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Iscrizioni 2015: appunti e spunti

Iscrizioni 2015: appunti e spunti

di Fiorella Farinelli (Esperta di sistemi scolastici e formativi) –

Sarà perché da mesi la scena è occupata da altri temi, ma il consueto focus del Miur sulle iscrizioni1 è passato finora quasi del tutto inosservato. Riporta invece dati, e variazioni tra il 2014 e il 2015, che meritano una qualche attenzione. Uno di questi riguarda l’incremento della preferenza dei genitori della primaria per il “tempo ordinario” , cioè le 27/30 ore settimanali, mentre diminuisce ancora quella per le 40 ore del “tempo pieno”. Il trend è spiccatissimo nelle grandi regioni meridionali. In Campania la richiesta dell’”ordinario” sale in un anno dal 45% al 51,2% , in Calabria, dal 27,2% al 28,6% , in Sicilia, dal 56,8% al 61,8%. Come si spiega che ciò accada proprio dove il tempo pieno è un’esperienza limitata ( il top è il 24,6% delle classi della Calabria, ma in Sicilia non si va oltre il 9,5% ), mentre quel modello invece tiene in regioni come Lombardia, Piemonte, Toscana, Lazio dove le classi a tempo pieno sono più della metà del totale? Bisognerebbe approfondire. Probabilmente nel Sud la domanda viene scoraggiata da Enti Locali che forniscono sempre meno mense e trasporti ( o lo fanno a tariffe più alte), da una crisi che mamme e papà li tiene di più a casa , da un mix dei due fattori. Ma forse a contare ancora di più sono i connotati stessi di un tempo pieno che, proprio perché poco diffuso, finisce col presentarsi come una scuola fatta “solo” per contesti particolarmente difficili . Non è una novità, invece, che in ogni area del paese siano sempre meno attrattivi i tempi “prolungati” della scuola media ( 36 / 40 ore ), c’è una lunga storia a spiegarlo. Si pongono, in ogni caso, alcune questioni anche riguardo agli indirizzi della “buona scuola”. Perché lo sviluppo del tempo pieno nella scuola primaria ( e del funzionamento anche pomeridiano in quella dell’infanzia ) delle regioni del Sud – le più esposte alla dispersione scolastica – non è stato assunto come una priorità della massima importanza cui indirizzare il previsto incremento del personale docente ? Perché il prolungamento del tempo scuola, se e dove ci sarà, viene affidato solo all’innesto di nuovi insegnamenti disciplinari ( o alla sempre invocata ma indubbiamente problematica apertura pomeridiana delle scuole ) ?

Altro dato da approfondire, questa volta relativo alla scelta degli indirizzi dopo la scuola media, è l’incremento modesto ma tangibile della propensione delle famiglie e degli studenti agli studi di tipo liceale. Un’anomalia italiana nel panorama europeo che quest’anno vede un ulteriore incremento, dal 49,8% del 2014-15 al 50,9% del 2015-2016, mentre diminuiscono sia pure di poco sia tecnici ( da 30,8% a 30,5% ) che professionali ( da 19,4% a 18,6% ). Un andamento che si spiega con un inossidabile attaccamento nazionale alla tradizione culturale umanistica o piuttosto al vago sentore di élite che il comparto liceale – sebbene ormai diluito in ben dieci indirizzi diversi – porta con sé ? Ad apparire più probabile è la seconda delle due ipotesi. Non si arresta, infatti, la flessione del liceo classico (che perde un altro punto, attestandosi sul 6% ), mentre lo scientifico, pur confermandosi come il liceo di maggior successo ( 22,7% ), perde quasi un punto nella sua versione tradizionale e cresce invece in quella delle “scienze applicate”, dove non si fa latino. E’ un fatto, comunque, che il corale impegno degli ultimi anni per una valorizzazione dell’istruzione tecnica non viene premiato dalle scelte delle famiglie e degli studenti. Quali sono i fattori avversi ? E’ solo la lunga crisi del nostro settore industriale – e dell’occupabilità di alcune delle sue figure professionali – o ad influire ci sono anche la bulimica articolazione dell’istruzione liceale ( comprensiva, oltre che di un liceo “tecnologico”, in evidente concorrenza con i tecnici, anche di licei “sportivi” e “coreutici” ), e l’ancora poco chiara distinzione tra tecnici e professionali ? Colpisce inoltre la fortissima caratterizzazione territoriale dei diversi comparti dell’istruzione secondaria superiore, sintetizzata dal titoletto del Miur “Il liceo piace al Centro-Sud, il tecnico al Nord”. Il comparto liceale raggiunge il suo massimo ( 56,7% ) nel Centro – il solito Lazio – seguito a breve distanza dal Sud, mentre i tecnici si concentrano soprattutto nel Nord, e massimamente nel Nord-Est. Quanto all’istruzione professionale, i numeri più bassi ( 16,4% ) sono nel Nord –Ovest, dove gli IPS sono la metà circa dei tecnici. Ce ne sarebbe abbastanza per far resuscitare dall’oblio delle politiche scolastiche attuali un approccio più strutturale e più attento agli squilibri interni del sistema. I limiti dei riassetti dell’ultimo decennio non si possono correggere infatti con il solo “rafforzamento dell’autonomia”, ovvero con iniziative dal basso e nei singoli istituti scolastici. Vale per il secondo ciclo, e vale per il primo. Vale anche per la durata complessiva del ciclo di istruzione, e per le sue sequenze interne. Tutti dossier notoriamente abbandonati, speriamo solo per una fase.

