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Una riflessione sull’apprendimento cooperativo

Una riflessione sull’apprendimento cooperativo

di Silvia Zanazzi (Ricercatrice in Pedagogia presso Sapienza Università di Roma)

Vent’anni fa uscivano in Italia i primi due testi sull’apprendimento cooperativo: Insegnare e apprendere in gruppo: il cooperative learning (1996) e Educare insegnando: apprendere ad applicare il cooperative learning (1998), entrambi di Mario Comoglio. Lo scorso 9 giugno la SIREF – Società Italiana di Ricerca Educativa e Formativa e il Dipartimento di Scienze della Formazione di Roma Tre hanno invitato l’autore a ripercorrere le principali tappe di un importante percorso di innovazione, riconosciuto dalla comunità internazionale, nel modo di insegnare a scuola e di intendere l’apprendimento e i suoi obiettivi. Dopo il benvenuto di Giuditta Alessandrini per Roma Tre, è intervenuta a presentare l’ospite Lucia Cajola. Umberto Margiotta era presente invece in qualità di Presidente della SIREF ed ha svolto il ruolo di discussant.

Il Prof.Comoglio è stato accolto con grande calore da un pubblico di insegnanti, professori e ricercatori universitari. Il suo saluto, dopo i lunghi applausi, è cominciato con un “non merito”, “mi sento un operaio” e con il ricordo dei “grandi maestri” che l’hanno introdotto e guidato nel mondo dell’apprendimento cooperativo (tra gli altri sono stati nominati Kurt Lewin, David Johnson, Elizabeth Cohen, Célestine Freinet, Ann Leslie Brown, Grant Wiggins). L’intervento di Mario Comoglio è stato un lungo e interessante racconto della sua vita di studioso ed accademico, a partire dalla partenza per gli USA dove il giovane ricercatore cognitivista, in qualità di visiting professor, tenne un corso di psicolinguistica. Le lunghe ore trascorse in biblioteca, luogo centrale nella vita universitaria del Campus, il tempo trascorso a pensare senza assilli quotidiani, favorirono una serendipità generativa di nuove idee e prospettive. Così Comoglio scoprì il concetto di apprendimento cooperativo, per poi, “pieno di dubbi” sulla trasferibilità di una pratica che gli appariva “così americana”, portarlo in Italia ed iniziare a parlarne alla comunità scientifica, inizialmente rispondendo ad un amico che gli chiese un articolo per la sua rivista. Un ingegnere che insegnava sistemi in un ITIS nei pressi di Bergamo lesse l’articolo e decise di applicare il metodo del cooperative learning nelle sue classi, ottenendo risultati eccezionali e contribuendo così a convincere Comoglio della possibilità di introdurre questa nuova metodologia nelle scuole italiane. Lo studioso e l’ingegnere pubblicarono quindi i sorprendenti risultati del loro lavoro su Orientamenti Pedagogici nel 1992. Iniziò così, quasi per caso, un processo destinato a segnare una svolta nelle pratiche di insegnamento scolastico, insieme ad una ridefinizione della figura dell’insegnante, chiamato non più solo ad istruire, ma soprattutto a far esercitare ai suoi alunni pensiero critico e collaborazione.

Che cosa c’è di davvero innovativo nel cooperative learning? Secondo Comoglio l’apprendimento cooperativo segna l’ingresso nella scuola della psicologia sociale, con l’attenzione al lavoro sul gruppo e sull’interdipendenza. Nessuno prima di allora pensava, sostiene l’autore, che la psicologia sociale avesse a che fare con la psicologia dell’apprendimento. L’intuizione di considerare la classe come un gruppo sociale e di provare a capire se l’uso della psicologia sociale aveva un effetto sull’apprendimento fu di Johnson. Creare interdipendenza tra i ragazzi avrebbe portato risultati migliori? Con le sue ricerche egli dimostrò, per esempio, che i gruppi che ottenevano risultati migliori erano quelli in cui si mettevano insieme persone con “sviluppo prossimale” (Vygotskij) simile. Un altro aspetto importante è la differenza tra interdipendenza oggettiva e soggettiva: se l’interdipendenza oggettiva non è vissuta soggettivamente, cioè se una o più persone vivono l’interdipendenza come perdita di libertà, allora il gruppo non funziona. I ragazzi devono quindi essere educati all’idea di responsabilità del gruppo, ed è importante che essa non sia confusa con la responsabilità del leader del gruppo stesso (Cohen). Il concetto di “script cooperation” (Dansereau) richiama il copione di un film e la suddivisione di ruoli tra i membri del cast cinematografico: così dovrebbe essere gestito il gruppo, se si vuole che metta in atto strategie efficaci. In questo modo si responsabilizzano tutti i componenti, si valorizza ciò che sa fare ciascun componente del gruppo e il cooperative learning può diventare anche leva per lo sviluppo delle competenze individuali.

Il primo convegno sul cooperative learning, ha ricordato Comoglio, si svolse a Gerusalemme nel 1974. Questa teoria, quindi, è ormai “diventata vecchia”. Questo non significa che non sia più valida, ma che insegnanti e studiosi dell’apprendimento devono aprire i loro orizzonti e guardare verso nuovi ambiti, per essere sempre al passo con i tempi. Quel che è certo, il grande valore del cooperative learning, che ci insegna a pensare in modo critico, educandoci all’interazione costruttiva, alla responsabilità condivisa, all’inclusione, e ci ricorda che il successo di uno è legato al successo di tutti, non passerà mai di moda.

Scuola democratica
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