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Una buona scuola non deve lasciar fuori nessuno

Una buona scuola non deve lasciar fuori nessuno

di Vittoria Gallina (esperta di politiche formative e di processi educativi in età adulta)

Contributo in risposta all’articolo “Per avere una buona scuola ci vuole una buona discussione”

Riduzione degli sprechi, maggiore efficienza e finalizzazione degli interventi, utilizzo qualificato entro il sistema formativo della quota di precarietà intellettuale, che da anni ormai gravita intorno alla scuola senza poter migliorare la propria professionalità, valorizzazione delle esperienze di lavoro come strumenti di formazione alla responsabilità ed alla partecipazione sociale, tutti questi sono titoli sicuramente positivi del documento sulla Buona Scuola, ma questi titoli possono diventare azioni reali solo se la scuola, sicuramente meglio se buona, non perde “pezzi” lungo il percorso e si definisce come istituzione sempre aperta, aperta ed utile sia per chi è in età scolare sia per chi, durante la vita, sente la necessità di essere sostenuto nella acquisizione di nuovi saperi e aiutato ad orientarsi o ri-orientarsi in un mondo complicato e spesso poco accogliente. Non si tratta soltanto di aggiungere e/o potenziare il tema del lifelong learning o di avere presente la necessità di tener conto dei tanti colori e delle tante culture di cui è fatta la nostra collettività, ma di assumere la questione relativa a “cosa si impara a scuola”, come tema trasversale intorno al quale collocare, in una prospettiva unitaria, soluzioni didattiche e organizzative.

Il nostro sistema scolastico, che pure è un sistema comprensivo secondo la classificazione che distingue sistemi comprensivi e sistemi selettivi, è il paese in cui, assumendo come indicatore l’età, la scelta del percorso differenziato avviene molto precocemente, a 14 anni di età (gli altri sistemi comprensivi spostano la scelta più avanti , alcuni a 15, la maggioranza a 16 anni). Inoltre in Italia questa scelta avviene due anni prima della conclusione del percorso scolastico obbligatorio; le conseguenze di questa situazione sono evidenziate dai dati sulla dispersione scolastica misurata sui giovani che tra i 18 e 24 anni hanno solo la licenza media. Questi giovani sono il 17,6% contro una media UE del 12,8% ( dati relativi al 2012 gli ultimi resi disponibili dal Miur ). Peggio dell’Italia sono solo Spagna e Portogallo, mentre vicini all’obiettivo del 10% di dispersione (Europa 2020) sono Danimarca (9%) Germania (10,5%) Francia e Grecia (11 %). Dagli stessi dati del Miur emerge con chiarezza che la dispersione (bocciatura e successivo abbandono) più elevata si ha nei primi due anni di secondaria superiore e soprattutto negli istituti professionali (quelli in cui la presenza di giovani migranti , spesso nati in Italia, è più consistente), meno nei tecnici, molto meno in alcuni dei percorsi liceali. Se poi si pensa che i dispersi possano rientrare da adulti nel sistema, questa appare una scelta poco praticata dalla popolazione nel suo insieme (gli adulti impegnati in attività di istruzione/ formazione sono il 24% in Italia contro il dato Ocse del 52% ) e riguarda solo marginalmente chi ha titoli di studio molti bassi.

Se il problema viene affrontato da questo punto di vista, non è possibile non vedere che la difficoltà di garantire pari opportunità di formazione è il problema del nostro sistema, problema che non riguarda solo i giovani in età scolare, ma l’insieme della popolazioni, che poi difficilmente è messa in condizione di recuperare nelle fasi successive della vita .

Poco definito appare nel documento del governo un approccio trasversale alle pari opportunità formative in una prospettiva di life long learning per tutti e tutte, questo approccio comporterebbe infatti una maggiore chiarezza e incisività nella indicazione di interventi sui contenuti e sulla organizzazione della nostra scuola.

L’autonomia scolastica nel documento è un riferimento rituale, mentre una maggiore attenzione dovrebbe essere spesa alla definizione di modalità di sperimentazione finalizzata a valorizzare l’autonomia scolastica , sostenuta in forme non burocratiche e più chiaramente collegate a metodologie appropriate di formazione continua del personale della scuola e non solo dei nuovi stabilizzati.

Nella stessa prospettiva dovrebbero essere previste condizioni nuove di funzionamento per dar vita a una scuola aperta, capace di garantire il diritto all’apprendimento di cittadini e cittadine. Il tema della scuola aperta, pur presente, è trattato nel documento governativo marginalmente (si ipotizzano nuove figure di personale dedicato a mansioni specifiche o ad attività aggiuntive), ma non viene assunto tra le priorità; manca infatti qualsiasi cenno alla possibilità di avviare modelli di funzionamento della singola scuola, o di reti di scuole, flessibile, ma continuo nel corso di tutto l’anno, per accogliere in modo qualificato chi, per ragioni varie, non è pronto, con tutte le carte in regola a iscriversi alla scadenza burocratica, non si pensa qui solo agli adulti o ai giovani adulti, ma anche a quei nuovi “dispersi” di cui la nostra scuola non sembra ancora accorgersi, che sono i bambini e i ragazzi migranti, non accompagnati o ricongiunti, costretti a sperimentare sulla propria pelle fantasiose soluzioni pedagogico(?)/organizzative oppure ad aspettare, vagando da scuola a scuola fino a scoraggiarsi e a rinunciare.

Scuola democratica
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