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La Buona scuola sul letto di Procuste

La Buona scuola sul letto di Procuste

di Paolo Landri (CNR-IRPPS)

Contributo in risposta all’articolo “Per avere una buona scuola ci vuole una buona discussione”

Le decisioni del governo in materia di istruzione, ed in particolare quelle contenute all’interno della legge di stabilità, rendono sempre più esplicito il senso della strategia politica del documento ‘La Buona Scuola’ di Renzi/Giannini. Il testo si delinea, soprattutto, come un dispositivo: a) per permettere la stabilizzazione dei ‘docenti precari’; b) per dare una risposta alle istituzioni europee che avevano già condannato il nostro paese per le dinamiche del mercato del lavoro dei docenti e c) per allinearsi alla retorica dell’OCSE che individua nella qualità degli insegnanti, fatta passare attraverso le ‘forche caudine’ di un processo di professionalizzazione per crediti, la variabile fondamentale per attivare delle significative riforme scolastiche (è notevole la coincidenza tra questa posizione e quella espressa nel country report dell’OCSE nella pubblicazione dell’ultimo Education at a Glance).

Il documento, d’altro canto, non dà adito a dubbi: dedica, infatti, metà dell’attenzione agli insegnanti e condisce il resto con indicazioni generiche riguardanti i curricula, l’introduzione delle nuove tecnologie, l’edilizia scolastica, i meccanismi di finanziamento, la valutazione, etc. L’effetto è una trama a maglie larghe che lascia ‘buchi vistossimi’, come la questione degli allievi con cittadinanza non italiana (frettolosamente riscoperta attraverso dichiarazioni pubbliche del nostro Primo Ministro); il legame tra la Buona Scuola e la riforma del Titolo V della Costituzione, come già notato nel dibattito qui sollecitato dall’attento intervento di Anna Armone ; il collegamento tra la tradizione di Don Milani, Malaguzzi, Montessori e, più, in generale della pedagogia italiana, richiamate come fonte di ispirazione della Buona Scuola e le politiche prefigurate nelle successive pagine dello scritto.

Di conseguenza, la Buona Scuola non si allontana dalla visione dominante della politica scolastica italiana degli ultimi quindici anni, caratterizzata dallo sviluppo di un governo di dati, performance e standard e dal dominio di una visione riduzionistica della pratica educativa. Le scelte di bilancio, del resto, non sembrano indicare significativi cambiamenti di rotta. Il miliardo promesso per l’anno in corso riguarda in modo particolare la assunzione in ruolo dei docenti precari (l’altra destinazione sono i progetti scuola-lavoro). Se quest’ultima è un dato positivo, perché ha il pregio di affrontare una questione irrisolta, gli altri punti del documento sono poco più di un collage che trova flebili riscontri, almeno per il momento, sul piano implementativo.

L’elenco degli annunci e delle promesse non mantenute è piuttosto lungo. I fondi destinati alle aree a rischio, e quindi finalizzati per la riduzione dell’abbandono scolastico e per l’integrazione degli allievi con cittadinanza non italiana sono stati ulteriormente ridotti per l’anno scolastico in corso, seguendo il trend negativo degli ultimi cinque anni (il taglio è stato del 65%); l’edilizia scolastica al Sud è diventata una ‘partita di giro’ per pagare gli LSU all’interno della scuola; la digitalizzazione della scuola si rivela un grande ‘bluff’, nella misura in cui mancano i necessari incentivi agli insegnanti e non vi sono investimenti nelle infrastrutture digitali (vedi l’articolo di Ferri, http://www.agendadigitale.eu/egov/1108_libri-digitali-il-grande-bluff-di-renzi.htm); la spesa pubblica per asili nido è soprattutto al Sud molto più bassa che al Nord, essendo prevalso il criterio della spesa storica; gli esami di stato al termine della scuola secondaria superiore per motivi di risparmio tendono a diventare, per effetto della prevalenza delle commissioni interne, un meccanismo autoreferenziale di valutazione, etc.

Ma ciò che manca in questo documento, spesso ‘provinciale’ nell’uso dell’inglese e nella subordinazione alle retoriche dominanti, è soprattutto una presa di posizione critica e riflessiva rispetto ai discorsi tecnocratici dell’Unione Europea e dell’OCSE. Il coraggio, cioè, di liberare la scuola da una modalità asfittica di concepire le pratiche educatiche capace di ereditare davvero dalla tradizione di Don Milani, Montessori e Malaguzzi e dalle migliori esperienze di insegnamento e di apprendimento della storia della scuola italiana e di ricollegarle l’una e le altre, in modo creativo e attraverso gli opportuni investimenti, alle modalità di produzione e di circolazione dei saperi nel mondo contemporaneo.

Scuola democratica
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