percorsi triennali (v. L.Valente, Il mantello dell’invisibilità, in Città CIOFS-FP, n.2, 2014)– che si materializza anche nell’assenza di dati sull’IeF nel pur generoso profluvio di statistiche Miur sull’andamento dei processi di scolarizzazione e sulle patologie della dispersione e degli abbandoni.

Eppure in pochi anni L’IeF è arrivata a contare oltre 300mila iscritti, comprese le poche migliaia di quelli del IV anno – attivato in sette sole realtà – il cui diploma è ormai equiparato, nel quadro dell’EQF, a quello di maturità. Si tratta ormai dell’11,4% dell’ intera offerta del secondo ciclo. Non solo. Il fatto che a scegliere subito dopo la scuola media i percorsi triennali sia ormai il 46% degli iscritti alla prima classe segnala che l’IeF non è più solo un settore di ultima chance destinato esclusivamente ai ragazzi in maggiore difficoltà scolastica e sociale. Sarà anche l’effetto di una crisi che sta ridimensionando le aspettative delle famiglie, ma è probabile che, almeno in alcune aree territoriali, contino anche i buoni risultati dei percorsi sul terreno sempre più difficile dell’inserimento occupazionale. Sarebbe dunque il momento di introdurre in modo generalizzato il quarto anno , costruendo così la filiera formativa che manca all’Italia, quella di un apprendimento professionale a ridosso del mondo del lavoro che può svilupparsi in alto fino al diploma e, di lì anche a possibili proseguimenti negli studi terziari, accademici e non. E, ancor prima, di porre fine agli squilibri territoriali di un’IeF che è enormemente più debole proprio dove il numero degli early school leavers ( e degli iscritti a scuola che però non frequentano ) dice che ce ne sarebbe più bisogno: il 64% delle qualifiche triennali è infatti nel Nord, con la Lombardia che fa da sola il 57% degli scritti al quarto anno. Di processi di questo tipo, invece, neanche l’ombra. ll fatto, inoltre, che degli oltre 300.000 iscritti ai percorsi la parte che li svolge presso gli IPS ( 164.000 ) abbia ormai superato quella che li svolge presso gli Enti di formazione professionale ( 136.000 ) , obbliga evidentemente gli IPS a misurarsi con una partita che, per numerose ragioni, hanno enormi difficoltà a vincere . E’ proprio qui, infatti, che un’impostazione ancora molto tradizionale dell’organizzazione didattica determina i tassi più alti di insuccesso scolastico e di abbandono ; e che un’insufficiente valorizzazione dei laboratori e dell’alternanza studio –lavoro condanna al fallimento una quota molto consistente di studenti, a partire da quelli con background straniero, qui nettamente sovra rappresentati (15,5% ).

Tutto ciò , e altri aspetti analizzati dal Rapporto Isfol, rivela che il progetto di costruzione di una filiera formativa innovativa, basata sull’apprendimento in contesti operativi e direzionata a uno sviluppo “in verticale” dell’offerta, pur premiato da una domanda sempre più consistente e più composita rispetto alle prospettive iniziali, è rimasto a metà, e rischia anzi di arretrare. Ma non è abbastanza, pare, per indurre a nuove iniziative politiche.

Scuola democratica
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