Spingono in questa stessa direzione anche i numeri sulla scelta, dopo la scuola media, dell’Istruzione e Formazione professionale. E’ la prima volta che il focus del Miur può contemplare anche questi dati, o almeno parte di essi, perché delle otto regioni che hanno significativamente sviluppato i percorsi triennali di IeFp , almeno quattro ( Piemonte, Lombardia, Veneto, Molise) hanno accolto la proposta di viale Trastevere di un portale unico per la raccolta delle iscrizioni. Ma la vera novità, che secondo gli estensori del focus potrebbe essere stata favorita proprio da questa innovazione, consiste in un trend inverso a quello che si era registrato nel 2014-15. In controtendenza, infatti, con gli effetti dei processi di “scolasticizzazione” dei percorsi triennali indotti dall’accordo Stato-Regioni 2012 sul ruolo “sussidiario” degli istituti professionali, c’è stata una netta ripresa delle iscrizioni alle strutture formative accreditate dalle Regioni, dalle 21.529 del 2014-15 alle 27.458 di quest’anno. E, specularmente, un netto decremento delle iscrizioni ai percorsi in sussidiarietà presso gli IPS. Anche qui bisognerebbe approfondire per interpretarne le ragioni. Sarebbe una buona cosa se derivasse da una consapevolezza degli insegnanti della scuola media e delle famiglie di quello che ci dicono le indagini Isfol ed altri studi sul miglior impatto, in termini di contenimento degli abbandoni e di inserimento lavorativo dopo la qualifica, della formazione professionale “pura” rispetto ai percorsi triennali ritagliati dentro le strettoie curricolari degli IPS. Ma potrebbe essere anche altro, per esempio il maggiore appeal di una formazione breve e direttamente orientata al lavoro, determinato dalla crisi e dalla disoccupazione giovanile. Il fatto, comunque, che la scelta dell’IeFP abbia sempre di più i connotati di una scelta vocazionale all’uscita della scuola media – e sempre di meno quelli dell’unica strada percorribile dopo ripetuti insuccessi nei primi anni della secondaria di secondo grado – consiglierebbe di rafforzare e qualificare il comparto. Non in aggiunta, ma in alternativa agli istituti professionali, come a Bolzano e a Trento. Ne verrebbero effetti positivi sia sul versante degli istituti tecnici che su quello dello sviluppo della dual education. Ma ancora non è dato sapere in che direzione il governo utilizzerà la delega su questi temi contenuta nella “buona scuola”. Si sa solo che il collegamento tra la prevista revisione di alcuni indirizzi degli istituti professionali e l’Iefp, introdotto alla Camera con un emendamento, è stato ottenuto con qualche difficoltà dal mondo della formazione professionale. Non è un buon segno, ovviamente, che la politica che discute di scuola- lavoro e di dispersione guardi distrattamente a un comparto in cui ci sono ormai più di 300mila giovani.

Scuola democratica
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